Digitized by the Internet Archive in 2009 with funding from University of Toronto Iittp://www.archive.org/details/il1859daplombi00panz IH. 1859 DA l'LOMUlÉKES A MLLAFIIANCA. DSL MOnMmO AUTORIt: Piccole storie del mondo (;ran Ia Unterna di Diogene /6f)rvA 11^ 1859 DA n.(IMI!IKHi:S A VILLAFKANCA 6T0BU NAARATA DA Alfredo Fanzini h^' l^'- » MILANO Kbatilli Tkhvbs, Uditosi 1900 ••«ondo mlf^Ualo. PROPKIBTX LBTTBaARIA. / diritli Ji riprodviioHe r di traduziotu sono ristrvali pir tutti I fttusi, ce>iiitrri\i Li Si',.;»»^ la /V/ir--" «f "' • rfìuittdtt. Milano. - Tip. Ticres. A gt-KLLl DI MIA aBMTB CHB KBBEBO PABTB BVLLA OPBU DBLLA BBDBXnOMK UKLLA PATBIA QlOTABBI PaKIUII (KOA». OiaNTO B DUSSB PaJ(XIKI <ì9K>) Zaocaua Pamiui (18MI Prima. INTRODUZIONE STORICA. PAMzm. it laM. Nel seoelo paoaato, oome si diceva sino a nove anni addietro; ora diremo nel secolo XVIII, le guerre duravano molti anni. Anzi si può dire che tutta la prima metà di quel secolo così singo- lare, che couiincia col Metastasio e finisce con 1a c Marsigliese », fu tutta una continuazione di guezre, che si trascinarono per la bellezza qiiarant'otto anni, qua e là per l'Europa od- uoa pestilenza. I popoli, cioè i ! mi sud la peste vera e la carestia e perciò si uo abituati a notarle come tre fatalità, e pre- gavano il Signore di tenerle lontane: 1 I -«te, fame et bello, liben boi, Domine! \I:i prìo, clie i serenissimi principi potevano a ■ 'O 8catei%fe i nembi di queste guerre oe Bolo faceva dei ventL ■I che il» prima metà del di escrc ^.-criali, cioè au- ti da un lato ed eneroiti gal- PRIMA lu-Ks]>aui dall'altro, densi di archibugi, e co- Uiaiuiati da marescialli imparruccali, itistivalati, isjK'roaati, e loro coorti, altri nembi non caval- cavano per l'aria serena^ Il nembo della ribel- lione era tuttora nel cervello dei filosofi e ap- pariva iu forma di leggiadre nuvolette, come il polline dei fiori. Anzi quando la tempesta del fiero Marte s'era trasportata d'uno in altro pae- se, dalle riposate ville o dai bei palagi qualche Nice incipriata udivasi sospirare: Se cerca, se dice: L'amico dov'è? L'amico infelice, Rispondi, morì. Né si deve d'altra parte pensare ohe questi eserciti nelle loro zuffe o battaglie si decimas- sero scambievolmente, perchè se così fosse sta- to, dopo tante battaglie e in tanti anni non sa- rebbero rimaste in piedi che le parrucche e gli stivaloni. Anzi tutto la scienza chimica e la mec- canica non avoTino posto a disposizione del pro- gresso tanti rapidissimi e perfetti congegni di morte; ed inoltre appare evidente che quelle an- tiche milizie, se trovavano professionalmente utili le guerre lunghe, non altrettanto utili dovevano trovare le guerre micidiali. Queste guerre furono tre, e tutt-o e ire ebbero il nome di guerre di successione, perchè furono cagionate dal diritto che i Serenissimi Principi avevano o credevano di avere alla successione di un trono rimasto vacante. E prima fu vacante Intriy liirt<->nr rira 1 trono di Spagna e la guerra arse per 14 aooi, ioè dal 1700 al 1714; poi fu vacante il trono 'uerra arse per altri 5 anni, cioè -- . - ''; iu ultimo fu vacante il trono : 'Austria e la iruerra arse dal 1740 al 1748. Do- o si ft' -e che ha il bel nome imperiale ■ ^" " ..„, anzi, cosa singolare, i Sereuissi- . venuti ad occupare, per effetto di lUelle guerre, i troni d'Italia, si posero a re- 1 sa a beneficio dei fedelissimi un bel giorno quel polline li ventò nembo, quel venticello leggero di fronda ' il cielo si oscurò dalla ...V, ... .^, ....e è la Francia^ e in quel Ilio lai. una cosa orribile: la mannaia iolla ghigliottina. Poi apparve sull'Alpe un gio- pallido, Napoleone. La bufera scoppiò an- iii.i | ■)i:'^'enne che il trono i .1 lai si rimase. Ma rimperatore d'Au- .1 per tanti anni combattuto per niente? lira pur dovere ricompensarlo. Ebbene gli furono i possessi che la Spagna da due secoli va in Italia, cioò buona parte d'Italia: il e di Napoli, la Sicilia e la Lombardia. Se non t alcuni anni gli stessi contendenti, cioè > o regale ed a con- dei figli di Fi..,, : jue. £ fu in tale I che cominciò in Italia quel dominio dei -»ni di Napoli, il quale durò per 126 anni, -- o al 1860. £ in simile modo spenta la • asa dei Medici in Toscana, vi si costi - Ili an altro secondo regno, anzi gran ducato, a ' 'li dell'Imperatole d'Austria di 1, che durò sino al 1859; e in si- modo spenta la casa dei Farnesi in Parma, un altro piccolo regno, anzi ducato, .... ..V, ai un altro figliuolo di Filippo Bor- , la cui successione durò pure sino al 18G9. K in simile modo per la pace di Àoquisgrana, iu assicurata la Lombardia a Maria Teresa, di O PUIIA cui vive ancora la buona memoria in queste ter- re lombarde, benché i successori di lei, quando del '59 si accomiatarono, non lasciassero certo nessuna brama di sé. Ma dunque l'Italia serviva come ricca merce di compensazione ai soccombenti in queste liti di He? Dunque spenta una dinastia se ne sosti- tuiva un'altra senza consultare il popolo? £ il popolo d'Italia non insorgeva a simili mercati? Quel popolo d'Italia che vediamo nella lontananza dell'Evo Medio così pronto alle armi ed al san- gue, cosi geloso dei suoi diritti, cosi indomito nelle sue passioni, che oppresse un primo e un secondo Federigo, pur d'onore sì degno, quel popolo che oggi s'aduna nei comizi e può im- porre la sua volontà ai governanti, nulla vede- va, nulla sentiva allora di simili obbrobriosi lucrcati ? O come la profezia dei nostri profeti, di Dan- te, del Petrarca, del Machiavelli si era compiu- ta! Ma dove era allora il popolo d'Italia? In verità v'erano dei nobili e dei cavalieri i cui pri- vilegi non erano offesi per nulla da tali muta- menti politici. V'erano molti monaci e molte mo- nache le cui dovizie e la cui troppo riposata vita non era turbata. Molti briganti e banditi pur v'e- rano la cui vita non era turbata, molto artigia- nato libero e tranquillo, moltissima plebe pasciu- ta, o rassegnata, a cui poco importava di Fran- cia e Spagna, t basta che s'magna», come dice ancora il mollo. Molti poeti pur v'erano che si hitroHuiione $torica ricordavano talvolta di variare il lamento sn 11> t:ilia, destinata a servir sempore, o vincitrice o \iiii.i. una specie di fatalità, oome la gucmi, la i.iuK e la peste. Del resto, questi numerosi in> :<*lletti canori erano 'onorati presso i Serenissimi rrinripi in premio di loro belle i)oesie i)er le Il i-'i Ite, per le morti, per le nozze, per le mona- azioni, per l'esaltazione degli eccellentissimi prelati. Il poi l'Italia con la voce dei Papi non coman- dava ancora «urbi et orbi»? e l'Imperatore d'Au- stria non rappresentava i Cesari? e quell'insala- tii: ' zìi orticcUi d'Arcadia non dava ancora 1 .. di un primato intellettuale? Era un • usi dolce stare tra quei boschetti d'Arcadia, ']'i !ii»lo un grido atterrì: era l'Alfieri. Kra un così iiaiKjuillo occuparsi di antiquaria, quando ima \occ diMse: occupatovi della Vita. Kra il Leo- pardi. Ma quanto tempo occorso perchè quello ' ' fossero udite! 0 dolce conforto dei non vedere e del non seu* ure, che il pietoso Iddio regala ai po|)oli desti- nati a''l"Ti ne ttoriea II né ooDosciuta, e che conosceva soltanto i suoi privati interessi, sarebbe stata la mente politica più fine ' lo XV. Ospitalissimi i nostri oljtMi.ir-; ■.!_, Li accolsero nei loro iuc;iutevoli j .: .t'i re d'oltremente, li intrattennero in belli e savi discorsi di filo&ona e di politica: l'A- ri---tn fece omaggio del suo folle Orlando: un jiM '!•*, il TiziiuM), ritrasse le sembianze del più potente di questi re; un orafo, il Cellini, battè spade, elmi o corazzi' per l'altro re suo rivale: vi furono anche scambi di doni nuziali, finchò un bel giorno i signori d'Italia, cosi maestri nel V t. --. re una fraude», si avvidero di essere fro- dati. Uno di questi re, anzi re ed i-v^ -—♦--. ci aveva pianUtt*; le tende. Fu il popolo spagnolo che ci piantò le tende .ili ai . ]! il iK?raU)re e re fu Carlo V. Un Papa, di u'jiut i_ i' mente, e quindi un altro Clemente, benedissero quell'imperatore e quelle tende, e co- stui li compensò aiutandoli a dare reale consi- stenza al lungo ambizioso sogno dell'Evo Medio, cioè a cou.solidare nel cuore d'Italia quello Stato della Chiesa che paralizzò il cuore d'Italia: gra- ve accusa, in verità, contro il ' - - -; e certo ad essi, che sono su mancherebbero nenmieno oggi buoni ragion&- !; ■ i per diinoMirare che qu- o era rccla- ! . • da san Tietro o che qu. .__ ... rte in terra ;i va a conquistare la vita in ciclo. Malaugu- oQte sino da quel Cinquecento il Machia- \ ^ - hlico aocusii' — ' .ccusa molto 19 TMMMA grave: quando dice che è mento della Ohiesa se l'Italia ha perduto ogni religione. Gli Spugnoli ci tennero le tende per quasi due secoli e ci in- segnarono tutte lo loro qualità cattive, t«nendo per sé le buone. Dojx), come abbiamo veduto, ve le piantarono gli Austrìaci quelle tende che il Manzoni nel 1821 o nel 1818 consigliava di levare, adducendo inop- pugnabili ragioni dì diritto divino ed umano: 0 stranieri, levate le tende Da una terra che madre non v'è. Se non che l'Austria riteneva (juelle tende legit- time e collocate da Dio, e tutto dà a credere che non le avrebbe niai levate di suo six>ntanoo volere. Bel campo, dicevamo, per le battaglie questa, ahi, non più nostra Italia 1 £ cosi avvenne una seconda volta durante le tre guerre di succes- sione: scorrazzavano per le nostre terre e città eserciti imperiali ed eserciti gallo-ispani, e vi dimoravano per lunga stanza ed i buoni citta- dini erano consigliati a far lieto viso, le dame a danzare in onore dei generali e marescialli, i municipi a pagare le spese. Erano fieramente ne- mici i gallo-isi>ani degli imperiali, ma in questo andavano d'accordo. Ci fu una volta, in una di queste città papaline, che uno di cotaU eserciti Jnirodtuwn€ iitortra 18 imperìali annuDciò la sua gradita partenaui dopo un lungo periodo di ^-r-r» --rj^ uccisioni e feste per le nozze di una i > Maria Teresa. Pri- ma di partire gli ufficiali del prìncipe, generale supremo, feo«ro sapere ai consoli della città co- me fosse oosa di dovere e solita a praticarsi in c^ni terra occupata da un esercito, Tofferìre, al- lorché questo è in procinto di andarsene, un con- veniente regalo al general^ all'effetto di obbli- garselo ed avere riguardo al territorio. I consoli con dignitosa prudenza risposero dì conoscere il loro dovere; ma la Oommiità versare in tali strettezze per le ingenti spese sostenute nell'o- nore di mantenere l'imperìale esercito, ohe non potevano spremere dall'erarìo la benché minima sonuna. Allora quei sìg^orì dichiararono ohe il non dare aAcolto al benevolo luro suggerimento equivaleva a vedere saccheggiata la terra. Fu adunato il consiglio della città, e si deliberò di offrire al prìncipe generale una borsa con due- (;ento cinquanta zecchini. Tenue offerta I Ma le bello parole, umili, ossequiose; gli auguri di ogni prosperità a lui ed alle armi cesaree, fecero a Sua Altezza accettare il dono, oh non confacente alle obbligazioni che la città gli j^rofessava! Ma partiti gli imperìali, ecoo sopraggiongere i gallo- Ispani I Le gravezze dei balzelli e le brutalità dei sol- dati erano giunte al punto che quelle non si po- tevano più nascondere sotto il oerìmonioso sor- rìso, nò queste oonfortaxe con la fatalistica e 14 niuA pulita espressione della e militai^ licenza». Si ri- volsero quindi al legittimo signore, ohe era il r.'ifKi, anzi al signore del mondo. Era presunti'^'" che egli non potesse imporre un ]X>co di ri to per le sue proprietà, almeno a questi re e im- peratori cattolici e cristianissimi? Ma il Papa rispose dolentissimo che quei rq cattolici ubbi- divano più volentieri alle armi e alla voce del cannone che alla sua, la quale si trovava senza il sussidio delle armi e dei denari. Poteva ben compatire, ma nulla fare in aiuto. Era proprio il caso davvero di aver fatto tante feste, tanti tri- dui, tanti ringraziamenti all'Altissimo quando quelle città passarono sotto il dominio del Papa 1 Questa umiliante consuetudine di fare buon vi- so e festa, volta a volta, ad eserciti nemici ci rimase, è doloroso il dirlo, nel sangue sino a tem- pi a noi vicini. Oh, «Juante volte t fuori i lumi I » per i Francesi, quante altre «fuori i lumil» per gli Austriaci I E il gonfaloniere coi signori della città farsi incontro sino fuor delle porte, col sor- riso sulle labbra e l'angoscia nel cuore, a corruc- ciati generali cavalcanti, e porgere le chiavi del- la città su cuscini di velluto assicurando che i buoni cittadini avrebbero sfarzo.samente illumi- nate le vie, fatto scelti concerti, le dame bal- lato, e il Comune pagato 1 Sono ses.sant*anni ap- pena che queste miserabili cose più non avven- gono : il popolo, ohimè !, non le ricorda nemmeno : ma ci si accusa e noi ci accusiamo tuttora di mancare di educazione politica, ma con tanto al- Introòmomt itoHea li :• ': trsi a brevissima distanza dì tempo di grida I t'?: Viva Napoleone! viva Francesco I nostro . ire, viva il Papa, viva la Rivoluzione, viva r.i. Libertà, viva la Forca, viva Murat, viva l'Au- ' 'o imprimere ad un po- 2" , a? Mi sta a mente un minuscolo fatto d*arme, ricordato pur ne' ma- nuali scolnvtici. Nel marzo 1831, il dì venticin- f\»f'. uà puguo di animosi presso le Celle a un IO da Rimini, su la via Emilia, fece fronte rcito tedesco. Ma le prime avanguardie au- iie non «' — : dove è il nemico ? chiesero : «i-i\<- sono i ì' . ' .' I briganti! Oh, lo dicevano in buona fede e !i:"lt«. timore- •' da noi vi credevano. II Niria di 4 . ..^,.jjit4 che affrancarono un (•• I Io e poi furono venerati come martiri ed • roi, è gn^an parte della nostra storia recente! y !e nenia ' ' '■■ '-^' -fintata Ttpia- 1' di soni! _ ito a quesLj popolo già cosi indomito, insofferente, feroce, fé- ■io/ Fin la fecuudità materiale «Iella, geiuni- ziuii': parve avere sostai Per qual delitto d'au- dacia fu riiiilixi. punita/ Tonpiato Tasso dom;in- 1 un confessore che lo assolva di to. Ultimo '"■ ' della Rinascita, i.ii tu pccc'i! Ila grande rivo- luzione del pensiero, la Rinascita, fu dunque cosi ' •' lo peccato che solo 1 (li Qiordano firuno !>;trvero |X}ua condegna .' ^isainenta, uniil- 16 mente davanti aJ tribunale del Santo Ufficio, in Roma, Galiloo osò ripetere: Eppur si muove! Non fu il rogt> che annienta, fu un'altra forma di an- nientamento : la segregazione da ogni essere impa- no del mirabile v^liardo affinchè quella voce non fosse più udita: ma essa volò e si diffuse come il santo spiro di Cristo fuor dell'avello 1 ') Quando discesero i Francesi in Italia col Bo- naparte, e ciò fu nel 1796, parve, come dopo lun- ga afosa stagione, il sorgere al confine del cielo di im. temporale nero oome la pece. Fiamme e lampi balenavano dietro e ne solcavano i mar- gini. Pochi istanti ancora ed ecco si leverà il vento. Chi ha le messi all'apyerto s'affretta a iia/- sconderle: porte, finestre siano sbarrate. Hanno ucciso il loro re, hanno abolito Iddio I Che mai sarà di noi? Chi può, come don Abbondio al Tir - rivare dei lanzichenecchi, prende la via dei rao.xti. Nascondete sotterra i tesori, le reliquie. iJé ver- gini, le caste monache siano pur ess(^ liascoste; e si attende immobili, col cuore che palpita. La nube nera è squarciata da fulgori d armi e can- noni; eccoli, eccoli, sono arrivati, hanno tutto sx>azzato, tutto vinto. Il re del Piemonte cmur una festuca, quattro antfiSù eserciti del 8^i< i\* 'i Si accoglie il motto nella sua forza e significazione tra- dizionale. U'IHJuriUXr .«li'l ir • I dell'Austria sono stati da quelle spezzati come verghe di un inutile •ri di Milano 8\i cuccino ]irezioao inno, tremando, offerto al giovanetto giicrrier3 • Iella città. Attila s'arrestò davanti a uo: non s'arresterà il Bonaparte: un ido lo precede, Tantico, immutabile grido del ' della forza: «O soldati, avete riportato > .fori»-, avete ammazzato o ferito più di die- :uil.i 1 : -ne; avete vinto battaglie senza can- i. ! i-sati fiumi senza ponti, marciato senza scarpe, alloggiato allo scoperto, etc. ». Sostò ap- r»ona al petrone dove Cesare arringò le legioni pò il Rubicone e mosse contro Pio VI. Solo gli immobili santi nelle arche secolari possono .ir.r.. -. iin<» e San Marco a Venezia e Verona, e irò a Napoli, e Santa Maria a Geno- va; banta Maria, dal cielo lontano, è invocata dal popolo. E il popolo è pronto a combattere per i suoi santi e per i suoi signori. Ma i signori di aesia non han membra ohe per tremare, zKm Uan voce che per proclamare un atto di viltà così C-rande che il mercato di Campoformio può tre quasi espiazione. 11 re di Napoli, Ferdinando IV, che s'era avan- zato sino a Roma, ebbe tronoa dal terrore una vana parola di iattanza: ò prooipitato a Napoli, ! U salperà coi tesori, con le ree femmine, Ca- r^ieona, per Sicilia. Più lontano fug- i ()tTÌbili a vedersi, in istraoe fogge, laceri, sor« 18 TtOMÀ dilli di polvere e di sangue; ma tAnte terre haiiiiD corse, tanto saug-ue hanno sparso! Voi non li capite? Ma se rulla il tamburo e canta la «Marsigliese», voi li capite. Voi tre- mate? E che? «Anime timide; e voi, bocche per- fide, cessate di spargere il vostro veleno. Noi siamo qui per proteggere l'innocenza, la proì>i«A, la virtù ! » I cuori cessarono di battere. Stupri, uccksiomì, rapine, non ne fecero es.si di più che gli anticlii imperiali e cattolici e.<)ercitj. I Lazzari, feroci, do- mandarono onore per San Gennaro, e fu conces- sa al santo una guardia d'onore. Del re.«!to, c'era- no i nuovi santi e i nuovi inni: «LilxTté, égalité, frat^rnité », l'albero della « Libertà», il vessillo tri- colore, «Allons enfanta de la jxitrie», «Qa ira». Rullava il tamburo e si capiva; torme poi di Ita- liani, scomunicati e indiavolati anch'essi, con no- mi nuovi alla francese, giacobini e patriotti, .«se- guivano gli eserciti della Rivoluzione e facevano da interpreti. In fondo si trattiiva di ballare, bal- lare a tondo la «Carmagnola» e le donne e i gio- vani — ben lo sapete — imparano presto le nuo- ve danze e si vestono volentieri delle nuove fogge. Si trattava anche di veder fuggire atter- riti gli antichi padroni, i preti ed i signori nobili: spettacolo crudele: ma questa soddisfazione ac- cade così di rado che quando accade ci prende sempre gusto il popolo. Questo temporale durò tre anni (1796-1 79D), e dove prima sorgevano ducati, granducati, regni, Introduritme ntorica 19 •rsoro tante' piccole xe^Hibliche, generate con-. ' "■ ■ grande madre: la Fnuicin. iranjQO 1799, al tempo che Na- leone inseguiva in Oriente non so qual suo >so sogno dietro le orme di Alessandro, .•nace e formidabile Austria, collegata ■ij ridurre in breve tutta Italia alia for- :na di prima. Fuori i lumi, adunque: giù l'Ai- ro della libertà. Si intuoni dai re e dai popoli «Te Deum», si esponga il Sacramento. Bona- • rte è tornato I Ma Bonajjarte è vinto I L'infame lUtnaparte è vinto, il vecchio generale austrìaco M'ias, sempre nei faU'Ui campi d'Italia^ lo ha tito. Messi a .spron ljutt4ito ne diffondono la gran nnov:^: ^ Livorno è giunta La regina Caro- '• -'■ lol re di Napoli, .«morella dell'impera- . ^«orella della decapitata Maria An- :iffrctt:i a Vienna a domandare più \ -Ilo: il sangue sparso dei (tatriotti iiap«il* ' •il lia saziato la sua vendetta: altro aigue e più vasto regno domanda. Ma ecco nel- notte ella «> desta: un nuovo messo è giun- v^. Ella, nell'aprirc il foglio diceva: leggiamo la fine del presuntuoso esercito di Buonaparte. Ma andò lesse la disfatta del Melas, instupidl, ri- ' ' ì\ foglio, le mancò la 1' -te alla donna che l'av . i sta.») ò ancora la dolco primavera, l'astro di Na- , . ae non tr:uitonta. aii/à s.'ilu con l'estate al h CuLUKTTA, Storia M ReaKie di àS'apoli. Libro V, cap x\ìu fio PfttMA SUO grande merìggio; fredici anni durerà quell'e» state purpureo, spentosi contro le brume e il gelo del Nord. La dolce f 'i Francia ne ha a gioire come ai tempi d ' o. La vendetta dei re maturerà nell'odio ancora tredici anni. Napoleone dopo Marengo fu ancora arbitro del mondo e d'Italia. Egli con la spada la tagliò co- me un bel manto antico; col pezzo più unito e piano fece prima una Republica e poi un Regno; e di stoffa regale tanta ne avanzò, che ne diede alla Francia, ne vestì i parenti, le sorelle orgo- gliose. £ tu, madre mia, nulla vuoi? Nulla volle Letizia. Lunga vita e lungo martirio ebbe solo quella lungi-veggente. Dopo la battaglia di Marengo furono di nuo- vo esjwsti i lumi per la Francia e fu cantata la «Marsigliese». Certamente molte cose in quegli anni mutarono, ma non così profondamente co- me può credersi pensando al principio di quel moto, cioè alla Rivoluzione. Le rivoluzioni hanno una certa somiglianza col corso dei fiumi. Noi vediamo i fiumi presso le loro sorgenti precipi- tare dai monti con impeto così grande che fanno paura e diciamo: Guà.i se essi devono seguitare cosi! Oh, non seguitano. Appena giunti al piano, dilagano e prendono corso tranquillo. Napoleone quando prese nome imperiale, mu- tò il rito; non .si fece incoronare dal sacerdote, ma, come tutti sanno, si pose egli stesso la co- rona ferrea sul capo, pronuncmudo quelle famose parole che fecero stupire tutti e sorridere qiial- ItUrothuio»* '$toriea 91 he filosofo: «Dio me l'ha data, guai a chi la < occherà!» Chi sa che anche egli non abbia crc- " irole! Gli croi deirazionc se non 'I sogno dejla loro ouuipotouzcL, iraarrebbero inerti come certi eroi del pensiero. Mutò il rito e rimase l'impero: risorsero i ti- •li di conte, duca, marchese: 8compar\'ero le im- tobili ricchezie del feudo e delle chiese; nacque i nuo\'a, mutabile e maggior ricchezza dei traf- ■^-- - • " ■ :'•• 'rie. Cessò la tirannia dei no- t che dovea crescere così f io- tu detta tirannia borghese, e forse oggi nata nuova tirannide che l'uB* e l'altr» c*cceri di nido. Poi Napoleone cadde in un tragico precipitare. 'iierra di Spagna, di Russia, Lipsia, Waterloo, • > di questa Cc'uluta. Ritornò ancora Italia tenendo a nuino i piccoli prin- ipi: fu cantato il «Tedeum» ancora, furono. re- luri'' lio, si desiderò di restaurare le ^' noi <'i «iumanuiMino: in • ito dal caMo al gelo, <1 i i ione alla riarione, dal «Tedeum» alla < Carma- gnola», i...l..' ^> lo pie- ss fRIMA bi asservite che cosa 3.vevaDo imparato dai cosi detti immortali principi dell'otta titano ve? La ri.s|x)st-a ò difficilo, ma ri ' lu' Miclu^lo il Pazzi), capo dei Lazzari, i. <> che cosa fosse uguaglianza, rispose: Poter essere lazzaro e colonnello. 1 signori erano colonnelli nel ventre della madre: io lo sono per la ug^uaglianza. Al- lora si nasceva alla grandezza, oggi vi si arriva. £ dietro Michele il Pazzo sta tutta una schiera di morti, tragicamente sublime in quello sfondo sereno e ridente di Napoli: Cantcciolo, Mario Pa- gano, Itomenico Cirillo. Un giovinetto fremente incominciava in Cesar' Napoleone. < I una Ili !•> non meno interessante si ouipi anche nei Serenissimi Principi, i quali, da i in poi, si tmvanjno turbati nella loro se- ...;à e dichiararono ai pDjwli che per Tavvc- iirc li avrebbero governati da buoni padri. Di- hiaraxione preziosa che fa supporre il ricono- • di aver governato molto male i)er il Oh, li aveva beu ammoniti il Petrarca in da lontano: i^ual colpa, qual ipudiciu u qtuU datino Fastidire il rìcino? Aliiuiò, gli auimacstnunenti in poesia e in fl- eti è mortificante il pen- ...^ ^ - il. 1 azione e il tamburo della ossa «Miirsigliese» per insegnar qualche contai Dunque fu un gran bene la Kivoluzion«? fran- '>!^c? K di Napoleone lascieremo sempre l'car- li.L .-•tit'ii/^» ai posterit Bisognerà pur dire Mialcho cosa e dell'una e doU'altro, pur gssou- non piacere a nessuna categoria 24 rrmu Noi nelle scuole, noi libri, nei discorsi, abbia- mo imparato a considerare la Rivoluzione fran- cese il più gran fatto del mondo; il sangue delle sue vittime ci par\'c una purificazione e, sva- nendo, divenne come .una cornice purpurea in- torno a un quadro di incorapanibile potenza e le disperate grida noi non le abbiamo -udite, per- chè suonava così giocondamente, così terribil- mente la < Marsigliese » che non si potevano udire I Le orride megere *) attorno al palco della ghi- gliottina in Parigi ci parvero giuste come le Par- che. Abbiamo imparato che Marat aveva nel cuo- re il dolore dei secoli. E come noi, tutti, che assistemmo da un posto più o meno distinto al dramma meraviglioso; e se qualche solitario osa- va criticare o zittire, noi non chiedemmo: Per- chè disapprovate o zittite? ma dicemmo: Fuori! Questo giudizio si è alquanto modificato da quando, per un bizzarro privilegio concesso a chi medita, siamo potuti entrare nel palcoscenico do- ve si svolse quel dramma. Ma di questa modifi- cazione di giudizio è inutile parlare: esso ò cosa più che altro soggettiva, mentre cosa obbiettiva è il fatto che la Rivoluzione di Francia è stata la generatrice della età nostra» nel bene e nel male, in ciò che si vuol conservare e in ciò che di lei si vuole distruggere o rinnovare. È evidente perciò che i figli la venerino come madre ed evi- lino di discuterla. '; Triiolfìiscs, ìntrwifirione ttorica 25 Intorno a Napoleone poi molte poesie italia- ne, francesi, tedesche abbiamo anche imparato a TiuMiioria fin dall'adolescenza, ed abbiamo osa- to >i'iagere lo sguardo sino all'alto vertice del suo mommiento, sperso nel cielo 4x>me una gu- glia alpina: s«i non che altri, obbligandoci ad accostarci a quel monumento, ha fatto osser- vare ohe di cadaveri sono le basi, di sangue e di lagrime il cemento. Verol ed a\Temmo inor- ridito se subito non ci fosse venuto a mente che gli uomini elevano di solito i loro eriifici con simile macabro materiale costruttivo. Co lo liaiifiM anche -entato con Giulio Cesari, cadaveri allineati: meno im> j)a.ssibile di quei truci cavalcatori. Eppure, chi sa per qual malia, noi non abbiamo potuto odiare. La nostra ragione non ha saputo vincere il nostro uff» tto. Sovente anzi l'affetto disse alla ragione: (ìuiirda: una lagrima è impietrata nel suo ciglio! Infatti l'Austria quando di soppiatto, negli an- ni 1814, 1815, penetrò in Italia, trasse partito non soltanto dell'odio degli Italiani verso Na- poleone per il molto oro e il molto sangue che costui richiese in quel suo ultimo, folle, dispe- rato opporsi contro al fato; ma blandamente, astutamente cercò di insinuarsi nell'animo de- gli Italiani ooi ricordi dell'antico tempo, delle antiche glorie municipali, della nostra storia pas- sata. 1'' 'de, il Bellegarde, presenta gli Au- striaci UOStri libc-raLori, ilichiara che era S6 raniA suonata «l'ora delia nostra redenzione», oi chia- ma calla difesa comune», ci jiaria «dei nostri le- gittimi diritti». Anche di «iudipcndenza» ci (>ar- laroiiu gli Austrìaci, della felice It^ilia formata di tante piccole patrie, delle arti anche, del pia- di rivedere gli amati principi e <ì '" ' to i. .:mo sul Campidoglio: un curioso mit. _^ ^ di antico e di nuovo fecero sventolare davanti alle nostre passioni. Era naturale. Nai>oleoii( wju caU;* ^ ■ . . ìì«,u-u di un solo colpo mortale, ma molti colpi mor- tali occorsero, come ad Orlando, affinchè fosse atterrato. Murat e Be:itih;iriuiis, benché avversi e avversati, j>ur si maiiteucvano con eserciti in Italia; d'Italia libera ed una parlò anzi il Murat con una >x)ce che rimbomberà fra poco, ma clic allora, fra il crollare dcirimuuuie edificio napo- leonico, non potè bene essere udita. Bisogua\u ricorrere ad ogni mezzo per atterrare il colosso e l'Atistria ricorse sino a stimolare il nostro or- goglio di italiani. Infine l'ultimo crollo avvenne, le macerie precipitarono, la tem]K3sta delle pas- sioni Issarono come i)o«a la ]>olvere doi>o che un edificio e caduto; e allora apjujnero netta- mente le cose: àpjiarve l'Austria. Come e che cosa l'Austria intendesse j>er indi- pendenza lo dicono, per esempio, queste parole dell' imperatore Francesco 1, che accompagnano l'alta onorificenza al Metteruich, repressore dei moti del '31: «Per aver tanto contribuito a man- tenere rindipoudcuza negli Stati italiani*. Introduiiume fturicu ìi7 ApiKire l'Austria nel suo atteggiameuto vero e f I' »'• . • f !:.|ie cliii seusi più ottusi fu scutitA i|ucil .itiiK .-Kra «eli titcitunia opprc88Ìoue quale mai uou era«i, oè fu più provata^ lauto niag^orc quanto non ricreata da veruu lampo di speran- za». Queste parole si tengano a mente perchè non sono di Giuseppe Mazzini: sono di Cesare Cantù : Allora quel fiero e fanatico ministro della rea- zione dell'Austria, il Mettemicb, torcendo a peg- giore e maligno seuso t4itta la storia della patria nostra, dirà: «Ma che nazione! l'Italia non è ua- •T'Tv f: ì j-r. i TTvfica!» E se non bastai it>e, dall'occidente verrà, altro oitniL l/itaiia è la terra dei morti». ^' •; come è jxMitica questa terra df } j ^ riti fra le mine e monaci molti fri !• tombe. AI sole qualche Grazielhi cauta.... E gii inglesi taciturni e straui infatti vengono a conieniplaro e pregano che Utie bello spetta- colo uou sia inai rimosso: ma un inglese, appun- to, gettando una sua romantica face fra quelle < ••>< (!: i 16: Si agitano dei vivi in quel >(•]•• >1< I * Byron. Ha vediauiiu, vediamo ciò più minutamente. Alfredo Do I^russet^ ael prìnoipio delle sue ( "^ ni di un figlio del secolo», detcriva v\ .. 3'giabiic pcouQUu il Sfiato (ii flt«IKltti- S8 PBDU sa e di smarrimento dei Francesi dopo quella di- sperata corsa dietro alla gloria e alla guerra. 8i guardarono e si videro brutti di ?< " ^ e di sangue. K allora quei guerrieri rie » che oltre a Napoleone e alla gloria, avevano le culle; e le tombe. Tale senso di sUinchezza invase an- che l'Italia, come quella nazione che più da pres- so aveva seguito le sorti francesi. Non o'è più sangue nelle vene da offrire a Najxìleone? Non c'è jiiù sangue, e molti videro in Bliicher e in Wellington i nuovi Tesei ohe avevano liberato il mondo dal Minotauro, divoratore di giovani vite. Se non che la Francia fu vinta soltanto, e l'Italia fu conquist;it.L o fratt.ata secondo il di- ritto della conquistai Le grandi potenze d'Euix>pa, coalizzate prima contro Napoleone, poi, dopo che egli fu vinto, strette in un'alleanza che fu detta Santa, impo- sero per re alla Francia, conforme al principio del «legittimismo», escogitato in quelle circo- stanze. Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI, quel re che, a testimonianza di Samson, il carnefice, seppe morire da Re dopo essere vissuto poco be- ne, almeno come Be. L'Italia, invece, fu tutta preda dell'Austria. Blandamente da prima e quasi amorevolmente, sì che molti si mossero incontro a lei. Ella ci ricordò il volto degli antichi amati sovrani e promise che oe li avrebbe ricondotti. A chi ave- va imparato dalla Rivoluzione il principio di na- sionalità richiajgijò astatamente, come dicemmo, i lUroAttioM itoriea S& 1. i! M ' '; he glorie e lilMrtÀ eoniiiitali. A chi .tiiia\a. la j.i* o. riconiò il lungo «• jincifico go- verno di .Maria Trrcsa. A chi odiava le novità democratiche, fece sapere che i Re grandi e gli l!itj>.rTìt..ri. stretti in unii alleanza Santa, avreb- Imtk nmr^se le cose come prima. Sepi>«, insom- ma, abilmente trarre profitto di quel comples»3 di passioni politiche che si scatenano in ogni nazione dopo un grande sfacelo, ma che in Ita- lia, i)er effetto dcU'iudole nostra e delle antiche dissensioni regionali, hanno maggior rigurgito e più ' I violenza. E somprese e niini- bil mente sfruttò. Verso coloro poi che oiliavuno Napoleone, l'Au- stria aveva le niap -• -• ' iiemerenzc. Voi direte Lipsia, la tragica I t di tre giorni, voi di- rete Waterloo, voi direte gli eserciti imperiali ri- sorgenti sempre dopo la sconfitta. Ve di più: l'imperatore d'Au.stria gli ha in- fitto nel mezzo del petto una spada avvelenata: l>one ha il petto di bronzo colui ohe vide impas- sibile i campi coperti dei morti: ma a tanto strazio non rcsititerà. I^ moglie sua, figlia del- l'imperatore austriaco, ]^f:iria Luisa, sorride dal- l'incosciente volto di 1 ' Vi, in Parma, odo- rosa di viole, ni cavai -triaci. Ma un più indomabile affetto aveva quel cuore di bronzo. 80 VKVtA Ivu HO, la storiu ufficiale uon lui tempo di regi- strare gli affetti privati dei protagonisti tlei pran- di drammi della vita. Ma questa ommissione è orrouea. Un iudumabile affetto: il figliuolo; per lui solo oramai il Minotauro folle conquistava il mondo. Al nepote deirav>'ocato Carlo Bona parte e dell'umile Letizia Ramolino egli aveva impo- sto il titolo trionfale di re di Roma. Di tutti i previ emblemi dell'impero, lo aveva gravato, il bambinello! Mille canori poeti cantarono il suo nascimento. Ma noi non ricorderemo nò quei canti m> quei poeti. Ma ricorderemo che era là, su le rive della Moscova il giorno jin cui mezzo mi- lione d'uomini si projKiravano a .sgozzare altri uo- mini che un messo venne e che recava il ritratto del pargoletto sorreggente nella manina i mo- struosi pesi del mondo e dello scettro. Ricorderemo che quando Napoleone fu depo- sto, domandò al suocero la moglie e il figlio. f] l'imperatore d'Austria negò. Ricorderemo che nel marzo del 1815, quando Napoleone riprese per cento giorni l'impero, domandò ancora la mo- glie ed il figlio e l'imperatore d'Austria negò. Al giovanetto fu mutato abito, linguaggio, nome. Il bel castello di Schònbrunn fu la imperiale fio- rita Bastiglia ove languì, morì — nuova maschera di ferro — il figlio di Napoleone. Dopo ciò che cosa è il t Bellerofonte » che navi- ga verso l'isola di Sant'Elena? che cosa è Hudson lx)we, il carceriere feroce? Dunque bene aveva titoli di benemerenza Fran- Introthuione storica 81 CPROo I iiii|M'ratoro «l'Austria per coloro chn in lUilia odiavano Napoleone. Ma altra cosa con- viene dire per ispiegare come molti si fecero in- contro all'Anstria, tanto che aristocrazia di scn- tirn<-nti fu detto il partegg'iare per l'Austria, e in Miliuio queiraristocrazia provocò un tumulto per affrettare rultimo crollo del dominio fran- cese. Io voglio dire il giuoco degli interessi, la molla occulta, che governa tanta parie dei fatti innani: la classe dei nobili sperò nel ritomo del- l'Austria il ritorno degli antichi privilegi e nei .s(»ldaii austriaci videro soltanto i buoni servi ar- mati, che li avrebbero difesi dalla Rivoluzione. Ma più sottile cosa conviene dire, cosa con- ' Hata spesso, determinabile a via è la ragione per cui i fatti si svolgono in un certo modo costant<>. Molte persone, all'infuori di ogni intere.ssc ed opinione, provano un invincibile senso di rcpu- gnanz;! contro la mediocrità e Li viltà invidiose, prtMMccianti, trionfante: queste numerose e ma- li^n. umane si sviluppano tanto in regime ari 'O come in regime democratico e per distruggerle io dubito che convenga distruggere l'umana natura. Ma certo in clima democratico hanno una fioritura più apyporiscento o se voglia- mo dire in altro modo, possiamo dire che il re- gime aristocratico vietando molte cose, vieta nel- le piazze l'ingombro e il tumulto dei ciarlatani e dei c;i\-adenti e non permette le grida di viva f> di morte che il publico alterna. 11 regime ari- Bì nuu stocratico, inolt-rc, essendo più slabile, non per- mette così fa<'ilmont4^ che sul corjM» «Iella pt)vera volpe, caduta nel fosso, e succhiata dallo mo- sche canine, queste, gonfie di sangue, siano scac- ciate per dare posto ad altre mosche di altret- tanto più avide quanto meno sono pasciute. Ora molte nature sensibili dovendo scegliere tra due mali, danno la preferenza a quello che è meno nauseabondo. Chi non ricorda, ad esempio, le terribili invet- tive di Ugo Foscolo nella « Ypercalypseog » contro la demagogia del tempo napoleonico, e le atroci accuse contro Milano, «Babylon minima», che pur fioriva di uomini insigni, compreso lui, il Fo- scolo, magnifico figlio di quella democrazia? Ma la verità è questa: quei grandi sono rimasti e la turba agitata e agitante è scompiirsa, come allorché la nobile pianta è riuscita a crescere a dispetto delle male erbe che rigogliose attorno le succhiano l'umore, più quelle non teme, anzi intomo le uccide. Certo che per allora l'Austria si presentava a molti come la giustiziera contro l'invidia dema- gogica, contro «quii prepotentoni di Frances», come il buon governo che riconduceva il quieto vivere e il lauto «pacchiare». GioA'annin Bongee col suo fratello 3farchionn di gamb avert, avevano di che querelarsi : donna Fa- bia Fabron De-Fabrian poteva con amabile ter- rore, ma sicura oramai, parlare nel suo salotto al frate confessore delle «fellonnii» del passato Tnh'Oiìuzi.:^^ 't>i !ca 83 •?mpo francese, e dei t sovvertiment '"''» l'ilfF' r- rcito italico di Gioachino Murat, ::i .\.4 .1 'II. ..• l'Europa l'Oceano, l'Austria di- enuta arbitra delle sorti d'Italia, potè mostrarsi 'e. ...... ^.^.....lrò l'Imperatore austriaco ai pro- ri dell'Università di Pavia, sappiate che io lon voglio gente di studio, ma voglio che mi fac- < iate dei sudditi fedeli, devoti a me ed alla mia ''.osa. E buoni vassalli furono a%'>'crtiti in segreto ■ i essere i piccoli re, duchi e granduohi, che l'Au- ci riconduceva. u.i essi, sì, erano disposti ad essere buoni vas- tllil Fu decretato ohe tutto dovesse tornare co* ra prima della Rivoluzione e di Napoleone; l>AIISIM. Ji ttu, • 84 rKuu ^■■■" ' Il !■■ ■ ■ i ■ ■» - ■ ■■■■.■■■■ .1^ ■■—,■■ I I» I, ^ tutto doveva essere restaurato: restaurate le de- crepite mine feudali. A itnano, dunque, rAustrìa ce li ricondusse gli amata principi. Ma di che avete paura? Le baionette jaustriache vi difen- dono. Egli è là, in piezzo all'Oceano. E primo il papa Pio yil. Egli soffrì quaai il martirio per opera di J^apoleone: strappato da Roma, deportato in ^rancia! £ i pii vesoDvi chiusi nel forte di FenestrcUe e costretti a leg- gere l'empio Voltaire I Oh, i devoti sudditi non lo ricompenseranno mai abba^stanza di tante affli- zioni! L'Austria riconduce nel regno di Napoli anche Ferdinando Borbone: egli ha mutato no- me. Non è più Ferdinando IV, ma I. £ più tre- mante di prima perchè fu lì lì per vedersi sop- piantato da Giovacchino Murat. Però i sudditi lo riconosceranno lo stesso. Le macchie di san- gue dei grandi morti della Republica Parteno- pea, non si possono scancellare: non resta che coprirle di nuovo sangue, e quello di Giovacchino Murat sarà pur bello e generoso sangue. Poi ver- rà il sangue e il tradimento dei costituzionali del Ventuno, che a tanto obbrobrio lo riserba la sua lunga vecchiezza. In Torino a gran festa ritoma Vittoria Ema- nuele I, con parrucca e spadino come prima che Napoleone lo confinasse in Sardegna. Veste al- l'antica e le baionette austriache lo circondano. 'aAO. Tutto oome prima, e in fatti il buon Re sole- re ohe aveva dormito per quindici anni, one ohe può fare il paio con l'altra di lando IV, cioè ohe egli non camminerebbe te dai Francesi. Ma non aveva dor- ..lu-Miio, che se avesse anche lei dormito, u Re non si sarebbe destato sul trono. Oh i non tutto proprio oome prima! l'Austria alla '^irdia che sola possedeva nel secolo XVIIJ, _ LLse anche il Veneto e Venezia. Venezia eni ita la più aristocratica e patriarcale delle Re- he e gran nemica della Rcpublica giaco- "" ". Avrebbe jdovuto com« premio di />ia e a rigor del principio Icgitti- • 1 t aurato, ixìa o che il nomo di re- lu in quell'anno 1815, o che id principi da riiuettoro sul 'no o piuttosto che sembrasse una bella prc- Mgnata fino da antico, l'Austria fece pru- -ome Napoleone, si preso Venezia per so. il abituato alla docilità quel popolo di Ve- >l I suoi carnevali e le sue sagro gli sanuuK) ' ' ' ]>reso la Valtellioa, la qua- , oioò dall'Isonzo all'Addo, 86 nauA coQgiungeva le provincie italiane a quelle au- striache direttamente, mentre nel secolo XVII i la Lombardia era separata dall'Austria per iiu-/.- zo della republica dei Grigioni. AvTebbe alir< -i l'Austria desiderato di lanncttere anche le lega- zioni, cioè le quattro (provincie di Ferrara, lin logna, liavcnuo, Forlì. Così belle, così ubertosi Presidiarle, almeno! E infatti le presidiò quasi sempre sino alla primavera del 1859. D'alti-, porte si passava cosi bene per quella magnific. antica via Emilia, tracciata dal genio di Ram;i. ove corsero le ^legioni le lo aquile di Mario e di Cesarei Inoltre si passava per terre ami ' ^ ' l'Austria, perchè il bel ducato di Parma, za, Guastalla era stato dato a conforto della sua vedovanza a Maria Luisa, austriaca; si passava per il bel piano di Modena e Reggio, ridente di ubertà, che era stato dato a Francesco ÌY- d; Este, nome italiano e glorioso, ma sangue au- striaco, aonbizione e orgoglio austriaco: era cu- gino e cognato dell'imperatore d'Austria. Di Ji si poteva ben passare in Toscana, che era stata ridata a Ferdinando IV, austriaco, che si appre- stava ad applicare ai suoi popoli la cura del pa- pavero che già e il mondo va da sé», come assi- curava un suo acuto e italicamente scettico mi- nistro, il Fossombroni. Stati amici e Stati «reversibili» all'Austria. Tanto amici che si rispaimiano loro le spese dei soldati. Ci pensa l'Austria. Di soldati ne ha tanti l'Austria: quanti ne volete. Auchc se nou volo te, IMtmIhHoim doriea 87 rraono i soldati dell' Austria. Appena il gallo iiterà ai dormienti nell'alba ohiara, l'Austria inderà i suoi soldati dalle quattro fortezze di intova. Verona, L^nago, Peschiera, già che lo disse anche Dante: pMcbiera bello e forte Dopo ciò quale meraviglia (io non dirò le sètte Larbonare e Massoniche pullulanti in quegli an- ni) se un plenipotenziario inglese, lord Castle- igh, reduce dal congresso di Vienna, ove que- sti patemi Re si erano adunati a congresso, ci pafla di e mercato dei popoli» fatto in Italia? Se un cardinale, il Consalvi, vagheg^a una setta segreta contro l'invadenza austrìaca? Se lo stes- ^" 1 seppe De Maistre, il poeta mistico della Alleanza e della forca, onora l'Italia della sua oompcMsione ? Oh non mai tanto oltraggio era stato fatto ad un popolo I Potò l'Italia essere stata saccheggiata, lacera, corsa, più schiava, più afflitta, ma più oltrag- giata, più schiaffeggiata con profumata mano, noi Sentirono gli Italiani questo mercato, questo oltraggio? SI, lo sentirono quando il laccio al collo era ben stato m^sso e con un sintomo ter- ribile che montò alla gola di quelli stessi che avevano invocato sei anni prima il ritomo di Astrea : il soffocamento, l'assorbimento. L'Austria stessa ci obbligò a reagire, a spessare quel laccio - volevamo vivere. 88 PRIMA Non tutto però come prima: non soltanto perchè non si volle, ma essenzialmente perchè con tutto il buon volere di un Mettémich, con tutti gli sforzi del sofisma di un De Maistre, con tutto il misticismo dei gesuiti fioriti accanto ai tro- ni, non si "potè. Non si potè per la semplice forza delle cose. Le antiche corone videro l'im'possi- bilità di rinnovellare la consacrazione se non col beneplacito dei popoli. Si desiderò, e in buona fede da molti, di restaurare i patriarcali gover- ni di una volta, il patronato delle caste privile- giate come in antico: ma non fu più possibile. Il passato era morto per sempre I Ai popK>li ai quali si erano voluti togliere i benefici degli ordina- menti democratici, non fu possibile ridonare un'al- tra volta i benefici dell'antico stato di serv'itù. Anzi gli stessi governi assoluti, prima l'Austria, che non volevano a nessun patto camminare per le vie aperte dalla Francia^ furono costretti non solo a camminarvi, ma conservarono ciò che di meno desiderabile produssero la Rivoluzione e Na- poleone: l'accentramento e la tirannide burocra- tica, la coscrizione, gli eserciti stanziali, e ÌDfine la gravesitó. dei tributi. Sotto questo anacronismo si efasciò la lega dei Re. La libertà non è dono della ri\'oluzione, ma è dono di natura. I trattati del '15 violarono que- sta legge di natura^ Ma per ciò che riguarda l'Italia, essa, .-i^-^- n,», ad uno speciale inasprimento da parte dell'Au- stria, ha una storia sua propria. Questa vetusta TtUroèiuiome dorica 89 madre delle genti fu qualificata «come popolo infante, ohe «ssa, TAustria, durava gran fatica a educare alla sapienza germanica» chiosa il Cat- taneo; e la ribellione si formò spontanea e fu soprattutto ribellione di aristocrazia e di intel- ligenza. Un patrizio un giorno trovò che con tutti i suoi pri>'ilegi di casta, non poteva respirare e disse: e No!» Alle frivole spose danzanti con usseri da* merini, alle insensate matrone ciancianti con de- crcpiti marescialli, stette dinanzi la testa tcrri- Ivle di un loro pari, già presso al patibolo : Fc- iferìoo Gonfalonieri. Ai buoni popoli addormentati nel queto vi>rt«j e nel bel mangiare, un poeta, come Dante i com- mutati in mostri della bolgia ottava, cosi il Ber- obet presenta i figli del popolo sotto la meta- morfosi orrenda, quale simbolo di una metamor- fosi dell'anima nostra. Ha bianco il rettito, Ha il mirto al cimiero, I iancbi gli cingono II giallo ed il nero. Colori CMcrabili A aa italo cor. La 'Il '■ 1. anni e (ielle 'litiche per CUI iui ~ i M ..iti quei rei > > del 1815, ò la storia di questo libro. Cavour.'' >) Nato a Torino U 1810, morto a Torino il 1861 : iiito 0 fltdetlo d«l BAmbMe Miehela « detto eoataon AMe <«uft SrilM d'AUoMB, fiàmiM, ii tedÉUA orimift ftMoena. Ka tarato a hiffwl«o hi yrlBdpe OaBiDo BorgWie • dalla l>riad|iin FlaoUM Paiifcaaa BoMpaita. PiMt bmm dal padriaa IL 18 5 9 t e a ▼ 0 n r. I Greci raccolsero l'antica storia nel nome di alcuni eroi, Ercole, Edipo, Prometeo; stermina- tori di mostri, interpreti di enigmi, rapitori del fuoco. Noi non abbiamo più simboli, ma anche noi raccogliamo in pochi nomi l'opera di coloro che ci diedero una patri. > Anch'essi furono eccitatori del fuoco, stermi- -*~ri di mostri, interpreti di enigmi. Noi ci ac- cano in quattro nomi, quattro figure; e, in qualche vecchia stampa di vecchie case, voi le potate vedere insieme: il Re, gran baffi, gran ]>iiizo, gran forza; egli sta davanti, bonario ma risoluto, e A Roma ci siamo e ci resteremo l> Ha l'aria di diro proprio così. Ma Giuseppe Mazzini non ode; fa della palma Ietto alla guancia e sempre più s'assorbe In aè, sempre più macero e triste. Con lo mani che osoono dal poncio, corno da 44 n. 1869 una stola, Garibaldi posa piamente su Telsa del- la spada. Figura esotica; venne da lontano, da un oltremare lontano. Eppure altre volte ti ab- biamo incontrato nel cammino dei secoli morti. Ritornerai tu ancora? Una quarta figura: una barbetta caprina in- cornicia una faccia sbarbata, paffuta: occhiali a stanghetta: pare un vecchio. Invece è quello che è morto prima degli altri ; nel colmo teso della vita la sua vita è stata spezzata. Pare il burocratico, il segretario degli altri tre. Cavour. Sì, un burocratico di molto concetto, un di- plomatico pieno d'ordine. Eppure quel volto par- ve sospetto ad un occhio acuto che lo vide per la prima volta. tSi sente, si vede, si riconosce in lui il cospiratore ». 1) Era von Hiibner, l'am- basciatore austriaco. E vero che non doveva riu- scire difficile per un italiano, semplicemente pensante, passare da cospiratore agli occhi di un personaggio austriaco; ma è anche vero che quell'uomo d'ordine, uscì sj>esso dalle rotaie*) della diplomazia e buttò per aria molte com- binazioni degli altri diplomatici. Pare un me- lanconico ed era un giovane allegro. £ Iddio lo ha aiutato, anche perchè lo ha fatto morire mol- to presto. Altre vecchie stampe ho visto che portavano *) HUnsKR, Keuf an» de souvenirs d'un amba$8)j,iij vi suppliva con un gran scialle at- traverso la grave persona. «Quello 11, vedete, è passato sul corpo di due ropubliche per fare l'Italia». Era un ammiratore grande di Napoleone III, che diceva aver conosciuto, giovanetto, in Forlì. Qu<>lla stravagante espressione di aver ucciso due ■liche per fare l'Italia, era poco compren- a noi ragazzi. Ha fatto l'Italia, lui? A i:i"iii, oggi più che mai, questa affermazione sembrerebbe blasfema. Ecco, diciamo così: Ha peimesso che quegli altri quattro si potessero fare il ritratto insieme. Questo Imperatore era un melanconico ed un erodente in una fede ir- razionale: il suo destino; e Iddio non lo aiutò. 46 IL 1859 Ma dietro questi personaggi famosi sta una schiera molto grande e confusa: essa si spcrdc lontana negli albori del secolo, si fa folta e poi dirada sino ad un impiccato recente. Comprende martiri puri, quasi verginali; comprende torbidi e audaci uòmini, insofferenti dell'attesa, uomini di congiure e di sangue; solitari che dai libri meditati videro balzare fantasmi che additavano un'arma; preti che leggendo l'Evangelo, udirono il rimbombo della voce di Cristo; madri che dis- sero al figlio: e Val» Noi non li nominiamo per devozione a quelli che sono mcn noti. La più parte di essi morirono giovani, affinchè il detto di Menandro si rinnovellasse, *) e anche perchè cosi piacque airAustria. Piacque all'Austria co- spargere di sangue questa terra ritenuta soltan- to la terra dei canti e dei suoni: ma essa era anche terra feraz et ferox, ferace ed indo- mita; e quel concime purpureo fu ottimo gene- ratore di martiri. Noi non li nominiamo, ma ci piace commemorarli semplicemente con le pa- role del Poeta: Io to' rapirti, Cadore, Tanima Di Pietro CalvL Costoro sonò il santo fiume umano, che ina- bissa e riappare, dilaga, si stringe, rugge; va h QueiH eUi diligunl adolestena inorilur. Cwnmr 47 per meandri strani, alimenta, fa la storia d'I- talia. 0 padre Nilo, — chiede l'antico poeta») — (^uale origine hai tu? in quali terre nascondi le tue sorgenti? O fiume del martirio d'Italia, dove, come na- scesti l 11 ritratto che Angelo Brofferio ci porge del Cavoiur, quando fu eletto deputato del '48, non è punto lusinghiero: e Qualche suo discorso nello adunanze agrarie aveva potuto metterlo in evi- denza esperto di traffici e versato negli studi economici e rurali; pia nessuno si accorse che n(*na sua mente germogliasse qualche peregrina idea e che nel suo cuore avvampasse qualche fa- villa di quel sacro fuoco che solleva gli uomini supra la terra. Nuocevagli il volume della per- sona, il volgare aspetto, il gesto ignobile, la vo- ci- ingrata. Di lettere non aveva traccia; alle arti ora profano; di ogni filosofia digiuno; rag- ^,'io di poesia non gli balenava nell'animo; istru- •/iune pochissima; la parola gli usciva dalle lab- bra gallicamente smozzicata; tanti erano i suoi solecismi, che metterlo d'accordo col dizionario della lingua italiana sarebbe a tutti sembrata iiii{>os8Ìbile impresa».') M CÉtoUo. *) Storia lUl Parìainento Subalpino, l, y»,- : he il DrulTerio fii seguirò (^umIo yarulc; ' aacbo <:■ . 'tici 48 IL 1869 Non era bello, infatti, e il D'Azeglio, che fu bello anche come uomo, lo chiamava fra gli in- timi ci Pansciotel; e Hùbner, che lo vide a Parigi del '5G, al tempo del Congresso, dice di peggio: «che il suo fisico mancava di distinzio- ne». Era cosi distinto il conte von lliibuerlt) La sua natura era antipoetica come egli stesso dichiara; ma l'abbondanza degli spiriti poetici in Italia ci può compensare se Camillo Benso di Cavour era specialmente un intelletto mate- matico. Però « profano alle arti » non lo dirci : un giorno tornando a casa (era del 1860 e di cose pel capo ne doveva avere jiarecchie), trova sul tavolo il progetto del regolamento d'ornato per la città di Torino. Il caso volle che, avendo un ritaglio di tempo, lo leggesse. «Quale fu il «mio stupore 1» — scrive') a quel sindaco — «Giammai lo spirito investigatore, intromettito- «re, seccatore dell'amministrazione produsse ope- «ra peggiore. Povera libertà a quali dure prove «si sottopone. Non una finestra, non un balco- «ne, non luna cornice senza l'assenso jtreventivo «del sindaco. Persino il colore delle pareti in- « terne delle corti sarà sottoposto al gusto di «quel funzionalo e la censura con tutti i suoi una buona parte andò fallita „ ; e prima dice: " nessuno cer- tamente per quanto fosse dotato di perspicace sguardo, avrebbe allora potuto indovinare rie! conte di Cavour il sorprendente uomo di Stato a cui l'Italia doveva sciogliere tanti inni di riconoscenza, distribuire tante civiche corone, innalzare tanti monumenti,,,'.?) ma questi emendamenti conifermano, non di- struggono la malevolenza. >) HtlB!(KR, I, pag. 423. s; Coiauì, IV, pag. 116. Cavour 49 rigori, applicata aNc costruzioni. In verità se :•> ' •> non I il Im)1Io ninnici t\ii . -. . Ao che £1 L ... 30 di un regolarli •^dilixio. redatto da un sinedrio di mandarini I» ritrovato dai generali alleati ne! palar7o co- miinriìr. di Pekino. Per onore di Torino sospenda 1.1 (ii-cussione di quel progetto. Nella legge co- munale ohe 8Ì prepara, sarà proclamata la li- bertà ai cittadini di ornare le loro case Katendono, epperciò la soppressione della - ta d'ornato. Massimo D'.Areglio mi dichiarò che, !ie non è morto o paralivico, si recherà al .*^e- ■ "♦- -or comlxìtAere un'istituiinne altrettanto . ai citta> ••■ iri"i Ili 1i> fi ifl •> •>() Di lettere aveva realmente poca «traccia -, per- > Lx Rm . le de Cwnmr, ridi» ti $ourenii». V -. Hrttf!, !-• i'4inniL II iM9. « — ■ lorie, studiare himifiche, survrgliurc imicr.hino; < nei ritagli di U*mpo, leggere, lej^gere, leggere. Però digiuno di lettere non lo direi. Certo ab- bondano i solecismi e, spiace dirlo, il suo pen- riero si muove più franco ed agiht nella forma francese che in quella italiana; però anche in italiano scrive con una qualità notevole;, ed è questa: se noi preudiamo le forbici per isfron- dare, tagliare, non ci riesco: si rompono le for- bici, ma la sua prosa resiste. Non gli piacciono le espressioni antiquate, i giri lunghi di parole. Mi ha tutta l'aria di sottoscrivere al parado.sso «'el Carducci : chi potendo dire una cosa in dieci ]>arole, la dice in venti,, lo credo uomo capace (li male azioni. Una volta un insigne letterato gli ìiì-h.. ,.i,a relazione e la infiorò con dei e vuoi» e degli e imperocché > ; ma lui dichiara che la sua rela^ zione egli era stata guastata», e che «un'altra volta userà del diritto di dire degli spropositi ». ») Ma non chiameremo spropositi questi avverti- menti sull'arte dello scrivere, conteimti nella se- guente lettera del 22 maggio '59, dopo la vitto- tia di Montebello: «Desidererei che il nostro <> Stato Maggiore affidasse a penna più abile la «cura di raccontare i fatti. L'ultimo bollettino e sul combattimento di Montebello era redatto «in stile da Fischietto. I soldati che si bat- «tono oltre il bisogno, la lotta che è fermata h Ohula, IV, pag. Uh (\iroiir RI . riUciu i più Lx-'iie- !i ^ , i icario tale e quale. \\Tei fatto altrettanto della lettera a Sonnaz, fossi stato a Torino (|uaiido ci fu mandata .1 .......5,0. Non so chi la scrisse, ma in verità • parlare dei bracci che incanutiscono del senno che non incanutisce. Ma sopportai con rajìsegnazione della cattiva prosa, se :inat« a fare, come in questi giorni, fatti • certo non possedeva tutte quelle L.V.. ;one eniuneni nel «De Oratore^; nò nrn eloquente al punto da piacere ad ima molti- line poco pensante e molto desiderante. A que- ' " 'ifettò specialmente la Retorica, di- ' , sopraAissuta in buona s;ilnt<^ a ito tramonto e infermità di numi; ma la sua corre inci.ci mor- ti I»') raccomanda ripetutamente ai regii com- missari; cioè evitino ohe il giorno del Plebiscito coincida con quello dei morti. Triste presagio 1 Né gli mancavano qualità profetiche, che è il massimo della filosofia, anzi della poesia. Se ne potrebbero portare parecchi documenti. Eccone alcuni: Giovanis.simo, vivendo a Parigi la gran vita mondana, confida al De La Rive queste sue impressioni: «Credete voi alla possibilità d'un «potere aristocratico qualsiasi? La nobiltà crol- «la da tutte le parti. I principi come i popoli < tendono a distruggerla. Il patriziato non ha più «posto nell'odierna organizzazione sociale. Che «cosa rimane per combattere contro i flutti del- «la democrazia? Niente di solido, niente di f cr- ete, niente di durevole. £ un bene o un male? «Io non ne so nulla; ma a mio credere è Pine- evitabile nell'umanità. Prepariamoci o, almeno, «prepariamovi i nostri discendenti, che ciò li ri- ») CniALA, IV, pag. 197 (Lettera al Pantaleoni). *) Ibidem, IV. pag. 184 (Lettera al Vìmercati). *) Ibidem, IV, pagg. 47, 48. Pn^fmr ,S3 _u i: i.i più di noi»i) Àncora: e La salvezza d'I- talia sta uel Parlamoato. Se ri è' in esso una ma'^"^'ior;in7.a onesta, liberale, nemica delle set- te, uuu u-aio nulla. Ma se la maggioranza è set- taria o soltanto debole, non saprei prevedere le calamità ohe potrebbero sovrastarci ». ') An- : «Solo una ' rie radicale può ricondiir- Ia pace fra a e lo Stato t.') Ancora: Finché rAustrìa rimarrà una g^rande potenza, noi non potremo essere tranquilli ». *) Ed anche i»ul punto di morte questo spirito rofetioo non l'abbandonò, che, come tramandan- ìo con il passar della vita la lampadxi dell'anima - ' . dice al suo Re : e £ i Napoletani ? Così _>. I3'> lettera «I !.• 1«W (I^rttoni « JV. i.ci». : V. ' 64 IL 1859 dine, per esempio. Quando Degli alti consigli dello Stato, dopo il *60, si trattava di liquidare rosercito garibaldino, egli avverte i generali- L'ialdini e Fanti, e che si leverebbe un grido di «reprobazione se si conservassero i gradi agli *i ufficiali borbonici che fuggirono obbrobriosa- < mente e si mandassero a ciisa i garibaldini che «li hanno vinti. Su questo punto non transige- « rei. Anziché assumere la responsabilità d'un atto «di nera ingratitudine, vado a seppellirmi a Lc- «ri. Disprezzo talmente gli ingrati che non sento « ira per loro e perdono le loro ingiurie. Ma per « Dio ! non potrei sopportare la taccia meritata «di avere sconosciuto servigi come quello della « conquista di un regno ». ^) Altra virtù il non odiare. Fra lui e Garibaldi, dopo la cessione di Nizza e l'impresa dei Mille, non c'era buon sangue e non corsero belle parole; eppure quando l'Austria minacciò ancora la guer- ra, scrive: cDite al generale Garibaldi da parte «mia che se noi siamo assaliti, io l'invito in no- «cmc d'Italia a imbarcarsi sull'istante e a venire a (Combattere eul Mincio».') Oh, non odiava, come è documento quest'altra lettera: cDuolmi «che Garibaldi se l'abbia avuto a male, giacché «desidero di cuore che non si venga a rottura «con lui. Esso fu meco ingiusto, potrei dire in- « grato.... Ciò nullameno quello che ho detto al «Parlamento lo ripeto ora: avrei vivo desiderio '» CiiiAi.A, IV, |»ag. 35 (Lettera al La Farina), 2) IbùUm, IV, pag. «1. Cnrunr .'»5 \ «di strìngergli la mano e stendere un velo sul '-»....»') E nei vaueggiamenti dell'agonia ...... .ti 8UO He: «Garibaldi è un galantuomo: io «non gli voglio alcun male». Anche come capo di amministrazioni ha cri- teri molto pregevoli, benché severi. Una volta una dama, e inglese per giunta, gli raccomanda un nobile giovane, ex-ufficiale della marina bor- itoli ira. che aveva dato le sue dimi.ssioni durante la gut rra, od oni pretendeva di essere accolto con ayanzamentu di grado nella marina italiana. Cavour le .spiega: «Sapete i>erchè Napoli è ca- «duta sì Ixusso? Si ò perchè le leggi, i regola- « menti non ì^i eseguivano quando .si trattava di «un signore o di un protetto del Ro, dei principi, ' ' fossori od aderenti. Sapete come orre, ed il Cavour le risponde fra le altre cose: «Credo essere il mio dovere «di mostrarmi severo, e di lasciare ai miei sabor- «dinati la parte della mansuetudine. Spero cosi e di mutare lo spinto ohe informa l'amministra- >t C.i.v: , IV, iiRg. 73. ^ Ibidem, IV, i«gg. 91, 9!*. 66 I'. 1850 «/ione uapolctaua; spirito fatale che corrompeva «gli uomini più distinti e le migliori istituzioni». Lti severità ai capi responsabili e la mansuetu- dine ai subordinati? Cosi non av\-euue al tempo che morì di crepjicuore G. Mercuri, più noto col nomignolo di Battirelli. Queste virtù di giustizia fauno molto onore al Cavour, tanto più che egli sa che «in politica «non si possono sempre prendere come punto di «partenza i principi della morale».*) 11 che non include peraltro che si debbano prendere quelli opposti dell'imiuoralità. Nellca sua qualità di diploma tn;<», egli era uo- mo prudente: non si creda peraltro che il grado della sua prudenza fosse eccessivo. Uomo paci- fico, come ci dice il suo ritratto: e poiché era di temperamento allegro, diremo, un allegro uo- mo di pace: non però disposto a farsi ammazza- re; «disposto» di preferenza «a provare di am- mazzare gli altri anziché lasciarsi ammazzare»;') e questa filosofia cercò di infondere anche ne- gli uomini del suo partito, dimostrando che vi sono momenti «in cui l'audacia è la vera pru- «denza, e la tem.erità è più savia della ritenu- «tezzaj>. Con tale disposizione ardita dell'animo non gli faceivano difetto quei provvedimenti da cui spesso rifugge la molto umanitaria indole nostra. «Tenete» — è un dispaccio del 22 otto- bre 1860 al conte Carlo di Persane, quando l'Au- I r.i.i. , I , 1.1. -. iLiJ. . \\ i.»e. lao. I minacciava di assalire aucora — «pronta >^ la squadra per partire alia volta dell'Adriatico : • ••> leva forzata di marinai a Napoli. Se il co- -Uicrlori in tem- .ii'.v;..,.<. )>er chi diserta il suo*posto. ') Ma specialmente abbondava nel Cavour quella Vi coraggio che è così rara, cioè il corag- ><-. Egli non giudic::ava menomamente uo- •no politico chi non avesse saputo sacrificare la •larità al bene della Patria. . ..uc anni '51» e *»UJ, in gran fretUi, ... il -<*reao e sotto la tempesta, furono tirati su i iiuri maestri dell'edificio nazionale, e fu coper- nche il trito. Chi non »> pratico di arte mu- '. crede v\ìo il più sia fatto; ma domauda- ad ogni buon muratore e vi dirà ohe quella soltanto la metà ft II. 1859 egli avesse propensione per una mano di calr'<- piemontese, data in fretta da zelanti imbiancln ni in berretto burocratico, a tutto il portento^ edificio. «11 Parlamento sarà organo di concor- < dia, non di tirannia centralizzatricc ». ^) Altre cose di lui come uomo politico coavcj rebbe richiamare dal nostro oblio; ma alcune a] pariranno dal corso di questa narrazione; qui b sterà ricordare una sua notevole dote per la qual non nominò eredi; quella cioè di non fare coni il buon lazzaro che avendo provveduto al biso- gno dell'oggi, dimentica che esiste anche il do- mani: io voglio dire occupare gli avvenimenti, non farsi occupare da essi. rnma di essere stato ministro del Re, n (_a\(mr era stato giornalista e nel giornale da lui fon- dato «11 Risorgimento», il 22 marzo 1848, ave\ publicato quello scritto notevole: «L'ora supre- ma della monarchia sabauda», il quale per lun- ghezza e per audacia può fare il paio con la non meno famosa lettera del Mazzini a Carlo Alberto del 1831. E fu anche publicista, e fra i suoi scritti più matematicamente dimostrativi, ricor- diamo quello apparso del '48 nella «Revue nou- velle» di Parigi col titolo: «Des chemins de fer en Italie», etc. Vi .si parla di lince ferroviarie, h CuiALj^, IV, iiag. btì Cavour 69 di trazione, di macchine; ma esse devono, oltre alle merci, trasportare anche quel terribile ca- rico^ per cui tanti doganieri allora vegliavano: le idef A fin» !!<> lAcdo nuove industrie, in corsa fiM'hia il rapore. Sono MI quello scritto le idee del Gioberti e del Balbo, ma con in più un certo sapore di pol- vere. Quel bi ri eh in — diceva con dispetto il KallM), alludendo a questo sapore di polvere, — < finirà col minare il magnifico edificio, eretto dal senno e dalla prudenza di tanti valentuo- mini >. >) 1 aveva \ ia;,'^'iat<) (!**;{.">) ;i liin-^o, ripe- (ut , Svizzera, Inghiltol, Cambridge, Londra aveva visitato e stu- diato • f ' 'rie, istituti, macchine, etc. A\i'\a iu»'. per acquistar tvirtutc h Cau&a, I, csjuivt» 60 Tf. 18R0 o couoHoeiiza» come dice Dante, e per divertirni anche. Ma studiando e divorteudosi, l'orecchio uon perdeva una battuta di ciò che cantava il novello coro del gran dramma della vita, cioi l'opinione publica; giacché oramai è deciso: i protagonisti delle moderne tragedie e commedie della vita sono costretti ad ajj^ire molto in con- formità con l'intonazione del coro. Questa cosa oggi è manifesta a tutti; tanto che gli uomini ttabbcne rivolgono ogni loro cura affannosa af- fineljò questo gran coro canti nel modo mcn») stonato che sia possibile. Ma in quegli anni, pri- ma del '48, occorreva una certa disposizione fi- losofica per notare un fatto che era api^na in sul primo manifestarsi: disposizione tanto più encomiabile trattandosi di un giovane di ven- ticinque anni e vissuto fra quel ceto aristocra- tico dove tali fenomeni si avvertono in ritardo e con olimpica indifferenza. 11 passo riferito, ove accenna al necessario av- vento delle democrazie, è fortemente illustrativo. E perchè non farne uji raffronto con ravvertimen- to che il Mazzini dava a Carlo Alberto nella fa- mosa sua lettera del *31 ? Dice: «Oggimai la cau- sa del dispotismo è perduta in Eurojxi. La civiltà è troppo oltre perchè l'insania di pochi individui possa farla retrocedere. 1 Kc della lega lo in- tendono, ma sono troppo in fondo per poter ri- salire. Essi lottano disperatamente col secolo, e il secolo li affogherà». Conoscere e divertirsi, ma anche togliersi da CoMiir 61 ({Ueli'aluiost'ora di cupa oppreflaioue ohu gravu\a -111 natio Piemon(4\ e Qui» (cioè in Torino) — -orive al De La Rive nel '43 — «io vivo in una < specie di inferno intellettuale, oioè in un paese < dove l'intelligenza e la scienza sono considerate • *"f>se infernali da chi ha la bontà di governarci. -^.. mio caro, sono già due mesi che io respiro ( imatiiìosfera piena di ignoranza e di pregiudi- vi e che io abito in una città dove bisogna na- MMui(i*-rsi per scambiare qualche idea che esca " dalla sfera politica e morale dove il (Governo ' vorrebbe tenere imprigionate le anime. Ecco ciò 'Che si chiama godere la felicità di un governo « paterno ». *) Non vengono in mente le tetre querele di un'al- rigionata, il Leopardi? Felice il > itura concesse la forza lieta del- l'aràonc, del far della storia; non le malinconie • l'I >, del meditar su la storia. Si.t . ..^j fare un raffronto oon questo pas- so 1 CatUuieo dove, ricordando i nobili esuli I 'ini .11 < li, ritornati in Milano dopo l'amnistia ' ><, dice: e V'erano tuttavia molte famiglie le, che imaginando ancora di vivere ai tempi del Sacro Romano Impero, non si reputa- vano disonorate della presenza dei soldati stra- nieri. Ma i reduci, valendosi dell'autorità di ele- ganti dettatori che darà loro la lunga dimora fatta in Londra e in Parigi, ammaestrarono quel- >) Ciiui A. T. pAg. 49. 69 i.. li>.'>9 la stolta gente a serbare al cospetto degli stra- nieri i doveri della nazionale dignità». *) e No.H patri:un fiiginius, nos dulr.ia linquimns arva». E di abbandonare per sempre la patria dava cousiglio al giovano Cavour la contessa Anastasia de Circourt-Klustine. ») La lettera del Cavour a questa daina è fremente di tale pas- sione che lo stesso Brofferio si sarebbe ricreduto dei suoi giudizi. Oimè, come diceva Solone a Creso, noi non ci conosciamo che dopo la morte, se ci conosciamo pur allora! e No, madama, io «non posso lasciare la mia famiglia e il mio «paese. Santi doveri mi trattengono presso un «padre e una madre che mai non mi diedero mo- «tivi di lamentarmi. No, madama, io non infig- «gerò un pugnalo nel cuore dei miei genitori; « io non sarò mai un ingrato verso di loro, io non «li abbandonerò se non quando la morte ci se- « parerà. E perchè, madama, abbandonare il mio «paese? Per venire in Francia a cercarmi una ri- «nomanza nelle lettere? Per correre dietro una «piccola gloria, senza potere mai raggiungere il «fine a cui tende la mia ambizione? Quale in- <■■ flusso potrei io esercitare in vantaggio dei miei )> Cattakeo, L'in$utrt2Ìone di Milano nel 184b, pag. 11. ') Durant« la monarchia di luglio ed il Secondo Impero que- sta dama tenne aperto in Parigi uno dei più rogguarderoli Raion». Avvinta da relazioni con ki famiglia del Cavour, conobbe il giovine Camillo iu quella sua dimora in Parigi nel 1835. 1 legami di amicizia con quella spirituale gentildonna russa non furono spezzati che dalla morte. Tedi Madame de Circotirt, son falon. ne» corretpondancen, par HttasB-SALAOiN. Parigi, A. Quen- tin, 1881. CoMnr 68 -IH infelici, stranieri e proscrìtti, in un e in cui l'egoismo occupa ogni grado so- '7 Che cosa fanno a Parigi tutti questi •suli che la sventura qui gettò, lungi dalia ter- ~>iiel li stessi che sarebbero Atati gran- ;. il. j , qui NHvono oscuri nel turbine della vita parigina. Quanto di più nobile e illustre 'one.va la mia patria, ha doN-uto fuggire. 1 ..Ili quelli che io ho conosciuto personalmente Ili hanno rattristato sino al fondo del cuore 'on lo spettacolo del loro grande valore, rima- *- -f. ;* ■! ; . No, noi Non è fuggen- t i it: .,, i sa è infelice, che si può giungere una meta gloriosa 1 Sventura a chi iiidona con disjirezzo la terra che lo vide •^re, a chi rinnega i suoi fratelli come in- li di luil Quanto a me, io sono deciso. Io non dividerò mai la mia sorte da quella del Pie- ri Knite. Sventurata o felice, la mia patria avrà e luna la mia vitat. >) Oh, non è egli poeta, imaginazione non hai Io non ne possiedo alcun germe. In tutta la ■aia vita io non sono potuto arrivare ad inven- ure la più piccola favola da far stare attento un bambino»;*) ma questi che qui riportammo no e raggi» della più sublime «poesia» che iialeni» nelTanimo dolTuomo. > C iiua, I, INIgK- 13. 14. " iVfrm, 1, pag. l(ì. "Adoratori del f»ttu. rui non potale a«i- rtfUf di *«rort1''ti di moniitA.... L» VMtra «eienn vite •ul fttMNMBO, n' te dell'oggi; non «vet« idcAlr. . -~ M Anin, Al eontt r. 18M. Voi. X 4egli ftrilli, ptg. M. 64 it. 1869 Verameate il conte Enrico di Moml>oll«»8, 1. - gato austriaco in Torino, non era di questa opi- nione. Il giovane Cavour aveva dato, anzi, molti dispiaceri a suo padre. Perchè ò da sapore che prima di viaggiare all'estero, era intenzione del giovane di visitare la Lombardia; ma il (h-\u, conte Enrico di Mombelles, avendo saputo di (^u. ste intenzioni, si era affrettato a scolpire que- sta succosa e onorevole biografia: «Questo gio- vane appartiene ad una delle famiglie più ri- spettabili del Piemonte, e suo ptulro il marchesi - di Cavour, è il primo a gemer»» un la condotta e sui principi del suo figlio cadett^i. Questo gio- vane, fornito di molto talento o facilità di in- gegno, era entrato nel genio militare. Ma le sue idee e le sue relazioni con altri giovani mal pen- santi, indussero il R<> a confinarlo nel forte di l'iard.... Io lo considero come uomo molto peri- r-oloso, e tutti gli sforzi per rioondurlo sulla buo- na strada sono riusciti infruttuosi. Merita, dun- que, una sorveglianza continua». Per effetto di questa raccomandazione segreta («segni funesti», come al buon Bellerofonte), il conte Torresani, direttore della polizia di Mi- lano, diligeva all'Imperiale Regio Commissario di Buffalora il seguente avviso, in data 15 mag- gio 1833: «Sta per mettersi in viaggio il gio^^ne cavaliere piemontese Camillo Cavour, già uffi- Cavour 60 : ' ' VI g^nio, e malgrado la sua gioventù, già l nella corruzione de' suoi prinoipii po- litici. Mi affretto a darle, signor commissario, '.ia, coir invito di non ammetterlo, .» ^. presentasse su codesto confine, se non a passaporto in perfettissima regola, ed in questo caso soltanto previa la più rigorosa visita' " T 'rsona e sugli effetti, avendo io notizia ^ i possa essere latore di pericoloso car- teggio». tcggio pericoloso era, tutt'al più, nella . . 1 giovane cavaliere; e all'Austria più che . 1 carteggio segreto dei patriotti, fu esiziale que- >to carteggio dei suoi ministri il quale, se non -:-* "imasse lugubri imagini di corpi e di ani- ^:iate, potrebbe anche ricordare le pedan- •ìsche corrispondenze dei commissari spagnuoli ro a quel gran delinquente che fd Renzo i . ..uiaglino. Ma, pensatoci meglio, il Torresani, con circo- lare 7 giugno 1833, n. 3176, vietava al Cavour '■ ■" "I in Lombardia; e soltanto tre anni do- limavera, cro gli Austrìaci a Magenta: e poiché queste larì sono tutte del tempo di prìmaverst, ri- . ^.aiamo come nella primavera del '59 il Cavour costrìngesse con più efficaci metti l'Imperiale Regio Commissario a lasciargli libero il passag- PaAh. Il tM9, i 6« IL 1869 gio per quella remota Lombardia, dove era la Chimera orrenda, che il buon Bellerofonte uc- cise. Già, prima era stato ufficiale : luogotenente nel corpo reale del genio militare; e la sua nominn è del settembre 1826. À sedici anni; carriera di cadetto, in virtù del privilegio di essere stato prima paggio di cortei .Ventimiglia, Genova! Splendide guarnigioni e vita ben gaia, special- mente con un temperamento come la madre fin da piccino notava : « luron, f ort^ tapageur, et tou- jours en traiu de s'amtiser». Oh, bei sogni «1 " giovanezza, e fra quei sogni, questi ben sing« per un ufficiale! Una mattina si era svegliato, e gli sembrava di essere ministro del Regno d'I- talia; un'altra mattina di emancipare l'Italia dai barbari! *) «Vi dispiacque di aver lasciato il servizio di paggetto di corte?» «Mi è sembrato di essermi levata la livrea». «E andavate vestiti?...» «Come volete che andassimo vestiti? Come dei lacci lè. Ne arrossisco ancora dalla vergognai»») 1) CiiiALA, I, lett V e xcuu ^) Queste ultime parole sodo assai pnstoriori e qui ranacro- nismo è per comodo di narrazione: I< il De La Rive. Secondo il Bonghi {Biografia di ( >i$o di Cavottr) avrebbe detto: "Gli parve di essersi t< melanconico giocatore, un uomo nato alla osa asione e condannato dalla stolta L dei potenti alla tortora dell'ozio: Nic- . hiavelli, che gioca «a cricca, a tric-trac )a un beccaio, un mugnaio e due fornaciai»; venata la sera, si e spoglia di quella veste iana, piena di fango e di loto»; si mette i >annl reali e curiali » e ragiona coi glandi morti -Ile antiche età, poiché dormono i vivi. 1 sai qoasU lettei* del Otrour ma un amico inglcM. . uà kùo dalle baionette austrìache e dall'altro dalle icLc papali, la aoetra eonditione è verameate deplora- .3i iibero ewrcixio del pensiero, ogni nneroio eenU- •' toioeato come un Mcrilefio o un delitto eon'- iiè poHiaaw sperale di ooMeguire da noi akm •4tre grandi sreatiueu. ^ Coula, UI, pag. 8. IIALA, I, XXI. AB IL 1859 11 Cavour dopo otto mesi di quella specie di osiglio, sospende anche lui e quella veste coti- diana t, non e piena di fango e di loto », ma poco adatta alla libertà dei movimenU, e avanza verso i vivi, che hanno cominciato a svegliarsi. *) Il Cavour, come tutti sanno, ò ritenuto il mag- gior rappresentante del partito cosi detto mo- derato. Ma sul senso della parola sarà bene in- tenderci. Che se per moderato si intendesse o mal larvata immoderazione retriva, ovvero mo- derata idealità) moderato sdegno, moderati ar- dimenti, si commetterebbe un grave errore di giu- dizio. Il miluogo o € juste-milieu» a cui giunse dopo il nobile fermento della prima adolescen- za, non ha nulla a che fare colla solita via di mezzo, calcata da quei molti prudenti tche s'a- dombrano delle virtù come dei vizi » ; *) ma è l'e- quilibrio tra il desiderabile e il fattibile. La sua mente pratica non può fermarsi che su le cose possibili. Può, vuole, anzi ha bisogno di smuovere uomini e cose, ma prescindere dalla prosa dei fatti come sono, per vivere nella poesia dei fatti come do- vrebbero — forse — essere, non è del suo tem- peramento. Egli non è adatto per lanciare all'av- ') La licenza di abbandonare il serrizio militare gli fu con- cessa dal Qorerno sardo ai 12 novembre 1831. *> Hakzoxi, / Prometèi Sposi, xxii. \> aire di quegli immensi valori fiduciari che '.iato piacciono alle molUtudini, e perciò il suo ! potè mai essere popolare; anzi ogni i demagogica, che muova da un pò- linarìo, ecoita in lui come una cau- i secrezione di ironia. Di questo suo spirito :ile cosi informato a moderazione ci piace ai molti dociunenti che la necessità del racconto ci obbligherà a prodarre, riferire questi lue i quali si possono ritenere veridici, perchè lon sono tolti da concioni politiche ma da let- cre intime, do reputo che non sarà l'ultimo ti- tolo di gloria per Fltalia di aver saputo costi- .,,:....; ^ nazione senza sacrificare la libertà al- . . . iidenza, senza passare per le mani di un cCromwell; ma svincolandosi dall'assolutismo ' monarchico senza cadere nel dispotismo rivo- luzionario >. *) 11 secoado passo è del 7 gennaio 1860, cinque aesi dopo Villafranca ed ha speciale valore per- chè ci rivela il suo intimo pensiero per ciò che riguarda l'Italia e la politica dì Napoleone III. Dico intimo, perchè diretta la lettera al De La Rive e confidata con questo avvertimento: do ( vi scrivo a cuore aperto, e vi tengo un linguag- gio ohe sta male in bocca di aa diplomatico. ^'^ ! io aon voglio essere ohe un vo< . . , «ro che voi aon mi farete commti.^:. I le imprudenze >. Aveva in quei giorni Napo- lUUA, TV, pag. 94. Lette» al deputato Salvagaoli iti- 1 ottobre 18601. 70 IL 1869 Icone III aocettAte le dimissioni del ministro de- gli esteri, conte Valewski, di cui avremo occasio- ne di fare menzione sovente, e chiamato in suai vece Thouvenel, «ennemi des prétres». Dice dun-' que: cÈ evidente ai miei occhi che l'Imperatore ts'è deciso dopo lunghe esitazioni a ritornare e francamente all'alien nza inglese, per la quale e egli ha avuto in tutta la sua vita il pensiero «fisso. Quanto all'interno egli ha capito che il «partito clericale lo trascinerebbe verso la china «fatale che ha perduto Carlo X. Egli ha subo- « dorato una reazione violenta, contro il partito «ultramontano, un ritorno appassionato verso i «principi del '89 e l'ha rotta con Roma. À' mio «avN'iso la decisione dell'Imperatore non è dub- «bia. Il giorno in cui ha fatto all'arcivescovo di «Bordeaux la sua famosa risposta, di cui Tim- « portanza non era minor*c ai miei occhi che quel- eia dell'opuscolo «Il Papa ed il Congresso», io «ho esclamato fra me: Io perdono all'Imperatore «la pace di Villafranoa: egli sta con ciò per dare «all'Italia un aiuto ben più grande che con la « vittoria di Solferino. L'alleanza inglese e la rot- «tura con Roma devono necessariamente dare al «governo dell'Imperatore degli andamenti più li- «berali, o almeno più larghi e più popolari». Gli occhi del Cavour si chiusero a tempo. Egli morendo potrà dire: «L'Imperatore è molto buo- no con noi». Egli non udì la fucilata di Aspro- monte e di Mentana; non lesse le lunghe, diu- turne, affannose o pietose pratiche dei ministri Cawur 71 italiani a luì suocessi. i) Non yide (e sarebbe av- venuto, lui rivo?) l'Imperatore, tratto contro l'o- pera propria. I suoi ooohi si erano chiusi. Ma che e^li avesse visto la xntota a cui tendeva Lui^ Bo- naparto, fra impedimenti immensi, lo dice la ste- lla ohe è più f" "" : e dello forze av- iie trascinavano i . -^ .utore anche questa i^i'inplice narrazione offrirà prove non poche. e Quanto all'Italia» — prosegue il Cavour — e io ho il convincimento che le restaurazioni non ) Vedi tr% gli ftltril'doeunenti, BonrAUim, Vita di Fran' CMco Ante, •) Ow.aa, I, pagg. 167, I6h. 79 IL 1869 ramento dei due uomini, non possa spiacere que- sta specie di sconoscenza del Cavour verso il Mazzini; ina oltretallc cose ohe diremo in seguito, qui ci piace ricordare come il Cavour, giudicando secondo la sua coscienza, si sentiva offeso da quel partito piazzi niano, che pretendeva da solo «al monopolio del patriottismo e dell'amore per la libertà ». *) Credeva inoltro che la monarchia sabauda «avendo mantenuto e sviluppato nel de- cennio il principio costituzionale, avess e no- ciuto all'Austria ben più seriamente che le som- mosse del Mazzini ». ') Il Cavour, dopo l'Alfieri, è l'altro allobrogo grandissimo attratto dalla voce della gran ma- dre, l'Italia. Certo quella sua manchevolezza di studi filosofici e classici, l'ambiente in cui visse da giovane, lo mettono troppo in contrasto con altri italiani, che assursero all'idea della patria e della libertà da una quasi saturazione di pen- siero antico e da una stupenda fraternità d'a- nima col popolo. Questa deficienza nel Cavour può spiacere: co- me a chi è propenso alle idee di republica, può spiaccre quella sua fedeltà incondizionata al mo- narca sabaudo, sino agli ultimi aneliti, sino alle parole supreme; tanto che ad un primo super- ficiale esame si dubiterebbe se egli ami più la patria o la monarchia. Per quanto animato da spiriti nuovi e uomo nuovo nel vecchio Piemonte, V CmALA, IV, pag. 159. ,=«; Ib., IX, cv. CsvoMr 78 < _ lì ^ pur sempre uscito da quella nobiltà fendalo 0 j^u.-r: iera che fiorì intorno al trono. Oon tatto questo non si dimentichi che la po- litica, risolutamente italiana del Piemonte, è ope- ra del Cavour, e ciò non avvenne senza qual- che opposizione. Carlo Alberto nei eruoi dolorosi tentennamenti lo avrebbe dichiarato < lliomme le ]'lus dangereux de son royaume»;*) e si citano 1 giudizi dei re per non riferire quelli degli altri, griacchè se è bel destino dei re portare tutte le glorie dei loro sudditi, è anche brutto destino portare talvolta anche le loro colpe. Ben è vero che l'Azeglio, dopo Plombières, scrisse al Cavour una lettera ove è detto «oggi non si tratta più di discutere la tua politica, ma •li farla riuscire», •) frase se non proprio degna di Plutarco, oomje nota il Bonfadini, *) degna di un patriotta di cuore e di acuto senno, il quale l>cn conoscendo l'abilità — "mi si conceda l'espres- .sione — del cuoco, accetta le vivande con gli in- (2^edicnti che questo ha a sua disposizione. ^ do- {K) la morte del onooo che gran turbamento av- venne in cucinai Ma che le arti politiche del Cavour gli gradissero tutte, non oserei dire. T ' I to del ' ' dell'Azeglio rispetto al- . : e la rei' della sua morale, ammi- rabile senza dubbio, ma in contrasto oon le ne- cessità della politica, lo porteranno a chiamare > Die L4 RtTB (Chuua, I, OVtllV ^ Mi««iABf, lì eonU di Cttwttr, ptg. 988. * h'^vAtnm, Vita di Frmteetco Artm, p*g. 188. 74 li 1859 quelle arti «giuochi di bussolotti del povero Ca- millo e Compagni », espressione non destinata, al- la pubblicità») e detta con forza di preterizio- ne, ma che è significativa e può oggi essere palesata. E se alcunché di vero è nella cruda espressione, vero è an^he che furono «giuochi» leali, e morto lui, nessuno li seppe più oosì be- ne eseguire. Quanto poi queste arti dispiacessero al Mazzini, come di mala opportunità le incol- passe, è cosa nota. Caratteristica questa atroce opinione : « Se i popolani d'Italia vibrassero i lo- ro coltelli al grido di Viva il re Sardo ! e vin- cessero, voi li abbraccereste fratelli. E se vin- cessero anche senza quel grido, voi li abbracce- reste il dì dopo, per cercare di impossessarvenc e sviarne e tradirne i nobili istinti a benefizio d'un concettuccio ambizioso della monarchia».*) Sospinse il Cavour Carlo Alberto alla guerra;') sospinse senza pentimenti, risolutamente, Vitto- rio Emanuele su la via della Rivoluzione. La mo- narchia conquisterà l'Italia, l'Italia le si arren- derà incondizionatamente. *) Ma egli comprende >) BoNFADiM, Vita di Francetco Are$e, pag. 297. «) Mazzini, Scritti, VoL X, pag. 69. ') La guerra! La guerra immediata, senta indugio! Vedi L'ora suprema delia Monarchia Sabauda, e per questo sema indugi, confronta il Cattaxbo, DeW insurrezione di Milano nel If^éf^ e della successiva guerra. *) L'Europa è cosi avvezza a ostentare incredulità quando gli Italiani parlano d'unione, di concordia, che vale meglio non fare l'annessione che subordinarla a patti deditizi. Chiai.a, IV, VI, pag. 66 (Lettera al Carini). — Vedi anche la ben terribile lettera del Cavour (Chiala, IV, pagg. 2, 4i, in cui dice di essere disposto a tutto, pur di non lasciarsi sottrarre la conquista gari- baldina di Napoli. V^edi II Risorgimento Italiano^ N. 1, genn. 1908. Cavour 75 che questa sottomissione della Rivoluzione alia Monarchia non può avvenire per atto di coerci- zione o di fedeltà in senso feudale, cosa non con- fonno alla tradizione italiana, ma per spontaneo accorrere e fondersi di forze, per patto di rico- nosoenxa. La monarchia deve «fare il suo dove- re», la monarchia deve «magnetizzare» la rivo- luzione. V'è un passo del Cavour ohe simboleggia questo concetto in modo e>àdente. In una let- tera al Farìni, del 5 ottobre, dice : « Occupate sen- < za indugi gli Abruzzi. Fate entrare il Re in una «città qualunque e là chiami Garibaldi a sé. Lo « magnetizzi.... » >) Esita il Re? Lo rincuora: « Og- «gi o domani Vostra Maestà porrà il piede sul «suolo napoletano. Passo magnanimo che supera «in ardire il paesaggio del Ticino nel 1848».*) ' Criala. IY. pax; 8S. * r«Tour eoneepl il disegno di an- tiiillT- --- ■•- '■ ■■'■■ ''-—-• H(»iu rìvtormsione di lai: Messogìorno, e cofi • iiv, ( delU Corona. Egli -T.»* 1-1. 1 . pensiero come il .-..liia era perdatn ne I S» agoito 1860 Panni ''>rc Nat>oIf>one a Cham- ^U della ii'ra chia- iiuleooe, che la ine- appena Garibaldi *« di ogni or- Tuenale dalle v«po- . che I iJUJTSLUKK, ' ionnga, Bar- •T pÉg.68K U genio 1 '■' ' ••'■"" ""■" ■'■ 1 »■ «nula, IV, pai?, 87. 7>. IL 1859 Scoppierà una nuova guerra contro l'Austaria? K per questo? e Siamo preparati a tutto. Nasca quel «che sa nascere; se abbiamo da soccombere, lo «faremo vai' • nte e. salvando la fama del- «ritalia, as^ij aio il suo av\'cnire ». *) In altri termini il Regno non deve essere sol- tanto donato al f sopraggiunto Re», né il Re an- drà alla sua mensa e Garibaldi spezzerà solita- rio, con fronte dolorosa, il secco pane. Il passaggio della Cattolica e del Tronto nel '60, la Monarchia osante quanto. la Rivoluzione; la Monarchia che affronta essa radicalmente la que- stione di Roma; la Monarchia instaoratrice di un novus ordo; la Monarchia che non manda a casa i garibaldini con un «benservito:», sono lo condizioni perchè il Re possa veramente essere Re d'Italia. E questo scomunicato muore col fra- te confessore accanto e con l'olio santo. Leverà Iddio la scomunica!*) Tutte queste cose potrebbero dimostrare che l'uomo geniale è pur sempre idealista, anche se spirito matematico. La dichiarazione ') del ^Nfazxini del 2 marzo 1860 ') Chiala, IV, pag. 72. ') Pio IX, quando . '. L'azinni o dei Ducati alla monarcln p) Kinanwelp, colpì con Tarma "atitimiuuii iiii'- .. . (-i"!- > ■ ' timi- nica maggiore, pubblicata il 26 aprile 18W, invii \<:\- tori e complici. Vedine il testo per esteso nell'opei.» w. , ijr, i' .- BAKE, Roma e lo Siato del Papa, II. pagp. 8-13. ') Ripeto a voi ciò che stampiamo da ormai due anni. Non si tratta più di Republica o di Monarchia; si tratta di Unità nazionale — d'essere o non essere — di rimanere smembrati e schiari della volontà d'un despota straniero, francese o austriaco Carour 77 ò ir. ' ■- '■ -sta polìtica vittoriosa, ed il Car- duo . ^ o di manifestazioni monarchiche e sabaude nella sua giovanezza, spiega oon lo stato della sua anima quella di tanti italiani, i quali, enei '59 e nel '60, accolsero la formola Italia e Vittorìo Emanuele.... per il concetto che nella fusione dell'elemento signorile col cittadi- no, dell'esercito col popolo, delle memorie mo- u.kicliiche con le democratiche, etc., la storia d'I- talia troverebbe alfine il suo complemento ne- cessario ». *) Questo moto forte e concorde tanto durò, quan- to durò la vita dell'uomo meraviglioso ; ed ò que- sta forza, è questa concordia che nei due anni, 185U e 1860, produssero l'unità della patria. Scom- parso lui, i duo partiti si staccarono, e ciascuno riprese la sua libertà di azione. Gli uomini di I>:irtc moderata, spinti dall'impeto della politica ilei Cavour, si trovarono come viandanti in cerca di e estraneo lido >. Ben vorrebbero proseguire, ma 1.1 ^'uida geniale) non è più. Rinvennero, con istin- tivo moto di prudenza, come un corpo elastico a cui ò sottratta la forza che lo traeva. S'acco- starono verso le idee di un altro grande rap- noK BOttts, o d'eMer boi, d'cMere uooiìbì, d^eoere Ub«ri, dW Mi« Vmatà rieoosM UU, e som atcflooM ftadolU teatennuU, iMspcrli ds tutte laropft. So l' ItaUs tuoIs «mfe BosarohicA 0ott6 Ous 8aTC|j«, ri» Mire. 8e dopo ▼ools trmlanisro lih— -• - e aott M eke altro il Ke e OnToori sia pofs. Ciò ohe rrtj^liaaM» è oIm l'Italia ri fiMda: e te deve Curi, d«?a i.^..^. iMiriirioM t eotdeaaa propria, aos daado carte Waaea, p«t III -li, a Qiitoar ad al Re« e rinaaerri iaerti ad aspettare. > Giambi td KpaAi, ia C^M/cMtviu « BiMaglit. 78 n. 1859 presentante delle idee moderate, il D'Azeglio. Se non che questi nella rettitudine del suo spirito, già dal *53, quando sentì di non potere procedere oltre, aveva indicato il Cavour, se era giocofor- za procedere; e pur servendo, quando fu richie- sto, la patria, s'era ritratto dal potere. *) Ma gli uomini che detenevano il potere, ora- mai troppo erano avanzati. Procedere volevano, certo, ma, tra difficoltà grandissime e varie, bi- sognava osare ed imperare bene, ed imperare e osare bene è cosa geniale: ritirare il pie non potevano. Subirono, non dominarono gli avveni- menti. 11 partito della Rivoluzione o d'Aziono, come fu chiamato, procedette per suo conto, ri- pudiando il motto «Italia e Vittorio Emanuele», e per converso al partito detto dell'ordine, s'ac- costarono i troppi, i quaJi costretti dalle mutate condizioni a riformare la moda del loro abito po- litico, scelsero la foggia che più pareva adatta a proteggerli. Poi fra le nuove parti divise s'in- cuneò possente la forza nuova ideila nuova idea ') Il D'Azeglio, con geniale intuito, aveva compreso come fosse fatale procedere oltre. Ciò non era però nelle sue conrìu- zioni filosofiche, politiche, storiche. Federalista e credente con- vinto, anche per altre ragioni psicologiche e morali, esitava «lavanti od una non maturata unità nazionale. Del ^53 non di malincuore lasciò il posto di ministro al Cavour. " Vado rumi- nando come si potrebbe fare per rendere a Cavour utile questo viaggio, nel senso di domare il poledro e renderlo sensibile all'uso del tiro i)er il carro dello Stato „ ; e altrove : " Vorrei che per il '53 Cavour foise diventato capace e possibile e venis^ie l'ultima scena, nella quale si vedesse me preci])itato negli abissi ed il Pantciotel elevarsi fra le nubi e i AuK-hi di Bengala; dopo di che si calerebbe finalmente il sipario e potrei andare in ca- merino e spogliarmi „. Cat*ur 79 iaternaziunale. Quindi rorienUirsi verso sconfi- aate idealità sociali, da ,im lato; dall'altro le trop- po facceudc e le troppe jricchozze contribuirono .1 lì if fondere l'oblio, in questa nostra gente g^à ciK-ii obliosa, di tanta gloria e di tanta storia palpitante ancora. ir. Napoleone HI. pamulìi nttk n. Hapoleon* IIL — ( :, «^a vieni a far qui, bambino? e per- — Perchè la governante mi ha detto — rispo- >o il bimbo quando i singulti gli permisero di ; rofcrire parola — che tu porti per la guerra. ' >h, non partire, non partire I E perchè vuoi che non parta? — disse l'Im- ]•• iruore, attirandolo a sé e lambendogli i ca- l'tlli — non è la prima volta che io vado alla ifuerra. Non piangere, dunque; tornerò presto. — Oh, do mio, — riprese il fanciullo, rinno- \ando il pianto, — quei cattivi alleati ti vogliono auiuazxart*. La:}ciami, zio, lasciami yenirc con te. L'Imperatore, commosso, si strinse al cuore il bambino, lo baciò, ] ' imo: — Ortensia, condì. i:t mio nipote, e rim- proverate severamente la governante che con pa- scioccbe esalta la sensibilità di questo pic> 0 >rn ix» r.t, lAJtmnnf de NfoUù% III. Ccrrufon- daw ' ifi-<<.^ Vi- gilia di partire per la campagna di Waterloo; il piccino era Luigi, figlio della regina Ortensia 0 del re d'Olanda, fratello dell'Imperatore. *) Questo ed altri simili aneddoti, di tipo sen- timentale e di mal certo valore storico, si rac- *) É noto anche ai non dotti di storia, che la patornitÀ del re d'Olanda fu messa in dubbio, anzi più che in dubbio, fu esclusa. Già dalla nascita di questo secondogenito la regina Ortensia, figlia di Giuseppina Boa"»' "•""■". ed il re d'Olanda vivevano in dissidio, né ]iiii si n io. Vari padri fu- rono dati a Napoleone HI. Riconi raininiru.'lici ..lan- deM Verhuel, e fii quegli che si ritenne jiiù e 1 1 i bè un riflesso etnico apparirebbe nell'indole fliiuni r ipo- leone ni; poi Flahaut, che fu padre del duca d suo fratellastro, l'esecutore tecnico, i)cr cosi dire, del i . ito; poi il conte di Rylan, ed altri. Ciò in verità fa troppo triste onore alla galanteria della regina Ortensia: il vero è che nulla si può dire di certo e la tomba di quella appassionata donna è ben muta. Il Lebey, tuttavia, nel suo recente e rigo- roso studio Le$ troii coups d'état de LoHÌ$ Napolfon Bona' parte, con accurata e lunga analisi assolutamente obbiettiva, esclude in via assoluta il Flahaut, e questo è molto interes- sante, cioè che Luigi Bonaparte non sia stato generato da chi generò quell'ignobile figura del duca di Morny: esclude pure gli altri, propende per l' ipotosi ])iù morale, cioè che egli sia realmente figlio del re d'Olanda, Luigi Bonaparte. Grave ob- biezione a questa onesta ipotesi è che la maschera fisica dei napoleonidi, cosi caratteri!>tica, cosi indistruttibile, difetti in Napoleone III : qui la questione s]>ctta ai fisiologi. Vero è d'al- tronde che dai rapporti ti:> i>:>) quando il mondo era tutto di lui, l'Impe- ratore, fa da lui molto amato. Poi ì suoi occhi infantili Io videro \'into, detronizzato, abbando- n.'ito, piangente. Vide le ultime aquile ai vessilli; Vide lui, l'aquila, abbattala. Poi fa l'esilio, poi il bando dalla Francia per sempre, poi. la vita errante dietro alla madre ed al fratello maggio- r.' {.< r le terre di SWzzera e d'Italia. i'iii|po Le Bas, figlio del convenzionale LeBaSi fu per circa dieci anni il ^naeatro del principe, !olo con la madre in quel suo vagabondo ) Era il Le Bas giovane di molti studi, a*»nto cLossici; « le sue lettere ai pa- 1 in- v«fBo U f—iglk - ì'aoIìm'. nella quale dtl* «r»! m, rouiu fti «Iettai ed a Firenze. M IL 1869 renti, edite di recente^) e non destinate certo alla 8ta2n|>a, oe lo rivelano uomo di indole au- stera, semplice, chiuso nei suoi studi e nello Bue convinzioni republicane. Le notizie che in que- ste lettere ai parenti, qua e là traspaiono sul giovanetto affidato alle sue cure, sono di gran- de interesse appunto perchè sono di un'attendi- bilità su cui non può cadere dubbio. Commovente è la cura con cui egli sorveglia l'anima e l'intelligenza del discepolo : qualcosa di paterno; anzi egli dice di volere essere comte un fratello maggiore e fa suo il nobile precetto edu- cativo di Terenzio: Fìtdore et liberalitatc ìibero» Retinert, iatiu$ esse eredo, quam metu. Però sembra sorgere nel Le Bas come un pre- sentimento triste accanto a quel giovanetto che taciturno si fissa in un pensiero, lontano, in un luogo lontano dove è una tomba; e si studia co- me di prevenire il fato, e, con gli esempi della storia, gli pone innanzi il quadro doloroso dei grandi imperi caduti, della vanità del potere su- premo. «Voi sareste ben stupito — scrive al Le Bas l'abate Bertrand, che fu primo precettore del principe — se un qualche giorno la storia met- tesse il vostro nome accanto al suo, come quello di Socrate accanto sai Alcibiade. Chi lo sa? Ma, *) Stépane-Pot., La jeuttette de Xapoléon III. Corretpon- dance inèdite Ce sor. préceptcurf Philippe Le Ba$ (de l'Inttttut). KapoUimt IJJ 87 ') ragazxo, ohe la furtuua non gli giuochi i simile tiro, perohò essa ao li fa pagar cari. -ia un galantuomo anzi tutto!» o'i Boni^>arte diventò poi Alcibiade, ..... il [>ublicano Le Bas si allontanò da lui e da quel mOf e per sempre. r ';"*-ii;j^n2adel giovanetto, come si rileva dal- del Lo Bas, non va oltre il normale, zi il suo sviluppo è lento; soarseggia l'energia • o^ abbonda l'ostinatezza (mon doux cn- . -, lo chiamava la madre). £ melanconico, csi- ate. Se non che a poco a poco questa intelli- Qza si svolge, l'amore agli studi s'accresce — • - — N-- matematiche, però, — e il Jyo Bas so ice come di una rivoluzione operata da 1. Bta tuttavia in pensiero per la sua salute i'tM \ole, per il temperamento nervoso di cui '{•:■ r'i^no sono i frequenti terrori notturni. I ii'altra cosa nota il Le Bas, una cosa che non ò non sorprendere chi ha di Napoleone III To- riionc che si lia comunemente, una cosa per quale non mi riuscì trovare smentita o di- ■go; ma tesUmonianze concordi e molte di con- ' ' Bisknarck stesso; ed è la c ro e il sontimtento pieno, rid Ila riconoscenza. 1) No tre petit oui-oui, '' Ta rieonoMMUca, ipinta «ino nllft mnrlxwitA, non iioitnntn ITO graerofunente i ■ ìteneni nr' , aa eoa ki nemon r^mpo aii i.ui gli ttoniai di «oliU> minrotu il •4«to e «fidano alla liaUit :.i mano (ne queato (kaao!), cioè nel Icm^u della lurtima e defli onori. 68 .L 1869 lo chiamava la maAre. E un'altra oosa del pari importante aveva notato il Le Bas, cioè la di- sposizione della mente a fantasticare. Attraverso la maschera con cui quell'uomo coprì poi la sua anima, questa tendenza al sogno fu intravvcduta da quelli ohe più avevano interesse a scoprirò l'intima essenza del suo spirito. La avvertì l'Hiibner: tC'est im luvi-ur, •) uno spirito esitante»; la avvertì presto il Bis marck: lEgli sogna, egli va, io non so dove, in- sieme col fumo della sua sigaretta»;') «uomo non bene desto», lo dice Vittor Hugo, in quel crudele e magnifico libello che è t Najwleone il piccolo»; «pallida ombra, furtivamente emersa dalla tomba di Sant'Elona», ') lo dice il Mazzini. È intenzione di atroce ingiuria, ma quell'ingiuria non si sarebbe vestita di quelle parole, se mi certo che sfuggente ai colpi dei <;' I oltrag- gi, non fosse stato in quell'uomo ^ ire. V'è un ritratto di Luigi Napoleone a sei an- ni*) che dà appunto l'impressione di questo rè ve e di questi terrori. Un delicato ovale di volto infantile, scarno, sorge da un nembo di trine. La capellatura è sconvolta come dal soffio di una tempesta invisibile: gli occhi, aperti, guardano avanti, verso quella tempesta, atter- riti. Stringe, difende sul cuore, con la manina, un gran mazzo di fiori. Impressione dolorosa 1 *) KVbskb, Keuf ans de Bouvenirt d*un AmbansarJ- '' 1- triche à Paris «oh» le Second Empire, I, pag. 14 *> PfERRE DK L\No, Iai Cout de Xapolion III, \>itu.. ^^j. '^) Mvzzisi, Scritti, X. 18. *) SrÉFASE-Por., pag. 9. Kmpoffone UT 89 Vengono a mente molte oose: viene a mente la domanda dì Ortensia: Se tu fossi povero, oome faresti a vivere T> — € Io? Venderci i mazzolini di viole come quel povero bimbo alla porta delle Tuilcries t. *) Della madre più tardi si appalesò ed il riflesso tisico ed il temperamento erotico*) e romansjc- ><-o; vivace contrasto con quell'aspetto apata o fr.(l«Io. Le nozze con la bellissima spagnuola Eugenia di Montijo, celebrate un anno dopo la procla- maidone dell'impero, quando appunto era neces- sario consolidare l'usurpazione con un ;matrimo« nio regale, *) appaiono come documento ben elo- quente di questi varii sentimenti, fi noto con quanta pertinacia e contro tutti Nap>oleone III volle queste nozze, e Ma se era per questo era >) SrtrAJiE-Put, pag. 6. •i Io tmom egli fu piuttocto un prìmitiro che un nUBiiAto. K il «tao di riferire in ftmacMe ciò eh« scrìve in propocito Pinss vm Lavo (L'Empereur, pag. 88): KapoUon |rehré de Vlntfèràlrict f&r ee fue, dan$ «a froideur ehameUe, élU ne rep^ÈdùU fomi à mm dHir) n'Hait pa$, en amomr, ce qm'on mamme itm raffini^ un eatant. Trie bonrgeoie $oleone vi sognò un crande imii>iM i; come argine alla bene intravvista preponderanza yan':ee. Napoleone m 91 Per tradizione mi fu riferito che, al tempo del- la 8U& g^OTanaAEE^ un vecchio fiorentino vide un li Loig^ Napoleone tutto pensoso e raccolto, ' tata Trinità^ e gli chiese: «Che cosa ave- . ,-- ipe?» «Penso — risrx)se — al modo di r* int< ;.'rare la mia fami Come la reintegrò, infatti I^> Il -i-ordato volimie delle lettere del Le Bas alcuni disogni, dati come originali del lovanetto. Essi sono pieni di sentimento e di nf'7.'/jit e non privi d'arte. Ne ricordo tre, mani- >tainvnte significativi. Una sentinella rigida, on capotto, colbacco enorme. Sta all'erta; strin- •3 e sembra presentare l'arma. Presso è il bi- acco; intomo un tetro paesaggio nevoso. Altro isegno col titolo «l'aquila fedele». Un'aquila sta ibrata sopra una lastra sepolcrale. Intorno ò un .'vesaggio aspro. Sulla tomba è scrìtto N; e sot- >. 1821. Ancora: un bel brigante in pieno as- > l'iM t.inti -..'Il i'iiiiò quelle BOCM ma «oUwe; na non • iiltrt il,.- i: 1 --. riiniirovero alla donna, coisl Htrana- ■ iif«- .iiii .■ ... ,^jj • li II. .11 . li- Iltr <■ l«lil"l) 'A 1 TI. ir;f pi in fi. 19 ìv 1859 setto: oiooe ai piedi, mantello cadcnt'e, capx>cl1o a pan di zucchero coi ìiastrì e la croce sul petto : il bandito italiano. L'ardente amore della regina Ortensia po' suoi figliujoli) le cure per la loro educazione, i dolori sofferti, le ansie mortali per la loro sorte e lo loro vicende, la redensero. Anch' ella, come la còrsa Niobe, attese su la soglia della cjisotta d'Arenenberg il figlio. *) Che se il Le Bas insegnò la vanità degli impe- ri, ella^ la idolatra di Napoleone, insegnò il culto di quel suo Prometeo che fu incatenato su la ru- pe di Sant'Elena. Non lo avrebbero veduto più; *) Dopo il tentativo di abbattere, nel '35, a Strasburgo, la monarchia di Luigi Filippo, T.'""- V"-.! •"» »■■ '- ••♦''♦■ -- — > è noto, in America, dove lo ] giglio d'Ortensia on'i« i.-.r, _^. ;.^. .„.,.,.. .,„.„.„ ....,, insigne di pietA e i sarà poi come un talismano per l'Arese verso l'Tnn . . .\la non inniorfrij f:iriic mnsfr.i' É del 3 api k pietosa I 110) della Rr^ ' nsia da Ar "Hi si deve fare un'opoituione assoli : se essa non riesce, io ti invio con questui ;i;di- zione „. Nessun acamno a dolori sofferti y i tlu con- vegno nel mondo delle ombre; e lui solo ri: il suo af- fetto, la sua tenerezza filiale, unico conforto Ira tanti; sventure, " Tu penserai al mio affetto per te e tu avrai coraggio ! „ Oli infonde la fede nel mondo di là, dove si rivedranno; benedice anche " quel buon Arese come un altro suo figlio ,,. OiiinRo Luigi Bonaparte poi a tempo di raccogliere col bari Tanima materna. Visse nella deserta casa dove era madre. Prepara l'altro tentativo, quello di Strasburgo d» i ì-m". che gli aprirà le porte del carcere di Ham, ove rimaae sei anni e da cui fuggi poi travestito da operaio. Di questi " vari colpi di stato „ vedi il libro citato del Lbbey, Le$ trois coup» d'état, etc, KapoieoHé III 93 ma l'ava Letizia, ^) a Roma, può ancora parlare ■ ' '^'-rlez nous de lui, grande mèrelt ed oa ella inspirò nel loro destino. Non letto? e Se noi troveremo nel prato, o a, un trifoglio di quattro foglie, vorrà dire .., presto potremo ritornare in Francia, o che lomani avrò lettere dal figlio mio ». *) Il colpo tu oiaio del 2 decembre loòl, sta su Luigi Bonaparte come una sanguinante tonaca, d un nome pauroso e tenebfV)SO gli è rimasto he pare quello di un carnefice, il quale per no- ,.. T.rMprio non può essere ricordato. Converrà ) dire qualche cosa» ed intanto diciamo he se questo nome è disonorevole, v'è anche una osa che non fa onore allHunanità; ed è la se- guente: che soltanto dopo il delitto, Luigi Bo- 1 aparte ò preso in seria considerazione. Prima, no. Prima egli è, secondo le varie opi- Imi.; ini :• vv-.ii t uricro, un allucinato, anche un - ilsaama LetixiA tnieorrer» % Boma i noi giorni eoi ardinftle Feseh. SU» nam. punva mai U Mdia del mio paiano rettura eUiua. Tutti i giorni djU tocco alle tre, si Iurte nella campagna romana e lA nella eolitudiae, ù morto, eeeeCto che la memoria del pa«ato, cam- il a piedL Ella incontrava talvolu la oarroaia di ■^ ... A papa el fermava, aalntava la madre di colai che vera agitato i destini del mondo «ristiano e con qoella b»> «mia italiana cIm ti idom spamo a dal tmitimeati di vera randeia, la domandava ivvella deljMMro impiraidw. , Mi lire» et corretfMmàamM ém roi Jtrihm d it la mne Co- 1861. voL Vn. 94 n. lt>&9 idiota^ e per la polizia papale eli nominato sog- getto»,*) e per i ben pensanti, un bisognoso di clemenza. Anche il padre, in tale senso, lo rac- comanda alla clemenza del Re di Francia: e Mio figlio è caduto in un orrendo lacciuolo, essendo impossibile che un uomo non sprovvisto d'inge- gno e di buon senso, si sia gettato allegramente in un tale precipizio». •) tQuel matto di mio cu- gino», ricorda Cesare Cantù di avere udito dal principe di Canino. ') Dopo, no : è rimr>cratorc. € Questo disgraziato Luigi Bonaparte fu giudica- to, condannato et exécuté nel modo più bel- lo. Non c'è che una sola voce: la sua incapa- cità»: questa nota è dell'Hiibner, 25 novemlwe: dopo il 2 decembre, l'incapace è divenuto certa- mente capace; e l'ambasciatore austriaco dovni col suo sbarbato volto volpino spiare, spiare, spiare per otto anni ohe cosa dice, che tempo segna il volto dell'Imperatore. Questa contraddizione non poteva sfuggire al- rUiibner, tuttavia: «Prima del colpo di Stato i capi del parlamento lo accusavano di inettitu- dine, d'ignoranza, di stupidità. Quando parlava, o piuttosto balbettava le prime volte, Montalem- bert esclamò : Ma è un discorso da svizzero, co- desto 1 Oggi è salito di grado. Non lo si chia- ma più imbecille, lo si chiama sfinge».*) >) Vedi Archivio di Stato di Bologna: passo riportato nelle pagine seguenti. »j Casti-, Cronistoria^ II, pag. 1157. •) Jb., Cronixtoria, II, pag. 1156. *) HUbnkh, I, rag. 67. Napoleone 111 9j Anche Vittor Hugo lo dichiara, Mrocemeato, ma lo dichiara: «Non è vero: non è un idiota: oi siamo ingannati. Luigi Bonaparte ha un'idei, fissa: ora un'idea fissa non è idiotismo. Sa quel- lo che vuole, e va. Attraverso la giustizia, attra- verso la legge, attraverso la ragione, attraverso l'onestà, attraverso rumanità, sia pure, ma va I > *) £ qualche cosai Vittor Hugo, il 17 luglio 1S51, dalla tribuna parlamentare ha r- ^ '*o parole degne di gran- de poeta e di grai. sofo: ha detto: e Come? Perchò dieci secoli or sono «Carlo Magno, dopo quaranta anni di gloria, ha lasciato cadere sul mondo la sua spada e il suo scettro, cosi immensi che per mille anni nessuno ha osato toccarli; perchè dopo mille anni, giacché non occorrono meno di mille anni a ' ' -• tali uomini, è sor- to un genio che ha fa ìa storia gigantesca, ohe incatenò la rìvolu2Ìone in Francia e la sca- tenò in Europa^ che ha dato al suo nome per si- nonimi Rivoli, Jena, Essling, eto. ; perchò anclio lui, dopo dicci anni ha lasciato cadere questo scettro e qnesta spada^ voi venite, voi volete, co- rno lui dopo Carlo Magno, prendere nelle vostre piccole mani quella spada di giganti? Per che faret Dopo Augusto, Augustolo? dopo Na]>oleo- Qrande, Napoleone il Piccolo?»») . If , Vapoleone il Piccolo. ■. II., dre om creduto mal oer- ' 1/ Hiil'ti'r , i *<'rvo ;...iii! !• 1 ' "1 ■.. ; ■'• 'tio: 1 -:■ •: :. •. . : -;-nto, Ito :ie- • re i'TO . dj. lui utictiu avvoD(urti *erno non giovai^ono: que- ti istnimcnti terribili cosi oomunemente usati, oì resto, al contatto di quell'affetto e di quel- dita, perdettero la loro consistenza molc- Questo difetto del «fosco»*) Imperatore co« linciò ad essere avvertito al tempo della guerra '••■-lia. Ve ana pagina nella vita di Luigi Napoleone Ite si desidererebbe più nota almeno dagli Ita- liani: è una pagina tragica ed croic;i, di morto • di sangue. Quelli che hanno notizie di storia, t riassumono in poche placide parole: Napu- onc III, da giovane, prese parte ai moti del *31 1 Italia. Altxi >'anno jnù in lil e dicono: e per- ò commise dojipio delitto quando spense la re- ublica ronvatua del '49; e perciò del '59, se fece laiche cosa» non fece che un atto di ripara* ione. t troppa o troppo poca sapienkal h ìUMun, Berini, X, psf. 97. -/ - Foteo figlio d'Ortensia.. noU perìfnui del OMdncoi. 100 u- 1859 Vediamone qualche cosa, sia pure iu breve. A Roma del '26, sotto la guida del Le Bas, studia, un*ora o due il giorno, Tacito: tè sempre buono ed amabile; il suo spirito si sviluppa, le sue idee ingrandiscono » : *) a Roma impara la scherma d.'i im Giovanni Gennaro, dalmati», luogotenente; sot- to l'Impero, decorato della legione d'onore: a Ro- ma, del '27, stringe con Francesco Arcse, di tro anni più anziano di lui, quell'amicizia che solo la morte disciolse. Nobile figura umana è questo dovizioso patri- zio lombardo, il quale molto patriziato lombardo riscatta; nobile per l'ombra austera in cui si sta nella storia del nostro risorgimento politico, pur avendovi avuto così grande parte;*) nobilissima per la fede serbata a Luigi Napoleone in ogni suo tempo e fortuna. Carbonaro (e mazziniano di ') Stéfane-Pol, pajf. 323. •) Egli fu, come è noto, il principale anello di congiunzione tra il Piemonte e Napoleone, sino dal '49 quando si recò a Pa- rigi a chiedere l'aiuto di Francia contro TAustria; poi fu la leva di cui, con impareggiabile arte, si valse il Cavour per smuovere Napoleone e col suo aiuto battere in breccia la di- p'omazia austriaca; poi fu il " parafulmine „ ed il " cuscino „ paziente tra la sorgente Italia dopo il '59 e le necessitÀ dflla politica di Francia. Il senatore Bonfadini con l'aiuto dell'ar- chivio di casa Arese, publicò nel 1894 quella sua Vita di Fran- cesco Are$e, che molta luce porterebbe alla storia, «e noi fos- 8Ìmo in grado di uscire dal solco che il de' ° ha tracciato. Dal libro del Bonfadini il con ski dedusse un più facile volume ad uso dei irancesi: t n (imi de Napoléon JII, che, edito nel 1896 nel Correspondant, fu p»! in volume publicato in Parigi l'anno seguente. Ambedue muo- vono da principi strettamente conservatori, ma non è questa buona ragione perchè i fatti che essi riportano, debbano «ftsero negletti. Xapoieoiu TU in poì)j ^li era venuto a Roxna, foggendo le per- eouzioDÌ dell'Austria, con la madre, quella An- Fagnani-Arese a cui i facili amori e la ile seduzione concessero una specie di iità per la ode del Foscolo, cQual dagli miri marini». Amiche erano state le madri alla ■ ricerealc di Eugenio Beauhamais; amici :inero i giovani, cui stringeva comunanza di là o di affetti. L'Areae verosimilmente confidò il Principe i ricordi della sua vita: gli Austriaci •'♦'^iti a Sfilano nell'aprile del '14 sul cadavere Cito del Prina; uno zio paterno soldato del- Lmpero, >) e un amico della sua famiglia, Fe- '-~ '^' '■ ' - ieri, vittime tragiche di un'ina- la grazia due volte chiesta per o rio all'Imperatore d'Austria, da lui, personal- '(*t sino ^ " iesta; e il rigido ri- : .' eia SI- - ^i; e per converso le lorie, le vittorie, la libertà d'Italia sotto Napo- l.-cri' ^ u iiiticipe, chea quel tempo re così taciturno come fu poi, ove aver confidato all'ainico le tristezze della Ila anima e del suo esiglio, la speranza della aa giovinezza. Kra morto Napoleone, ma la sua Dima riviveva, un'anima foggiata secondo il suo -no: risuscitare la Grecia, la Polonia, l'It^ilin, •oro i popoli dal torpore della seri'" ^- * — i trattati della Santa Alleanza. 1 ') OoloueUo btnme Aleaiandro Zandi, autore di una prò* getola Storia delU miUxit eitatpitu. 103 IL 1859 vanili 1 Ma queste fantasie gli furono pur sempre care : sogni, ma dolci sogni I Di riparlarne ancora desidera molti anni più tardi, e riabbracciare l'a- mico, e riandare ancora con lui e i passati tempi ». Quando? Nel 1841. Dove? Nel castello d'Ham, dove era prigioniero. E quei passati tempi sono ricordati in lingua italiana nella sua let> tera. ») Si inscrisse in quel tempo Luigi Bonaparte in qualche vendita dei carbonari? La cosa a molti pare probabile, benché non sia confortata da do- cumenti. L'Aresc ci indurrebbe in tale supposi- zione, quando dice che egli era carbonaro nel- l'anima;') e certo quel rito tenebroso e solenne doveva esercitare un fascino grande su di un temperamento romantico e in quella età; né si dimentichi che Tarma della setta e delle con- giure si presentava allora come l'unica forma di lotta possibile contro quell'altra congiura di re, che fu la Santa Alleanza. Noi oggi sorridiamo di quei monacali e tragici riti; ci paiono assur- de le speranze concepite dai carbonari del *21 e del '31 o, avendo in mjente soltanto quale è oggi la massoneria, ce ne sdegniamo : ma a torto. Non ne rideva, certo, l'Austria 1 E se fu carbonaro, nei rapporti che ebbero al- ^) Vedi lettera di Luigi Napoleone all'Arese. (Bj.nfadisi, Vita di Francesco Arese, pag. 64.) ') Aderendo alla carboneria i due giovani non derogavano, ma continuavano la tradizione della famiglia di Napoleone; nò si dimentichi che la carbonerìa sorse in Italia per opera del 31ura( in Napoli. Vedi per tutta questa questione il Lebkv, Kapoleme III 103 lora i due prinoipi coi patrìotti italiani (fra gli altri con Ciro Menotti), giurò Luigi Bonapartc su di un teschio e un pugnale di liberare Tltalia? Questa leggenda corse con un certo valore in Francia e da noi. Difficile, corno nel primo ca- so, è l'affennare od il negare; ad ogni modo è assurdo credere che l'odio e l'attentato di Felice Orsini significasse la condanna settaria per la mancata promessa; quasi un terrìbile: «Ricor- «l.itil ni r ' ' assiso sul trono imperiale. L'at- l'iiuito ri. ha altra origine. Ma ammet- tiamo pure un simile giuramento: quale valore gli si poteva dare? Aveva poco più di vent'anni allora. Luigi Bonapartc: un ragazzo! La sola cosa interessante davvero ò il terrore che questi tenebrosi vincoli settari incutevano nì'M • •• 1, come per bocca del suo ambascia- :< . r, è dichiarato: e L'Imperatore, la sera dell'attentato di via Le Peletier, pareva comple- tamente démoralisé. Si devo dedurre che mancasse di coraggio fisico? Non ci penso nò meno. B che l'Imperatore, posto al sommo ver- tice della grandezza umana, accolto come un u^riKilo dai capi delle antiche dinastie, aveva di- ]n> i;t:caio gli impegni presi nella sua giovinezza con coloro che dispongono delle potenze sotter- rnr onosciutc. Le bombo dell'Orsini sono \< : 1 cordarglieli. Un lampo di luce rischia- rò d'improvviso la sua mente».*) Se qui va errato il giudizio dcll'liùbucr, non h iiJiuiKr, II. psg. 93. 1 1 IL 1869 erra però quando all'orgoglioso e fiero Buoi di- chiara ohe egli noa è «un poltrone», consiglian- dolo, sin dal '53, a £eur8Ì incontro all'usurpatore deirimpcro, a riconoscerlo di buona grazia co- me Napoleone III, perchè la «Francia è la Fran- cia»; e bisogna evitare di offendere l'indole di lui «vendicativa, css< ' ' ' ' ~ i, che lo i t era a creare all' Aust 1 oltà in li. aiut-ando segretamente il Piemonte, e forse il partito demagogico in tutta la penisola».*) Non erra quando avverte il Buoi di un oscuro presen- timento che quell'uomo, assunto al potere da un sogno e da una violenza, minaccia qualcosa cho non è la semplice conquista: «Se noi lo spin- giamo sulla cattiva strada, metterà fuoco ai quat- tro canti d'Europa; e dureremo molta fatica a spegnere quell'incendio ». *) Ciò che è vero e si attrista il cuore pen.sando — come dicevo prima — all'oblio indegno clu- copre quei fatti, è il disperato agitarsi dei duo figli di Ortensia in quella fine del *30 e in sul principio del '31, quando la Francia insorse e dopo Francia, l'Italia e la Polonia in im mira- bile singulto di libertà; quando su quella gio- vanezza di santa ribellione l'Austria della Santa lega diffuse e impose il peso inesorabile delle sue armi. Due volte la tempesta della guerra, della congiura, della fuga, aggirò il giovanetto per la patria nostra da Roma a Bologna e Forlì, e poi ancora a Spoleto ed Ancona; e in quale condi- V HUdkeb, I, pag. 108. >> Ib., I„ pag. 111. Snpotrone JJT 105 /ione tragica dell'animo! col fratello, morto fra 10 site braccia in un albergo di città ignota, con la madre accorrente per salvare i figli (giacchò >a ohe se l'ÀiLstria li prende, sono perduti) con jli Austrìaci alle calcagna, che vogliono impa- Ironirsi di lui, come si sono impadroniti del- le, morente a Schonbrunn; come la morte . <. impadronita dell'altro, a Forlì : e poi la ma- lattia sopravvenuta che impedisce la fuga per : Ilare da Ancona^!) e il pietoso inganno mater- ni generale austriaco Geppert^ indi il trave- ento e lo scampo per tappe di posta sino 11 terra di Francia. Per Iweve tempo in t«nra li Francia; perchè anche la patria gli sarà chiu- a, perchè — cosa ripetuta sovente e non im- I arata mai — la libertà è stata sempre sotto- Micssa ad innumerevoli necessità politiche; in no- ne di una dello quali sarà vietato a Luigi Na> l'Oleone di rimanere in patria. Allora egli odierà Lujgi Filippo, allora egli, olo con il sus.sidio di un nome meraviglioso, ten- ora due volte, a Boulogne e a Strasburgo, di ab- lijittere quel Re che venne meno al principio per ui sorso, tenterà con la sua spada e con le sue ■ospiraxioni di aprirsi la via della patria. So- -,'nerà l'Impero, sia pure; ma a lui solo spetta il liritto oramai (morti sono gli altri giovanetti credi) di onorare il tradito Imperatore, e lo ono- rerà imitandolo sino al Calvario. ' Amos* tn, come è noto, roltiao rifùgio 4ei Otrbooari lei 1881. 206 IL 1859 Noi derìdiamo le due ooQgiure di Boulogne o di Strasburgo, perchè tentate con mezzi inferiori al fine; ma e le nostre congiure del '21, del *31, e quelle mazziniane di poi erano pari al fine proposto? Noi le deridiamo perchè fallirono mi- serajoaente, perchè Vittor Hugo ci sparse sopra un'onda e una fiamma di grottesco e di odio ine- stinguibile, ») perchè dicendo Napoleone III, noi diciamo Oudinot') e Aspromonte e Mentana. 1} " n 6 agosto 1840 sbarca a Boulogne, abbigliato col petit chayeau{iì famoso cappello ni- .con un'aquila dorata in cima a una bandiera, un'. i in una tr:ibbia; ses- santa valletti, cucinieri, palalrciucii, ti "' !ii- IMìleonici. Butta dell'oro passando per k '«' il suo cappello su la punta della spada, gnu v.i r Imperatore: tira contro un ufficiale un i K preso. 1 Pari lo condannano alla prigionia pt-tiK ma. i. - muso ad Ilani. „ Xapolcone il Piccolo. *) Questa lettera all'Arese del dottor Conneau. 1'."""^ irn'te e devota sino all'idolatria a Luigi Napoleone, è to iT.t..i-..<iderarsi come il partito il itiù da temersi jHìr ì»^ orribili dottrine che professano e per il t ' ' -■ nim che preparavano alla Francia e all'Europa so ma, dall'altra parte, vedo co.si poca virtù ir i ...-,.,,1,, mo- derati, vedo cotanto egoismo, cotanta esagerazione nel voler far predominare il loro partito ed i lor" it>t. r.-f niima fiducia ho in essi. Fra tutto questo sci; 'fi. egoisti, non vedo che un solo uomo che . ■ il nostro Principe. Oh, se ei potesse quanto diversa sarebl>c li KapoUone IH 107 Nui deridiamo la pazzesca congiura di Roma, i^u.kiiào nel decembre del '30, egli usci coDgiu- rato per le vie di Roma con alcuni vecchi sol- dati na{ioIeoiiit-i (> con alcuni giovani, gli eterni j,'iovani, r im tricolore in pugno ed il grido Ita- lia e lùbortà; e vuole catturare i cardinali in C< TIC lave, ed è catturato, e con lui un cminu- .-co!) prigioniero».*) Il t'"?-«1o di Roma g^uarda- v;i •• .-"iiideva. Noi sorridiamo quando da Civita -Castellana egli luanda al novello papa Gregorio XVI l'ordine di abbandonare il potere temporale e lo conforta che, divenendo soltanto ministro di Gesù Cri- sto, tutti tanche i più esaltati, lo adoreranno e lo sosterranno»; ma se ridessimo meno e pen- sassimo di più, come saremmo più giusti e buoni nel giudicare nomini e cose! Noi qui non possiamo rifare la »iuria di quello vir) OiosBPPR Grabihskt, Un ami de Napoléon HI. Paris, 1897, pagg. 34 e 35. I^apolwne JIJ 109 , .1 i:, ti .1. ì!a Fiii.rln, qucsto sentimento di ri- i;uii«)-.ctjn/;L i\u> :i\< iv influito nel rendere Napo- leone III cosi «sentimentalmente cavalleresco» verso Pio IX, come dice il De Cesare? E lecito supporlo, tanto più se si consideri, come appare manifesto dalle lettere all' Arese, i) che l'Impe- ratore pone non tanto la questione su Roma (do- po il '59 appariva ben chiaro che il movimento era unitario, e l'unità portava a Roma), quanto s\i la persona del Pontefice: abbiate pazienza, ripete, aspettate almeno che quel povero vecchio muoia. In relazione a queste congiure del '30 e del '31, è il oarieggìo segreto della polizia papalina dr' '^" quando il principe, dopo sei anni di d- -, evase dal castello di Ham. E noto come dopo questa fuga Luigi Bonapartc riparò in Inghilterra: ma il governo papale, da più parti essendo stato annunciato che «il sum- mcntovato soggetto abbia potuto ottenere un pas- saporto inglese 'sotto il nome di colonnello Crow- ford...., non omette di porgere all'Emincntissimo Legato di Bologna questa partecipazione per quel- lo ulteriori misure di vigilanza che Sua Eminen- za Reverendissima crederà di prendere in pro- posito». In conformità di quest'ordine, il 16 giugno, il 9 fuga del principe Luigi Napoleone Bouaparte dal castello di Ham, ov'era detenuto, e si pretende ohe tenti penetrare occultamente nello Stato pon- tificio per adoperarsi a promuovere dei disordini. Ne do pertanto avviso alla S. V., affinchè faccia invigilare aocuxatiss imamente in codesta sua giu- risdizione per arrestare il soggetto medesimo ove ardisca di penetrarvi, trattenendolo sotto sicura custodia sino a nuova disposizione. E così epc- cialmente dove è diretto adito per giungere na- scostamente dalla Toscana, occorre che mediante le forze dei carabinieri, sia di notte che di gior- no, sia portata attenta osservazione nei punti più facili a dar sospetto del transito di persone. Avvi pure sospetto possa il medesimo dirigersi in que- sta provincia, dove col favore dei bonapartisti più speranzosi ed arditi, ottenga sicuro asilo in qualche casino di campagna o nei palazzi di città appartenenti a persone della stessa famiglia nn- poleonica, quali sono quelli della casa Popoli, della casa Bacciocchi». In conformità di questi oi\ìÌììÌ, Ai. t>.-cii.^.i./ /i,.. . >, governatore della Torretta, con lettera del 25 giu- gno, avverte il cardinal Legato di Bologna «di avere attivato tostamente nel confine più peri- coloso, un'accurata perlustrazione diurna e not- turna di quattro o cinque carabinieri, affinchè niun sconosciuto senza regolare passaporto in- tendesse a penetrare in questo Stato. Tale per- lustrazione continua tuttavia e continuerà fincliè io ne avrò ordini in contrario». Xapoleone TTt 111 Se uou che «la direzione della polizia di Bo- logna è venuta a sapere che, nella notte del 21 corrente, arrivò a Porrctta un giovane fora- sticro, carico di armi e di denari»; non poteva 4-ssore che lui, e se lo lasciò sfuggire. Ma il governatore, pure confessando la sua po- chcma poliziesca, si permette di osservare che «le premure della circolare versavano sul fuggi- tivo Napoleone Luigi»; ora quel forastiero non poteva essere lui, perchè era un giovane, men- tre il mentovato soggetto per cui souo tante pre- mure, CSC le cronache anche ufficiali non ingan- nano, deve contare per lo meno quarantadue an- ni, avveirnach^ sia nato nel 1804».*) Inutile rii* tire i particolari di questo errore il'-ll.-L polizia papale: interessante è conoscere in ( Mipiizione e reputazione fosse nel 1816 co- li:! • il m dopo Napoleone III, arbitro d'Europa. 1*1 t<>; rHrtf •l-'HAr. in-. i< .a BologM. h^^i. <«iu< il .:• I» li. onno veccbi Mldati dell' Im* pero, aeguiU (Ut duo gtovaui ucpoU di Napoteone. 119 il. 1859 se armato e di fucile, di qualsiasi calibro, anche da caccia, di spada, di falce, che ogni arma t'; atta quando viene impugnata da una destra che desidera e vuole essere libera». «Io sono polac- co — stampava nei suoi proclami il Grabinski — , ma da lungo tempo sono italiano. L'Italia e la Polonia si assomigliano nella sventura e nel va- lore. Il grido di guerra italiano è questo: 0 li- bertà o morte I Viva l'Italia^ viva la libertà ! » Fra tali grida, fra tale tumulto, in mezzo a quel di- sperato e vano correre all'armi, in quella morta e vetusta città di Romagna venivano i due eredi del nome di Napoleone. Scrive l'uno dei cronisti: ^) «Al proclama del generale (Grabinski) si aggiunse un ordine del giorno del comando militare della Guardia Na- zionale, il quale avvertiva che per notizie avute da Bologna i Tedeschi non movevano per ora da Ferrara. Questo avviso scacciò il malumore dal- l'animo > di molti e li richiamò all'allegria. An- davansi intanto concentrando in Forlì soldati di ogni orma. Giunsero quindi nel di 9, distacca- menti di carabinieri, dragoni e soldati di linea già pontifici, che avevano preso servizio sotto i vessilli nazionali. Giunsero pure nello stesso gior- no, provenienti dallo Stato toscano, li fratelli Na- poleone e Luciano Bonaportc, figli di Luigi Bo- ^) QiuBBPPK Galletti, Cronaca, Voi. II, M«. 108, pag. 769 e aegg. Biblioteca A. Saffi di Porli. Questa >-.«..,, ^ »,,»{ pre- Sevole, e di farla di publica ragione in' io il diseen- ente signor colonnello G. Galletti e il i . rir<>Ii, diret- tore di quella biblioteca comunale. 1 Napoleone III 118 iiairirtv « x-re d'Olanda o nipoti del fu Napoleo- ne uiipcratore de' Francesi e re d'Italia. Questi giovani nel recarsi in coleste provincie rivoluzio- nate non avevano avuta altra mira che di coo- j.., (-olla loro vita e facoltà alla rigenerazione e non già d'inalzarsi alla grandezza del trono, come taluno si permise di dire. Tutti quelli che gli avtvaiio j>raficati, ed" erano stati molti, attesa la soavità d< 11»- loro maniere, facevano fe- de che il loro unico scopo era quello di meri- tarsi la nobiltà con azioni virtuose e libere, e di far uso delle ricchezze pel bene della società, al quxkl per arrivare, avevano g^à chiesto di es- sere semplici soldati della nazione, ben conoscen- do non potersi conseguire l'onore de' gradi che col dar prova di senno e di valore e non già per t^rillustri natali e per la copia delle facoltà. Ma -ti loro dosidorii non poterono mandarli ad ... Ito, atteso che il primogenito Napoleone, as- salito in questa città da flogosi acuta ai polmoni congiunta alla rosolia, dovette soccombere al fe- rale colpo di morte nel giorno 17 anzidetto mar- zo ad un'ora e nxzza pomeridiana. *) Non aveva '.'gli ohe cinque lustri, era di forme leggiadre, di ardire magnanimo, d'ingegno sublime. Ogni cit- '' I - rmò poi dello stOMO male ad Ancona. coni* t'Ir*» iln«(> che egli Amm partito per mare, cwu. tneMÌ di quella riroluzionr. e diretto > uere dal generale austriaco un i>a*«ii| he fu coOM UB talismano nella fusa oglia tributi di lagrime iri. Terminata la funerea funzione, ^ _ .orlato nella sacrtstia delia canonica e iuibalsamato. Richiesto dai suoi parenti domi- ciliati in Firenze, venne posto in una cassa e colà trasportato. Non rimaneva dunque in Forlì nessuna pietra che segnasse l'epoca della morte di questo giovane principe, nessuna carta che ne tramandasse ai posteri la memoria. Il nostro con- cittadino, il dottor Zauli Sajani, dedicò alla me- moria del prìncipe una sua tragedia, la «Pia 7, con queste parole: «Fu il giorno 17 marzo che tu negli anni della speranza fosti rapito all'Italia ed in questa mia patria spirasti allorché spirò, appena nata, la Libertà. Giorni di pianto I Tu preso d'affetto caldissimo per lei, correndo fra noi combattevi soldato tra le file dei soldati: tu sentivi le imprese dello Zio guerriero; ed alto acquisto di fortuna reputavi aver perduto le i dezze di regno. Un pensiero di dolore è rin di te, che fa ripetere sospirando : Quanto di gran- de poteva ^li farei E qui non è vestigio della tua perdita, non un yuarmo che al pio acceso di patria carità raccomandi la memorìa delle toO' care virtù. Vaglia a riparare l'oltraggio questo 177 liS mio pubblico tributo^ che nell'eroe della trage- dia, nel giovane Alardo, può presentare al mondo qualche immagine della libera anima tua. Goditi in Dio la pace del giusto; a lui ragiona della sren* tara di questa infelice Italia, e fa che d'uii" so- vriimano aiuto la soccorra, l'allegff >. V'.p pietra non parola! .a cronista, in istile bislacco, su la falsa- riga del dialetto, ripete il fatto cosi: e Qui non dobbiamo esimeroi dall'espcnre ai nostri benigni lettori, che arriTando da tutte le parti gioventù, ed anche persone di perchè^ i) due ne comparsero fra noi, e furono qoesti i figli di I^igi Bona- parte ex-re d*01anda, ora conte di San Leu, uno per nome Napoleone Luigi, primogenito, e l'al- tt' ^ipoleon^ figli e fratelli germani del- ia |^riu<:i^>* -ssa Ortensia Boamois (sic) sorella del fu rioerè dltalia credala amasia dell'Imperat<»« Napoleone. Questi due g^orani, i quali erano cre- dati perniciosi od utili ') Tennero immola tani«>n- te circondati da norelli progettisti, ma nel tem- Ptrmm é» ferdù^ rwM iin feste 4i alt» ctmUÉkmt, fas> t\rmieitm s twdti, . VII. cMf t. 116 IL 185d pò in cui qualche cosa doveva operarsi, il mag- gioro di questi oadde inalato e miseramente terminò i suoi giorni nel 17 marzo ad un'ora e mezza pomeridiana nella Locanda del Cappello posta nel Borgo Gottogni (ora Corso Vittorio Emanuele), ove aveva scelto il suo alloggio; e dispiacenti i cittadini di non potergli rendere quei funebri onori militari che si sarebbero con- venuti alla nobiltà del suo animo, atteso lo sta- to di rivoluzione ohe per anco bambina si facea ombra di tutto, venne deciso che buon numero degli ufficiali di stato maggiore della Guardia Nazionale per altro senz'armi ed altrettanti gio- vani in abito di costujne con torcie accese accom- pagnassero il feretro fino alla chiesa cattedrale, ove venne in luogo apposito depositata la spo- glia mortale, quale poi a richiesta della di lui famiglia venne trasportata a Firenze a cura del nostro concive Giambattista Baratti, accompa- gnata dal sostituto di cancelleria vescovile Seni- fino Fornatari e don Pietro Severi in qualità di capellano e colà venne nella chiesa parrocchiale di Santa Trinità ridepositata a disposizione del- la sua propria famiglia». *) '» Baccarim, Cronaca, Voi. Il, pag. 1329 e segg. Ms. 177 della Biblioteca A. Saffi di ForU. Giuseppe MazzaCini, ia un suo scritto: I moti del lff.91 a Forlì, aggiunge queste interessanti notizie, che > quanto dicemmo, cioè come il sentimento della gì della memoria fosse vivace nell'animo di Luigi Napoltuiit- : dopo un anno, quando nel '32 era nella Svizzera, cosi scrisse il 18 luglio al Baratti : " La lettera che avete scritta, mi ha tatto gran piacere, giacché mi rincrescerà di essere privo da lungo .VapoIeoM 777 117 Qui noi ^ "rontare le parole del cronUta Cu ... v^.. lo giudizio che Orten- sia dà dei soci figli: «Le sventure senza numero della sua famiglia (parla del figlio maggiore) - •■ * • la migliore delle lezioni. Cosi senza i . senza rimpianti dei beni che egli do- veva alla sua nascita, collocando soltanto il suo niinr. iiciressere utile all'umanità, egli era re- i'ubiioauo per carattere. Mio figlio Luigi aveva assolutamente gli stessi sentimenti e gli stessi t^mpo delle vostre aotizie. Vi arrtM nr^^rf^nufo moltn iivanti 96 ATfMri temuto che un sen tor- I tato ri arrecasM dispiaor: ' di rimervi U min rioomiHcenztt ]>• tto mi arctp dimestrafn in circo>t. i re- rà mai lf vo-trf |ir< ■ irò u jH-nosi \ia4;ì;i i ' it. ^ : 'in- • la ma salute è adesso »<-l !:-:.• ■ Mr • \.l.--^ ■ .- _-■ 1.. I ■ •"• abbia totferto luni,'" !■ -ui- ■{■. .ii-.. i-- ma- \\i':-. \'! .raor Baratti: credef-' ili. i ni; i ru.'.'M. — I " '- '■ " ■- ' -- l^j^ •ne. •iti >iia .... l'.u ... i^.i ..... . . .. ..lUtn idexxa e alla giuria. L' Italia rW 118 II. 1859 caratteri».*) Ora credere come il Mettemich no insinuò l'opinione in Luigi Filippo, che i figli di Ortensia nella ingenuità dei vent'anni com- battessero sul serio per una restaurazione napo- leonica, è troppo difforme dal vero; né essi, co- me bene osserva il Lebey, erano allora avversi al nuovo re di Francia Luigi Filippo, ma spera- vano in lui, assunto al trono dalla rivoluziono, come vi speravano gli Italiani; ed il suo pas- sato — non aveva esso, duca di Chartres, com- battuto a Va]jny? — ne dava affidamento. Certo più tardi ammaestrato dall'esperienza e dallo stesso governo di Luigi Filippo di quante restrizioni sia suscettibile in politica il nonu- di libertà, formerà altro giudizio e concepirà al- tre speranze. * Vittor Hugo, nel libro VI del suo «Napoléon le Petit », rifa la storia dei 7 500 000 voti, su otto centro, entro a una targa di cristallo, il ritratto di Napoleor» I coronato d'alloro. Oltre una tabacchiera di tn-' -- con tia un ms. della Regina Ortensia, ora presso l'Impe- ratrice Eugenia. Kapoteone III 119 milioni di votanti, con cui il 2 decembre '52 la Francia casaolse» il e delitto» dell'anno prima, fi lì'a pagina di grande persuasione; e il giorno in CUI non vi saranno più compratori di voti e di coscienze venali, oltre a persuadere, moverà a t. r . 1 1 i i i N simo sdegn^o. An le questa atroce litania profana di coloro' II., ii. ivano il loro voto al Prinoipe-presideutc in- camminato all'impero, contiene moltissima veri- tà : Mio Dio, fatemi alzare le mie azioni di Lio- ne! O'jsù dolce signore, fatemi guadagnare il venticinque per cento sulle azioni Napoli-Roth- schild! Santi apostoli, vendetemi il mio vinol lioati martiri, raddoppiate i miei affitti, etc. ». Ma anche ò vero che quando il deriso eroe di Strasburgo e di Boulogne, ebbe per la rivoluzio- !)>■ <]•] 'In ;n»«rte, se non spalancate, al fine le j'M'j sa ari.sti>crazia, creata dallo zio suo, Napoleoni-, fingeva di ignorarlo. Dell'aristocra- zia dei gigli d'oro non si parli : essa gli fu allora )- sempre nemica. Il suo Comitato elettorale si leva di tre sarti, un carbonaio, un bar- ,11 tappezziere. *) Questa povera gente» rag- granellò, a destra e a manca, i pochi soldi ne- <•■ sM il nome del Principe fosse affisso i-ì: di Parigi. Vissuto sempre nel- , fuori di patria^ egli era conosciuto sol- tanto pel nome, ma questo nome era tale da ' Pinuii Db Lavo, L'Kntpereur, |i«g. 44 e wgueati. 180 II. 1869 combattere e vincere da solo una meravigliosa battaglia. «La forza del nome di Napoleone — osserva il Guizot*) — era in un solo tempo una gloria nazionale, una garanzia rivoluzionaria e un principio di autorità. Ce n'è da sopravvivere ai più grandi disastri ». Ed ecco apparire l'aninia meravigliosa del po- polo: donne del popolo, figli del popolo, par- lanti il linguaggio del popolo, ricordano Napo- leone, ricordano l'ombra invendicata del figlio, la gloria di Francia. La vigilia del voto si ri- deva ancora della candidatura di Luigi Bona- parte. Aperte le urne, con stupore ' ni parve eletto, lui, l'Erede. Il popolo, 1 > re- co la forza; ed allora il sogno della sua vita gli parve divenire realtà: essa era di contro a lui, bastava stendere la mano per afferrarla. Alloni r«io» imperatorio e la libertà dei popoli col lo- ro diritto oltra^iato, gli si sovrapposero come un' unica imagiue. V era una spada caduta — quella così mirabilmente ricordata da Vittor Hu- go — ed egli la raccolse a difesa di quel diritto e di quella libertà; v'era una missione da com- piere, segnata in fronte di chi fosse stato l'ere- de, ed egli credette a questa eredità e a questa missione. Nella fede di questa missione egli vis- se, e in questo sogno la nobile Francia lo seguì. Quando aprì gli occhi, «non bene desti»,*) tem- h Memorie, Voi. II, pag. 203. Vedi del Guizot l'acuto giu- dizio che dà rHiibner, II. pag. 85. '' Le parole di i)rcfazione airo{)era Sioi-ia di Giulio Cesare, apiMirsa in due volumi magnifici nel '(55, furono scritte da Napo- yapofront III 191 j^o era per lai di morire ; mutilata era la Francia. \< aliava nell'invorno dell'anno terribile la sen- tinella prussiana. A questo punto la vita di Luigi Napoleone ' Tsi in due: il suo passato evapora i.« iioLii,^, ^ J e un passato ili più che quarant'au- ni I Ecco l'avvenire ! Contro al^av^'enire egli muo- Ye con l'ansia di colui a cui pare esser tardo ; e ^trn- "■ W uomini di lui non ricordano be- !;• vvcuire e le sue impronte sangui- nose. Fra le lettere del Le Bas v'ò questo passo, in cui ■ • della vita è intraweduta con uu.i :.. ,. londa: «Areucnberg, il de- iMne m nel 1862. dopo la crti^rni di rnmra. flr.pn rhr In ram- p«giia d' lUlia collocarn rampajrnn ap^nrivano ! .1.1 1) Ls Ji .1...K, ine ha l'aria di es- '■ >mf ntiu a V. \ì\xììo c potù cuuhidcrarsi come un'axtu- / I I lira, per lUKondere che dal deliUO •TOlc* U diritto. • dal miafatto il fato, ■ ". ~A ' I«are che come iicnto. In eMft •• «V«are, la da se- U |.riiri"niii ili ^iiifTii.na hanno • ! ■ i.ivesciatt* perche il beaa che io volcvv tare all'uin vcrarsi! . 1S9 IL 1859 lizioso Arenenberg non è che un tempio deferto, da cui la divinità è scomparsa. L'ammirabile don- na che ci aveva affidati i suoi figli, non è più. Il suo figlio maggiore la precedette nella tomba, il secondo è portato dal turbine delle avventure e dei perigli di un pretendente al trono 1 » >) Il colpo di Stato, cioè la republica spenta da colui che dalla republica aveva avuto infìne il ritorno in patria, e aveva giurato di difenderla, è opera di Luigi Napoleone: né egli ne rifiutò la paternità, nò uiosho recriminazione o publi- che accuse ai complici. £ di due settimane do- po il 2 decembre questa lettera all'Arese: tFa ciò che devi, avvenga quel che vuole avvenire.... Il «successo» non mi farà mai dimenticare l'a- mico del tempo della sventura che attraversava il miare per recarmi un conforto ». •) In quali proporzioni poi vi abbiano contribuito Tambizione dell'uomo, le condizioni di quella de- >) StftFANE-PjL, pag. 367. *i Vedi BiNFADiM, pag. 110. Allude a quando, per con- e preghiera della Regina Ortensia, «i recò l'Arese in .\iii i ad incontrarvi l'amico, quivi deportato dopo il fatto di i;<>iil.>- gne. .\vvcrta il lettore come queste parole: "la quel che devi avvenga ecc. „ furono abilmente sfruttate dal Cavour. Dojmi il moto mazziniano in Milano del '53, l'Austria con im])erdonal)ile errore coinvolse tutti i milanesi nella colpa di poolii o V(tiì\;i cosi a fare il giuoco del Cavour; furono quindi ■ beni agli emigrati politici, fra cui all'Areae. Questi, d . colloqui col Cavour, scriveva all'Imperatore fra l'altro: - Quanto agli effetti della disposizione austriaca, io li subirò da luimo provato alle sventure, e .si>ecialmente quando si ha la f" di inspirarsi al vostro esempio, dal quale ho appreso a >< ; tare con coraggio le vicende della sorte e " a fare ciò che m deve, avvenga quello che possa a\Tenire „. Vedi Bj.nkadlki, pagg. 132-133. Napoleone IH 123 mn^- "•■ i oatilinarì ohe si assieparono intorno al eredo, non è questo il luogo di esa- nuri.ir. : •- rio il Cavour presenti il fatto sino li il i"^. > li !' j'.uò a ricavarne il maggior utile. Tutia\ia II' -Il . da mnetursi che l'est'cuzione tec- nica di quella congiura,- lo strazio del coltello operatorio, non solo nelle parti reputate c^iuce- n>s«\ ma nelle carni sane di Francia, il freddo I niiio dei pacifici e degli innocenti, che veni- \ MIO quasi incontro all'impero, eccidio compiuto a (lociim» ìitazione, è opera del Moruy, suo fra- tu<>, «IP si accorse allora soltanto di quel molto utile consanguineo, il duca di Momy, uu in.iìf.iUore, come lo chiama Vittor Hugo, dall'c- 1< u:iii/.a irreprensibile; fla testa più assennata (1« HKliscot, come lo chiama rUùbiier. *) Egli, poiché Luigi Napoleone esitava davanti all'ef- f\i>ÌMitc del sangue, avrebbe parlato cosi: cMon- Mgiioro, in materia di guerra civile non è proi- bito ai capi di andare alla battaglia coi guanti; ma non bisogna che i guanti i< -ano al san- gue di arrossare le mani e di '...:... j un pochino sutto le unghie», ed è lui, il Momy, ohe scrivo in una nota del 3 decembre al Ma^an : < Biso- gna far la cerna di ciascun quartiere della città, jirtutl.rlo jM-r fame o invaderlo col terrore».») Questo stato dell'animo di Napoleone oi risul- ta anche per la testimonianza dell'ambasciatore * Humb», I. pug. 1 *• ìi. te Ihtc Ite Mufny, iileone era at- teso a pranzo dal signor di Turgot. Ma invano lo si attese: «Luigi Napoleone, soffrendo di emi- crania (e c'era di che soffrirne), s'era messo a letto ed aveva dimenticato di far le sue scuse»; e in una nota^ evidentemente molto posteriore, aggiunge: «Più tardi si seppe che era completa- mente démoralisé, che Morny, Persigny, at- territi da questa défaillance, lo avevano per- suaso a coricarsi ». *) E per tale processo che questo uomo buono acquistò il terribile aspetto di malfattore coro- nato, si acquistò la reputazione di un'astuzia me- ravigliosamente crudele, di una « cupa energia » ») nel male. Grande è il suo ingegno, ma è «l'inge- gno dello spirito del male, condannato a igno- rare gli istinti sublimi del bene che fremono nel cuore dogli individui e delle Nazioni; egli è il maestro nella conoscenza d'ogni triste tenden- za; egli è il tentatore che fiuta la colpa»; egli è l'inauguratore di «una jiuova Santa Alleanza tra le potenze che rappresentano il dispotismo in Europa».') Egli tace, egli sale all'altissimo Olimpo del potere imperiale. Qualche volta tut- tavia egli parla; oh, ma «allora egli non parla, mente. Quest'uomo mente come gli altri uomini ') HirnNKB, I, pagg. 34. 44. ecc. L' Hiibner dà la cifra dei morti. 2700; ma la riconosce esagerata. 11 Monitore, esajre- randtt in altro senso, scrive 380 morti. ^* Espressione del Mazzini. ') ÌLazzuìi, Scritti, Voi. X. // colpo di Stato europeo, pag. 3-i9. KapoUone ITI 125 r» - ' " /ione onesta? Stato iu r, -^ '■ ^''^ w «.'iiiranion- I ■ • ? Tremate *. ido mai d'uu uoqxo fu diffusa più orribile . . i/ione fra gli uomini.' Orribile; ma anche u :;ì;>i1c! 2>ìoQ c'era da approfittarne? £ se al- lora un uomo generoso invece di scrivere, colpi, in odio a quelli ohe scrivevano soltanto, quale uicravigliat 3^fa l'Hùbner è piii sottile, meno fragoroso, più s. forse perchè scrisse per sé e non per il ì '. Il colpo di Stato con la strage dei pacifici boi^hesi, è disgustante anche per lui, pe- nò la congiura è stata architettata da maestro. Bella! e Ieri, lunedi sera, all'Eliseo, come al solito, ri- cevimento: non uno sguardo, non un gesto ha tradito l'emozione dei cospiratori ». *) E al mat- tino seguente la città, svegliandosi, si è trovata s< Tto il pugno militare I Che cosa ne uscirà? l.l!;;|..TO? «Sopra le rovine del parlaui- m.iii.-ino — scri- ve pochi giorni dopo il 2 deoembre il > ; ;< von Hubner con il suo inchiostro più ironico — si Tede in Francia una sedia ourule, occu] h y. Hcoo, yag. 96. ^> S Ikemirt 1861. Vedi HCim». Voi. T. Onfront», per quanto iafi»e, il libro del poliz^ «W/i « It tue mtmorU), leoeate vwtioBe, •. 'j9. 126 IL 1859 un deus ex machina, un Publicola, qual- cosa di simile ad jun Imperatore : ma i suoi amici lo chiamano Augusto, i) per distinguerlo dallo zio, che è Cesare ». ') E che razza d'Impero sa- rà? Un Impero conservatore, senza dubbio. Già intanto, amjnirabile osservazione, « ogni uomo che arriva al potere, non è sprovvisto di istinti con- servatori; e un primo passo l'ha già fatto T IJonaparte in questo sonso, mostrandosi faN vole alla Chiesa». Initium sapientiae ti- mor Domini! « Bisogna, mi sembra, incorag- giarlo a continuare su questa via. Un regno pa- cifico con ogni sorte di godimenti, deve, credo io, ben sorridere a lui e agli altri 1 E allora do- vrà seguire una politica conservatrice, fatta ap- punto per rassicurare gli antichi sovrani e di- sporre il loro animo alla benevolenza di acco- gliere il nuovo venuto come un loro pari ». ') «Odia il parlamentarismo, e questo va bene»; ha frenato i partiti rivoluzionari, e va anche me- glio; ma, ahimè, osservandolo bene, comincia a dubitare. Parla, poco l'Imperatore, ma quel poco basta a lui per capire: gli ha parlato di una co- sa fantastica : della « ricostruzione » *) della Fran- cia. C'è di pejjgio ancora: «è uno spirito torbido, sognatore , fjuitastioo ». ') E un astuto , conosce l'ai-te del cospirare ma è esitante; ma la vera saggezza politica, l'attitudine delle profonde com- i) Omaggio al motto: L'empire c'est la paùr. *) Hù'bnkv, 1, pag. 49. »; Ib., I, pagg. 40, 47. *) Ib., I, pag. 49. *> Ibi., I, pag. 4tì. KapoUone ìli l27 bin:ixioni, etc., etc., sono qualità a lui affatto estranee.*) E c'è di peggio: e come Bonaparte e oome carbonaro, egli ò doppiamente figlio della 1' 'ne. Venuto fuori da una cospira- zione i.......^., non potjrà gettar le basi d'una monarchia conservatrice. Lo si potrà tenere a freno per qualche tempo >, ') ma poi andrà a rom- persi le corna anche lui! Ma il maitre si fa sempre più silenzioso, più cesareo, più impenetrabile, quanto più monta La fortuna dell'Impero. Lo stesso Hiibner ne ò tur- bato. Che abbia sbagliato nelle sue previsioni? Ora pax che tremi anche lui. Le Tuileries quanto a magnificenza ed etichetta non hanno confron- to e l'Hubner se ne conforta col pensiero che v'ò qualcosa di tcatnile, di offembachiano, in quella messa in scena imperiale: pensa con soddiafa- -he la mancanza di un passato nega ogni ^ _ia per l'avvenire.») E sulle Tuileries, dopo i catilinari, piombano «tutti coloro che alcuna cosa di straordinario di ottenere desideravano»,*) tutti gli avoltoi umani, e Con noi movesti alla conquista, con noi devi fnarciare, buon figlio di Ortensia I> va, I, paff. &1. *) Ibidem, I, pag. 47. \ I (il Boctri reticbetU non ^i fa ar. ptUrc, m non quainlo «MA Iti perde nella notte dei t> > , II, pai; ^ fonae a questo dell' Utibner • I n(Mtr<> (K>!(rAOiiii, p«ff. 189): " Qnest^ «miuìIo e aquilotti, <|u«'ll< lui- 1« ri<% questo Rol Jér4me, che toro* n itallA. Q»n mi fliii»t-onu ili ]iiarer«: e mi par di vedere ebe tutta i'Kurupa riua le orro- chio M ■«! sooprieM dei pregrewi di courir de$ aventurer, un pò troppo groMl „. *) Maouaviuj, Irtot te fiorentine, dove parla di Corto l^natL 198 li. 1869 e Ma nou fu questa la mia meta. 11 boae è la mia meta. Questi malvagi alleati mi vogliono uc- cidere; e eoa me la Francia e la libertà I» Ab- biamo più volte ricordato Vittor Hugo. Egli ha un suo grande romanzo, «L'uomo che ri ' in cui il personaggio principale ha nome G . plaine. Esso è \in povero fanciullo che fu rapito dagli zingari. Con due orrende fenditure ai lati della bocca ne fecero una maschera ri'U'rif4> ]] miserabile è diventato pari e lord. «Che c'è da ridere?» «Io non rido». «Dunque tu sei terribile !» *) Così si può dire di Luigi Bonaparte : « Voi men- tite 1» «Io non ho mentito». Quando l'Impero crollò, e fu un attimo, colei che era stata tanta parte e tanto inconscia par- te di quella ruina, pronunciò una parola i ; ca, che sembra come la sintesi 'li "n.'ll'Im]^..„ . Ré ve creuxl*) ») Gap. VI. *) De Lano, L'Impératrice, pag. 206. UL 11 colloquio di Plombières. i'AjinKI. /{ t66B. n colloquio di Plombièrei. Fu il dottor Cooneau *) che e viaggiando per di* ■»rto», capitó uu bel dì in Torino e fece sapere 1 conte di Cavour che, se si fosse trovato e per •mbinaricno a Plombières, dove era Tlrapera- 're, non li sarebbe pentito del viaggio. < »..osto piccolo paesello dei Vosgi, ove sono sor- . di acque salutifere, ò rimasto celebre uel- i storia della salute d'Italia e ricorda una fra ' aspirazioni di Napoleone. i eternelle') (sì, verajn?nt^ tema!) scritta su di un tavolino d'albergo in '!• n, il 24 luglio, notevole per ordine e lucidez- . U nchò egli, pel difetto del tempo, si scusi ■1 disordino delle idee e dello incoerenze dello *) Enrico Couesii. Bedioo, «sto * UiUno (1808-1877). amico 10 alU d«T«BioM di Lttiffi NapoleoM, eoa coi partecipò In igionia, rolmtoria. ad Haa. Faotore della cauM d'Italia. I Bominoli di (Garibaldi, Bertaal, era ckianato alle Tuiic- ■ «. Vedi lettera rijvirt.ita ^ pag. IW. MAiu, III. ' i nella Ferreteraiua di Mil 1 1 •. «to 1883. 1 coBuaioò tale colloquio di.- .il > JklarsMra, all'Arate ed ali'aakMeiatore tardo a Parigi. 189 IL 1869 stile, il Cavour dà contezza al suo Re dei col- loqui avuti con l'Imperatore e prega il Re di vo- lerla conservare per potere, al suo ritomo in To- rino, estrarne quelle note che sarebbero state del caso. La pratica dell'antico giornalista nel fis- sare un colloquio non è andata perduta; ma al di là della fedele esposizione delle parole sta la visione delle cose future e mirabili. • L'Imperatore cominciò dicendo che c^li era risoluto a sostenere la Sardegna con tutte le sue forze in una guerra contro l'Austria, a patto che la guerra avvenisse per una causa non rivolu- zionaria e potesse trovare giustificazione dinanzi alla diplomazia e più ancora dinanzi all'opinione publica di Francia e d'Europa». Questa causa e non rivoluzionaria» non era, in verità, facile a trovare, appunto perchè la guer- ra aveva una causa rivoluzionaria. Si pensò ai trattati di commercio male osservati dall'Austria verso il Piemonte; ma era argomento troppo de- bole. Allora il Cavour mise fuori, come pretesto, l'occupazione austriaca delle Romagne e le for- tificazioni intorno a Piacensa. Questa proposta non piacque all'Imperatore. Al congresso di Pa- rigi 1) queste buone ragioni non erano valse a produrre un intervento della Francia e dell'I ri - ghilterra in favore dell'Italia: non potevano per- ciò allora giustificare un appello alle armi. « D'al- tronde — aggiunse l'Imperatore — finché le no- ') n Congresso di Parigi nel 1856, susseguito alla guerra di Crimea. Vedi Bumpaduii, Vita di France$co Are$e, pag. 269. i? cenobio di Phmbièrtt 188 sono a Roma^ io non posso esigere ..'.,.. ..ia ritiri le sue da Ancona e da Bo- 1 _nat.») Lo scottante argomento fu abbandonato, e i ' - -Tgi si misero in cerca, in quel sereno ilo, di una nube apportatrice di tem- dopo aver viaggiato per tutta la peni- iria, giunsero, quasi non avveden- iiu>,cu( , .- .:.- :x e Carrara, e qui scoprirono ciò che cercavano con tanta premura. Massa e Car- rara appartenevano al duca Francesco V D'Kst<», - itato con Li Casa d'Austria. Francesco V») va le tradizioni paterne, e benché il ^uo trono fosse assai piccolo, «un guscio da casta- <^'na \ trrand»^ f utfavia era il suo orgoglio, che non aveva aucoru voluto riconoscere Luigi Napoleo- ne come Imperatore di Francia. Questo diniego far v:i ! !; ri giuoco all'Imperatore. Dunque si pro- \ . : . rhU: una supplica di quelle iwpolazioni a \iti. Mo Emanuele, domandandogli protezione e reclamando Tannessione alla Sardegna: Vittorio Kmanw ' avrebbe accettato tale dedizione; ma a«- • la difesa dei popoli oppressi, avrebbe rivolta al duca una nota altera e minac- ciosa. Il duca, forte drl" " "Austria, avreb- l„. ri''"'»-'" '" ni. ..lo !■ DojM) (li chr. I "Ili II .1 nii- i>- I I AuAtria ai inrari- i tltrrhlM- »; NaU U 1875. Ì'M n. 1859 il Re avrebbe occupato Alassa, e la guerra sarebbe cominciata. Certo in quell'ora il serenissimo duca di Mode- na dovea pensare a tutt' altro che all'onore che quei due personaggi gli facevano di essere cau- sa involontaria della guerra per la libertà della l)atria. Determinato questo punto si venne a maggio- re questione: il fine della guerra. Qui l'Impera- tore ammise «senza difficoltà che bisognava cac- ciare affatto gli Austriaci dall'Italia, e non la- sciar loro un palmo di terreno al di qua delle Alpi e dell'Isonzo». Quanto all'assetto da darsi alla penisola, la Lombardia, il Veneto, le Romagne e le Legazio- ni, alle quali era data facoltà d'insorgere, avreb- bero formato il Regno dell'Alta Italia, sotto lo scettro di Vittorio Emanuele: Roma col terri- torio circostante sarebbe rimasta al Papa; e il resto degli Stati pontifici, congiunti alla Tosca- na, avrebbe formato il Regno dell'Italia centrale. Non si toccherebbe Leopoldo II di Lorena, nò Ferdinando II re di Napoli,») «ma nella supix»- sizione molto probabile — scrive il Cavour — che lo zio *) ed il cugino di V. M. pigliassero il savio consiglio di rifugiarsi in Austria, la scelta dei sovrani da mettersi in loro vece è stata sospesa, ') Ferdinando II di Borbone sposò in prime nozze .Munii < n- stina di Savoia, da cui ebbe il principe ereditario, il re dal breve re^o, Francesco li. ^) Maria Teresa di Lorena fu moglie di Carlo Alberto. // colloquio di rtonibìrre» \ ■ < tuttavia r Imperatore nou nascose che avrobbc visto con piacere Murat risalire sul trono di suo padre ». LfM>in)ldo II, come prevedeva il Cavour, in su la luii: dell'aprile del *59, .prendeva infatti qwr. sto e savio partito» di andarsene di queto, rt'uzo potè vantarsi di avere offerto agli aiiialo;i dulia pace il modello di una rivoluzione senza sangue e senza tumulti, senza che fosse stato io necessario chiudere le botteghe dei *.,.,,. ...lori: cuna delle più civili rivoluzioni dei titiipi moderni»; e così certo avverrà in avvenire, tutte le volte che una delle parti contendent f:ir;\ come f- T i>oldo II.*) Ma così, per escm l'i", non avr- io l'altro, cioè Ferdinando li Questi è il Re Bomba, il Re Lazzarone, che pur ' va nelle vene il più puro sangue borbonico e .:.; va così fiero orgoglio*) da non volere tutela, uè pur dall'Austria. In quel luglio Ferdinando II non prevedeva certo che quei due personaggi si -'■' dei fatti suoi: se ne era occultato io Gladstone denunciando il suo Re- ■^'no, e negazione di Dio » : ma egli non istava be- >> Il fnunduca I/H)polilo col figlio lasciò Firenze per timore di - *- -• ■ ' ♦:ire. Alle 4 pomeridiane del 27 aprile, itereasante suo libro Antonio Guada- ■""• ♦-■"•>• """irono dal KÌ<^rdino di 1 i " e le testo si »oo- ; , ili in.nlii n ili canCO- '>•« dalla . . ritorn't, ;ir« tiranno, troppo noto e tropiio mal no:(i, \v4t li. L> . C ;sAitr, La fine di un r^fno. 186 II. 1869 ne nò anche di salute: era incanutito precoce- mente, diventava pingue, non poteva più mon- tare a cavallo. Non però dubitava della sicurez- za del suo regno, cosi ben difeso se non dal suo esercito (lo seppe il figlio suo del *60), ma dai confini. «Tra la scomunica e l'acqua salata» era il suo regno. Da dove sarebbero venuti i nemici? Dal cielo? Vennero dal cielo e dal mare! Ma quei fratielli, muti in terribil disdegno fra i mi- cidiali delle orride carceri ; ma lo spettro di Age- silao Milano (guardava con superstizioso terrore la piccola mal chiusa ferita;*) ma lo spettro re- cente di Carlo Pisacanc gli toglievano i sanni. E poi c'era l'abborrito Piemonte*) e quell'avven- turiero del Bonapartel £ dire che era stato, luì, re di corona, il primo a riconoscerlo per Napo- leone III dopo il 2 decembrel Non istava bene e pensava alla sua successione, ad una sposa pel suo Las a (Lasagna)! Oh, che nome plebeo I ma glielo aveva mosso lui, il babbo, questo nomigno- lo, così per giuoco, quando era piccino, o per- chè mencio come una lasagna o perchè quel cibo rusticano molto gli piacesse. Si spegneva, di :i- que quel Re, nella sua reggia di Caserta, silen- ziosa; rotto il silenzio dal cavalcare disperato 1) n sosipetto che quella ferita fosse stata' casrione deiratroof malattia clic lo trasse precocemente alln ^ ' n lo abban- donò mai. Avvelenata credeva la punta d rta di Aj."- silao Milano. Vedi R. Dr Cksark, Iai fim m *) Appena avvenuto l'attentato di Agesilao ' -*• al- l'incaricato d'affari di Sardegna: " Scrivete al i...-,..^ vuuàaimo cugino che non è stato nulla e che sto bene „. Il cQilo^iiio di Plombièrea 187 illli r ' t tsUca nuor.i, *) venuta d'oltre mare: lutiu aai-j notizie delle prime vittorie d'Italia, quando ceco giunse al letto del morente più ter- ri' ile annunzio: t Papà, hanno cacciato zi* Popò!» ( 1; :ilf- 7i' l'npM>» f Zi' Popò di Toscana I» Si driz- /. . ...<;. ( ..;afa: questi, balbettando, mostra il dispacoio. e Coglione, è andato, e non è degno (li r: .1!»») j; ^ itroce rampogna di codardia avrebbe dovuto l'ombra di Re Ferdinando rivolgere al fi- !-':i » un anno di poi!*) Ad ogni modo fu tra lo venture d'Italia che quel tiranno in-z'-'^-'N e non sia potuto montare a cavallo! e Avvenendo dunque la fuga o l'abdicazione di Leopoldo II, io — prosegue il Cavour — ho in- h Matm Soo «mrir* u- ri- rotia d' Italiit <«!• In: "1* tfi l'.Tvr*»! I,«i • ' •'. lUummati) „. ^IL Di. CtJixax, Im ) li per Gaeta la wra antecedente aliar r 1«8 II, 1850 (licato la duchessa di Parma come quella che ix)trcbbe occupare, almeno provvisoriamcn- t e, ») il palazzo Pitti. Questa idea piacque molto all'Imperatore, che sembra annettere grande im- portanza nel non essere accusato di persecuzione contro la duchessa di Parma, nella sua qualità di principessa di Borbone».*) Questi quattrD Stati italiani formerebbero una federazione a simiglianza della federazione germanica e se ne darebbe la presidenza al Papa, tper conso- larlo della perdita della miglior parte dei sudì Stati». «Questo assetto di cose — aggiunge il Cavour al Re — mi pare che si possa accettare piena- mente, giacché la Maestà Vostra, essendo sovra- no della metà più ricca e più forte d'Italia, sa- rebbe sovrano di fatto di tutta la penisola. » '• Questo provri'oriamentt ; le nozze quasi imposte dell'amato ■ in. Princiite Napoleone con la figlia di Vittorio Emanuele linda parte della lettera è tutta una faticosa perorazione iMiiK ile il r ì i la fìpflia giovanissima a questo epicureo. laiiiai qi: tipo napoleonico singolare, schernitore liuto di uiiiii.iii t«ii>e. ene fu schernito col brutto nomignolo li Ploit-phn). e l'andata di lui in Toscana nel 'ó9; e la ten- . lenza di Napoleone III a ricopiare il Primo Impero; e la sua illu,-«iontf di potere sempre cogliere due piccioni ad una fava, tanno jK-nsare che fosse n''"^!i"i i ;;.\i^luimo per Napoleone III, che mette in- i::.u/.i una restaurazione murattiana in Na}>olì, *) <• ì:>- fa pensare ad un'altra bonapartista in To- .-icaita; ma ci meravigliamo pel nostro Re, a cui 8Ì parla non di e unità nazionale, ma di un in- grandimento territoriale nel nord d'Italia ai re- pi dominii». ') E, dunque, la vecchia istoria della famosa foglia del carciofo? Più ci meraviglia pel Cavour, il quale a queste restaurazioni non op- ]«one uno sdegnoso rifiuto e accetta questa, per 1«> meno iugeuua, proposta di una presidenza ono- raria del Pa|>a, che il primo a rigettare sarà il Papa stesso. Qui si risponde che per ciò che riguarda l'idea unitaria essa è troppo sottile questione, per q::i ragionarne; e che se a Cavour fu fatta publica accusa;*) di lui rimangono queste parole in di- »> DMv O eoocettn ' » -•' che er» wi noi eon l'nT>t!rc Murat. • / Il * r n'iti Mr'irm ' a Napoleone III •nr, •«rrj'w»' " Na- r<»- ,I'0 ■ •■M . ma li e un d' uua 140 II. 1859. fesa: «Perisca il mio nome, perisca la mia fa- ma, j)urchò l'Italia sia». ») Nò egli poteva in quel luglio togliere al suo interlocutore le dolci spe- ranze di resUiurarc l'Italia come al tempo di Na- poleone; nò disilluderlo della sua ingenua fede in Pio IX. Si trattava di ben altro in quell'anno, senza di che era prematuro, almeno, parlare di imita o di federazione. Perchè se il maresciallo conte Radetzky era morto da pochi mesi, c'era tuttavia il conte Franz Giulay, il quale, se nelle arti della guerra valeva meno del suo predeces- sore, in quelle della pace gli stava alla pari; 0 troppo vicina alla speranza, ma troppo lon- tana dal vero era l'opinione che l'esercito au- striaco, «accozzaglia di razze diverse», «educato col bastone 5>, comandato da generali aulici «sen- za genio ed ardire», non potesse resistere; «e l'Austria fosse condannata a cadere ». ') « Gli Ita- liani d'oggi — scrive il signor Labriola, autorità non sospetta — sembrano perfettamente igno- rare che senza la Francia, noi non saremmo mai venuti a capo deirAustria, che non era né il Pa- pa nò il Borbone»;') e la recente publicazione della corrispondenza tra il Casati ed il Casta- gnctto giunge a tempo per conoscere quale atii- '1 'i/a del pontefice. Camillo di Cavour non avcTa ancora ab- 1 ì iato tutta l'idea dell'unità come fece indi a poco; ma cbe !ie paresse ai democratici ed anche ad Alberto Ilario, il . non si voleva tra i pie;li regni murattiani o bonaparte- .-chi „. (Alberto Mario, fcrittore e giornali$ta.) '; I. Artom, // conte di Cavour in Parlamento, pag. xlvi. 2> Mazzini, Scritti, X, pagg. 309, 310. *) AuTLBo Lauuiola, La Comune, pag. 23. // colloquio di PtomOiére» 141 ù mi' :ito si potesse fare sulle organizzazioni guer- reseli»- dello nostre masse popolari. ») Così ordinate le sorti future d'Italia, l'Impe- ratore e mi domandò ohe oosa otterrebbe la Fran- cia, e so V. M. cederebbe la Savoia e la contea di Nizza. Io risposi che V. M,, perchè professava il principio della nazionalità,' comprendeva che la Savoia dovesse, per tali fatti, essere riunita alla l' rancia e che per conseguenza Ella era di- sposta a farne sacrificio, per quanto gli dolesse a rinunciare ad una terra ohe era stata la culla della sua famiglia, e ad un ]>opolo che aveva da- to ai suoi avi tante prove d'affetto e di devozio- ne», e Quanto a Nizza — proseguì il conte — la questione era differente, giacché i Nizzardi te- nendo per origine, per linguaggio, per usi, più del Piemonte che della Francia, la loro annes- sione alla Francia sarebbe stata contraria a quel principio di nazionalità pel cui trionfo si stava per impugnare le armi ». ') A queste parole, con oui il Cavour ritorceva Napoleone il suo fisso principio della na- Là dei popoli, l'Imperatore si accarezzò a più riprese i baffi e si restrinse ad aggiungere ohe codeste erano per lui questioni del tutto se- M Carieagio CoBoH-Ctutagnetto, pablieato a cara di Vitto- rio FémnT •' " A questo ponto (U richiesta di Nim), nota nrcastica- Bent« il tltflio deirH'bner (TI. pa?. 999), è lodto «opporre che ' o «ardo abbia o moréa. Teme II KTìiì '• rh<» #k>Teran ri alla Camera, te e^li ah!i.w. 1 :. 'Vrr una pruvincia italiana. Egli edta, balbetu, iat(< «mpagna, na aoa pranotla atoate ,.. 143 IL 1869 conciarie, '1! '-"ì ci sarebbe tempo di occuparsi più tardi. O, ma non furono mica e questioni secondarie» quando del 1860 ci mandò qui il signor conte Jienedetti a dirci che voleva assolutamente non soltanto la Savoia» ma anche Nizza, e quand'an- che avesse avuto contro tutta l'Europa». Ciò è vero, però è anche vero che nel marzo del '60, quando capitò a Torino il signor Benedetti, e nel maggio dell'anno stesso quando il conte di Ca- vour con la spada della logica ^) e del sofisma ') anche, se pare, costrinse il Parlamento ad ap- provare il trattato, la fisonomia d'Italia era al- quanto diversa, anzi tale quale Napoleone in quel luglio del '58 non si pensava di certo. Per ciò che riguarda Nizza e Savoia, per ora basterà notare come, circa sei mesi dopo, cioè '; Vedi CuiALA, IV, ccxvi (discorso del Cavour): " Se alle osti- liU dei partiti (di Francia coutro Napoleone) si aggiungesse, non dirò l'ostilitA delle masse, ma anche soltanto la indifTerenza di esse, V Imperatore dei Francesi quantunque conservasse tutta la sua simpatia ])er noi, non potrebbe più tradurla in atto, per- chè anche il suo potere ha certi limiti. Ora, signori, a man- tenere le masse Irancesi favureroli air Italia, era necessaria la cessione della Savoia e di Nizza- A torto od a r^<'>-m.. ;<, non lo voglio discutere, le ma».se irancesi credevano ■ che le Provincie ora accennate appartengano l(»*?itt:: :■: alla Francia „. tir. anche D'Halssonvillk, 31. de t'arour et la Cri$e Uaìienne (Bevue des I)eux Mondn. 15 settembre '62). *i " tjome Nizzardo voi avete ragione di serbarmi rancore per la mia perorazione in favore del trattato che io avevo firmato; ma oggi io posso dirvi di aver parlato contro la mia convin- zione e per necessità. „ Cosi il Cavour al generale A. Poerio che si doleva avere il Cavour detto che laconica di Nizza era da riguardarsi piuttosto come francese che come italiana. Cmiala, IV, pag. ccxxu in nota. // colloquio di Tlomhih-en 143 noi gennaio del '59, quando il generale Niel fir- mava per l'Imperatore in Torino il trattato se-. u'i- u^ dell'alleanza, le sorti della contea di Nizza jM.t. rono essere tenuta •■< -^ ^-r^--^ . -J'^'^ -^n- coin- {><>>i/.ioDe della pace. Sarà bene, inoltre, ricordare ohe queste pro- " ' occidentali erano oggetto della più viva tzione da parte della Francia sino dal 1815; e che nel 1848 la Francia republicana sperò di .irin-iterlc, o intcr>'enendo con l'armi in nostro ùivoie o accordandosi segretamente con l'Austria. .Ma intomo a questo argomento non mancherà occasione di riparlare. Rimaneva a determinare un punto, il più im- I..;. bn) d fVat«Uo Emilia 144 II. 1859 uel mondo; o fors'aiiche — poicliè questa matu- razione appare piuttosto remota — ohe pur da noi si sostituisse alla minor questione delie ua- zionalità, la maggior questione degli interessi di classe ; una specie di spostamento di termini, che avrebbe prodotto — il modo non è ben chiaro anche oggidì — la fusione di qr. " ' ' stione in quell'altra maggiore < vasto crogiolo. Vero è che qualcuno oltre l'Alpe e l'Isonzo ne soffre tuttora di questa fusione (se essa è 1) ; e d'altea parte è vero che all'Austria questa forma di guerra non sarebbe spiaciuta: essa anzi ci veniva molto praticamente incon- tro dicendo: «O buoni popoli, o lavoratori dei campi, chi vuole la guerra contro la materna Austria? Ma i signori, i vostri padroni O Ciceruacchio, o Carlo Zima, o Antouiu bcie- sa, voi, certo, non credeste a tali parole 1 Dunque la guerra: mezzo disonorevole per l'u- manitÀ; e fa dispiacere vedere quei due famosi personaggi che, nella pace di una stanza, in un sereno giorno d'estate, tranquillamente, ragiona- no del modo di muovere trecento mila vite uma- ne contro altrettante vite umane. E vero; ed infatti da molto tempo si va sem- pre più parlando di uno specifico sicuro contro la guerra^ ed è la pace ; se non che sembra suc- cedere di questo rimedio, ciò che capita di oert^ cure senza dolore, molto vantate per alcune in- guaribili infermità: nell'atto pratico non hanno per risultato che il prolungamento dell'agonia, o Il rollnqtiio dì Plombièrt» 146 li medico con m< '* -a dell'infermo con- siglia, senz'altro, ' chirurgico. Qui rimperatorc parlò a lungo e disse cose che non erano conformi alle speranze di molti Ita- liani : e L'Austria, non bisogna dissimularcelo, di- spone di enormi mezzi militari. Le guerre del- l'! mjero ben ll^anno provato. Napoleone ebbe un !>• •* -la per q :■■'•" anni in Ita.lia e in Ger- ii, be bel _'rle eserciti, mutilarla di Provincie^ sottoporla al giogo di imposizioni imiii.-mi. La trovò sempre in oampo, disposta a rii'rciider la lottai Ben conviene riconoscere cho sul finire delle guerre dell'Impero, quando si ven- ne alla terribile battaglia di Lipsia, furono an- cora i battaglioni austriaci che più hanno con- tili.iato a disfare le armate di Francia. Dunque l>L'r forzar l'Austria a rinunciare all'Italia, anche - il'ouendo ridotta 1 ione tra 1* Austria o .. due o tre batta;. . be sulle vallate del Ó0Ì Tagliamcnto non sarebb.>ro bastcvoli, I . necessariamente penetrare entro i con- ili.. V.V.. Iiui>ero e con la spada puntata contro il cuore (cioò a Vienna), costringerla a firmare la pace. Cento mila ,uomiui bloccherebbc^ro le for- tezze «' ' ' ' '- ' • - ,j chiuderebbero la valle dr*!- rAdi(:' la e la Stiria, duecento uilLi uomini marcerebbero su Vienna». \ qu- -'" i-nfo noi ^oiamo: « ^' " l/u uiuj ilf^ì - d- cambre s^ arrestò a ; •li>H.* il Cavour e oon quali parole bene vedremo; i ptuljrì notftrì lo dissero; le rupi dello Stolvio PAKsnt. n isss. IO 146 II. 1859 lo sauno le impreoazioni del Bixio, e la contessa di Castiglione fissò il giudizio con la crudele improntitudine della donna: «Il mio imperatore ha avuto paura, ed io l'ho abbandonato !» i) Ma è dovere di giustizia storica ricordare quan- to si legge, cioè che il vecchio Metternich, come seppe degli impegni assunti da Napoleone III con Cavour a Plombières, dicesse : « L'Imperatore ha ancora di belle carte in mano; ma l'Impero rivoluzionario perirà sullo scoglio d'Italia».') Interessante pure è la chiosa che il oontc Ales- sandro von Hiibner, figlio deirambasciatore, a cura del quale furon) publicate le «Memorie», fa alla lettera del Cavour: «le idee dell'Impera- tore Najxjleonc rispondono piuttosto alle aspi- razioni, alle velleità del giovanetto di Forlì e del prigioniero di Ham che a quelle che, per lo meno, si sarebbero potute supporre nell'Impera- tore dei Francesi, nell'uomo giunto all'apogeo del potere, a cui non restava che consolidare l'emi- nente posizione occupata». E dopo avere notato lo «strano miscuglio di duplicità e di candore» in Napoleone, «costantemente sbattuto da idee opposte », e la superiorità che su lui ha il Cavour ') Vedi FeDKRico Loliéf, Les femmes du Seeond Empire, pag. 19. Virginia Oldoini, maritata al conte Francesco Verasis- <'.i>tiirh"i)f-. j.rinio scudiero di Vittorio Emanuele. Bellezza sta- tuaria f i.tiii'>>ii e non comune intelletto. Ammiratrice e devota al ( 'iivuur, amata da Napoleone III ; una fra le più celebrate donne della corte del Secondo Impero, che di troppe e troppo cele- brate bellezze senti il malo effetto. Vedi Griscelli, Memorie. ^) G. R>THAN, L'affaire du Luxembourg, Calman Levy, 1884. Vedi anche Lrbby, op. cit., pag. 43. ti coUofuio di Piombièrei 14? «guidato da un'unica idea, costantemente seguita ne fra tutti gli ostacoli», ama- I .. ...de: «Il progetto del Cavour fu ( (iinpiuto al di là delle sue più ambiziose spe- ranze. L'Imperatore ha fatto l'Italia unita, prima col stuigue e i tesori di Francia, poi con la sua .-L>>teusionc, masterly inactivity, nel 1866. l'er coronar l'opera non gli restava ohe unifi- ' an> la Germania. Questo compito lo adempì a ->edan i. *) Di questa opinione sono molti scrittori fran- cesi, nei cui libri, di fronte alla guerra d'Italia, •'-♦•■ Sedan; e mi piace che in questa opinio- • nga uno scrittore di temperamento ri- voluzionario, il citato Arturo Labriola, il quale 'andò di *' ' III, dice: «Noi Italiani >iajno ec su.scitato dalle vittorie italiane di Na- r« • e la perduta amicizia dell'Austria, furono a vera del disastro di Sedan. I risultati • Iella politica di Napoleone sono la vera condan- na delle sue pretese qualità».*) ni:H>iK. . H. I •/ 22*. V) Ji il capo ultimo di quMto libn>. pa^. )J4. Vrdi in flnt* ni vuluuio M-rittor» (tu NapoleoDc IIL IV. L opera del Cavour e Topinione publica. I IV. L'opera del Cavour e T opinione pnbllca. 11 !!♦'. aprii i inno dopo, verso le ore cinque .• !!i •//.<) del pulii uiiggio, due signori uscivano dal -ai .;.' Ito, molto modestx), del conte di Cavour. Ad uno di quei Pignori il conte aveva consegnato una lettera e l'accomiatava con queste oonven- zionuli i)ajole: ciò spero, signor barone, che noi avremo la fortuna di rivederci in circostanze mi- gliori». Era, infatti, il signor barone di Kellersperg, e l'altro signore era il conte Ceschi di Santa Cro- ce, a cui il Cavour, allo scadere preciso dei tre giorni f- ' consegnava la risposta airultimatu (h\ (■> ' >) I/fS'TPito nemico tardò tre • ■ , ..Il .,71^;-.» minùtro austriaco degli &'• ' *^9- Temperamento nrr^rlì" - — . .^uooMimeato del Se- <.ii I ; HObaer MTiameate acrìreta I I i. la WCietA iinik iwìorrA coiinN -h- Il « eoBsic' 'i. Ili - . iiKrfatae cni t .<' r . irdo peaiare ebe le cwe «vrrbbcrv i" .il' 152 n- 1859 giorni a passare il Ticino, irta fu merito della provvidenza, non del Cavour: egli ansò si aspet- tava di vedere l'Austria invadere il Piemonte la mattina seguente. Tale possibilità non gli im.- pedì di dire agli amici presenti queste parole: cAlea jacta est. Noi abbiamo fatto della storia^... e adesso andiamo a pranzo. Era in- fatti l'ora del desinare; ed è lecito supporre che, (la quel 20 luglio '58, il conte di Cavour non ab- bia desinato mai con tanta soddisfazione come quella sera. Spesso anzi, in quei nove mesi, per- dette il sonno e la voglia; e la somma di energia che egli trasse dalla sua anima fu tale che noi ci meraviglieremmo se non ci soccorressero le parole di don Abbondio che è «un gran dire che tanto i santi come i birbanti abbiano ad avere l'argento vivo addosso»; e se non pensassimo che una meravigliosa gioia deve accompagnare chi sente la fonta di scrivere la storia, non movendo penna o colorando carta, ma movendo uomini od agitando anime. La condizione delle cose port-i Km.) u c.Lvour a creare e mantenere in Italia uno stato di rivo- luzione prudente, docile ai suoi ordini e rinne- gabile in caso di necessità. V'è Garibaldi a Torino che deve apparire e scomparire. V'ù Garibaldi che entra in Varese con assisa di generale sardo e il commissario regio ai fianchi. Ma egli la uni- forme se l'è sbottonata; ha il frustino in mano, il fazzoletto al collo e intorno cantano : « dagliela avanti un passo». Era molto caldo in quel mag- L'opera di Cavour e Vopinioite ptibKea 158 pi<\ però in qael maggio Garibaldi rappresenta ancho un bel simbolo! gin sto modo di procedere del Cavour può giu- stificare tanto l'ironica frase dell'Azeglio cg^uo- clii di bussolotti», guanto l'accusa di opportu- iti^imo del Mazzini, il quale procede anche più oltre; dice che questa rivoluzione addomesticata dal Cavour, airordine di scoppio fece cecca. E atroce, benché scusabile l'atrocità in chi vedeva dal ministro della monarchia sfruttato il proprio terreno; ma è anche una bella petizione di cau- sa: dopo la predica del Cavour; quindi a cagio- iM- arte d'Europa oramai s'erano accorti che da quel bel cimitero d'Italia \:i; • gas infiammabili, visibili oramai ad cicc;,,„ ....-io in quel sereno. Guai al temerario ohe avesse acceso un. fiajnmifero! £ si trattava di nukntencrc acceso ben altxo che un fiaraml- f> ro, ma t-utt'un incendia "io in I/omlKir- 1, dovp ]iroprio in quel i cose non an- ^ ! M ^-iiy», fcrtfft. X, pai», mi. "- . 'info prrdiraUi: •1 nmvcff '• le ;.»t»' a;li ('■ ir: ; ]..i Ix-ne Xai»oIeoiic \Hir lusingarsi di avere ^ada-jnata la partita. Prevedeva le inccr- T/opera di Cnnmr e VofMcme jmblica IRS £ sing^olare ; ma in Italia a distanwi di mezzo secolo vive ancora, oonservata benissimo, l'opi- nione del Mazzini (spiegabile, del resto, allora), cioè che Napoleone HI voleva la guerra d'Italia unicamente perchè «la guerra era per lui neces- sità di vita». >) Questa opinione vuole essere og- gi modificata, e l'esposizione semplice dei fatti che 8i succedettero in quei mesi che corrono dal luglio del '58 al maggio del '59, debbono pur avere alcun valore persuasivo. Il signor Pierre de Lano, *) scrittore di molte cose intomo al Secondo Impero, ma non imperia- lista nò apologista di quel periodo storico della sua patria, dice cosi con bella enfasi francese: e Due uomini, tragici, in un senso differente, pas- sano .1 -o rav\'cntura del Secondo Impero e sj'iai. . :cratore Napoleone III, al modo dei traditori dei melodrammi. Questi due uomini so- no i signori di Bismarck e Cavour (per compiere il quadro scenico l'autore vi aggiunge anche due donne fatali, l'imperatrice Eugenia e Timperatrì- oe Carlotta del Messico). Davanti all'Europa at- tenta e sottomessa, questi due uomini, Bismarck e Cavour, si levano e osano concepire questo so- ta. .(uetrto ptmo, Tcdi pM dr che iiK>i[>[jM _ Tatore, il signor di Cavour s'im- jM'i.' . -UO cuor»', n vi(Mi^)r (li r.isni;ir<>k lo <•■ A capo». il signor De Lano, oome Iraucuse, non ha ob- i.K .., ^ conoscere Talta gentilezza italica del Ca- ; ma. a noi è lecito riforuutre alquanto ai- in ile giudizii), e rioordiajno che il Cavour fnoTÌ I'TÌiiuì della guerra del Messico, di Sadowa e di 1 . Ufi _i^ (i«-i .)ij m"i j">, sono ri- {>ercu >uvoIgimenti europei. Ma nel 1859 si trattava di muovere le cose da uno stato di ro la fiaccola di Marte fra per- ..- -x'ia%'ano pace: in questo, popoli e sovrani si potevano dire concordi. Inoltre da poco tempo s'era chiuso il Congresso che segui alla guerra di Crimea. In quel congresso di rappresentanti di Re, Im- peratori, Regine, un piccolo ministro di un più } : Stato aveva abilmente parlato su cose < : ^ vano anche essere giuste; ma certo era- no intruse e pericolose ad agitare. *) Alcuni di ([i:<-i tici avevano approvato; ma al n u- tus av....^...i, folgore era seguita. Ora Tlughil- t'-rra, che in quel congresso aveva assentito ''-on I uuciNi. ScriUi, X, iMg. 84. * Voi «proaato costre ttu «lai i - lei KpttbricMi •' ' " ' ' t igBO ralle coa8 IL 1859 maggiore simpatia alle parole del conte di Ca- vour, fu proprio quella che oppose i più T><^rtinaci impedimenti alla guerra^ Già diil 9 dccembre 1858 la regina Viltoiia, gra- vemente impensierita dei disegni dell'Imperatore riguardo all'Italia, scriveva al ministro degli este- ri, conte di Malmesbury: e Tutto ciò che si può fare per distogliere il pensiero dell'Imperatore da un simile disegno, dovrebbe essere fatto. Egli non vuole riflettere a ciò che fa e non vede se non quel che desidera». Alla sua volta sir Hudson, ministro britannico in Torino, s'affaticava in con- sigli di somma prudenza: i>-ya di <\n\>ur e l'opinione publiea 15d stioi. Le cose andavano abbastanza bene, quanto alla Russia, senonchè sir Hudson proseguiva av- v«>rt« n.lo eh. ]' .| irM.ne publicn, tanto a Londra comt,' a l'a'! -'v,! il i..iiit,.t>JiM...ito della pace. £ doloroso dirlo: anche in Francia una guerra per questa Italia dolente non godeva il beneficio di un'eccessiva popolarità. La e plebe dei sa- lonsi (questa espressione di forte lievito de> mocrat" "1 conte di Cavour) era molto av- versa al- ^— , ratore, anzi possiamo dire che per tutto il tempo del Secondo Impero Tostilità dei salons non disarmò: ostilità alquanto plato- nica e di olimpico disdegno quella dell'aristocra- zia dai gigli d'oro; aggressiva, invece, e batta- gliera l'aristocrazia orleanista: tutti però papisti, . Non era necessario infatti soverchio iicu- me per capire che la rivoluzione italiana tendeva li. :t!i"-fi! ii-.i »;ii<,.;tf.r,. ini ..;.■. ii,. »■-._ >l aio». «) .\nche quella gente ohe giudica le cose del >) Chula, IV, pq(. 919. >^ 16., ni, xcix. 160 mondo oon questo deplorevole ma lucido crite- rio, — che le cose sono da farsi se ne risulta un afflusso di denaro; non da far^^i se ne risulUi un riflusso, — non era propensa alla guerra; ( questa cosa era grave, giacché fino a ' > non Gambiera il nostro ordinamento eco , non solo ima guerra di re, ma he anche uno scio- pero di nemici del capitale sarà possibile s*!/ i il capitale. Ora Napoleone III aveva promcft.iw al Cavour il suo aiuto per contrarre un prestito in Francia, jna il denaro, che suole ubbidire ad un suo speciale padrone, non accorse al ri- chiamo. Né più fortunato riusci il tentativo del ban- chiere Lafitte in Inghilterra, se è vero che il Principe Consorte riferisce con notevole compiaci- mento avergli quel banchiere confidato che il Ca- vour era bankrupt and desperate. ^ La firma d'Italia, anche con la e: 'i regia, non valeva 1000 sterline? O ingrai anche del- le nazioni I L'Inghilterra non ricordava più che un tempo i banchieri fiorentini ammettevano ge- ') Tii. Hartik, Life' of the Prince Coniort, pag. 357. Buon esito ebbe, invece, il prestito interno; e il Cav'in «• n- .,..i.. Ce col suo solito, forte lepore con Emanuele i iatorc del Re in Londra (7 marzo la'nì: "11 (interno) ebbe il più bel successo uto di tutt banchieri d'Europa ad occuparsi <'■ -a. K tino commovente vedere la premura dei piccoli nostri ! venire a portare le loro piccx)le econnmio ni i fatto accoppiato all'emigrazione cre.si ' lom- barda che accorre sotto le nostre bai, .. mi sembra, che il sentimento nazionale iiuu è uu° iuvcuzioue di quella testa pelata del conte di Cavour „. L'opera di Cavour « Vofiwitm jmMmi 161 ii< r<»<.irn< rite allo sconto la firma di quei re per -MiiiiK alquanto maggiori.... I^ Borsa di Francia non era favorevole alla - :tc; e riducendo il linguaggio d<^ ..-. .-v.oiuento in numeri, il banchiere Percire non ebbe difficoltà a dichiarare all'Im- peratore che, se le sue parole all'IIùbner (vedre- mo fra poco). ' " ì' ■ 1 un miliar- do; quelle di \ pertura del- la Camera, non sarebbero costate di men'>. • i, certamente, se erano nemici del- . - ...j , più e meglio dei legittimisti e de- gli orleanisti, amavano viceversa l'Italia e di- fendevano la causa della sua libertà. Diciamo il vrr •• --""io gli amanti del cuore, e noi \>o rtVi'f dctt'i che " l'oji. I.l 1«^14 e 1815^. V«.I 163 11. ÌHr)9 si esprimono in questo modo, almeno nel primo calore della riconoscenza. Favorevole era la stampa demooratica, già il- luminata su le cose nostre da quel grande, e pur meno onorato di memoria di quello che merite- rebbero l'alto valore e l'alto senno, Daniele Manin. ^) Anche gli iutellettiiali, che avevano letto la € Graziella» del Lamartine, amavano l'Italia; e la trovavano molto estetica cosi, in quello stato di bellissima Cenerentola; e si sdegnavano di vederla percossa a verghe o coperta di sozzi baci. Bastone tedesco l'Italia non domai e in ve- rità qualche giovane Aroldo avrebbe impugnato la spada, anche, per questa Niobc delle nazioni, piangente tra le colonne e le erme torri degli avi. Io dico di voi, generosi cavalieri di Polonia e di Ungheria^ che vi crociaste della assisa rosea garibaldina ! Napoleone, pur essendo il maitre della Fran- cia, volle, più tardi, consultare con mezzi di po- lizia l'opinione publica; ma se da questa specie (l'inchiesta risultò sinii)atia i>er l'Italia, nessu- na voce di simpatia per la guerra venne da nes- suno dei dipartimenti francesi. Sarebbe stato co- me l'aiuto ]ilatoinco di lord Malmesbury. 'y Daiiifle Manin, sacrificando alle nocfs.sitA l' idealità repu- Iilicanu. eblje il concetto " delTalIfanza «Iella inonafhirt f 'Iella livdliiJtione „ (espressione di (ìaribaldi, vedi il / uto italiano, N. 1, art. 1."); da cui il motto: llaha e 1 "lO- miele, ìa cui la Società Nazionale Italiana, abilmente adoperata dal Cavour. V. Il grido di dolore! V. n grido di dolore! Il 1 ' L' ' ' Tavour, Il 'i auguri '•■'•"■' •■'•i'o''> ' ■ listro sai-'. _ _ i ..__:.ze, e ac- anando Tagamente alla guerra, scriveva: e Se sciamo sfuggire la circostiioja profpnte (appro- r^.r,. A^\ sontimonti ostili del due imperatori o e dell'oocidcnte verso rAustria) per alare rultima prava per liberare l'Italia, Dio quando l'opportunità si presenterà di uuov) r reaì fiatare l'idea nazionale. Non mi nascunl > .o l'idea è ardimentosa e piena di pericoli. Ma '> mai un popolo ò egli stato redento scu/.a •i é> ^r-nza rischi 7 > E questa ò, pur troppo, :ca: sine sanguinis effn.sio- ': non fit remi ss io. La lettera termina- "n consigli di prudenza^ che erano sempì i- utc il riflesso di quello difficoltà politi- h. iQ dovevano crescere sempre |>iù, sino ad oc< ci I via. e Finché la cosa non sia •'■"'■ •- — 6 necessaria una grande pru.. }Li> proprio iu quel giorno stesso, nel giorno del* 166 IL 1S59 l'augurio di pace, Napoleone diede il neguo (U 1 fuoco o, per dir meglio, parve voler saggiare clu effetto produceva l'accensione di quella colonna di gas infiammabili, che si librava sull'Italia. Nel solenne ricevimento di capo d'anno, Na- poleone all'augurio del nunzio pontificio così ri- spose: do spero che l'anno che comincia non farà che rinsaldare le nostre alleanze per il ben • dei popoli e ijcr la pace d'Europa»; quindi |>a.s- saudo davanti all'Hubuer, gli rivolse con accento severo queste parole: «A me duole che le no- stre relazioni non siano più cosi buone come lo desidererei che fossero, ma vi prego di scrivere a Vienna che i miei sentimenti personali per l'Im- peratore sono sempre gli stessi ». La prima impressione dell'I liibner fu come tli chi riceva una ferita: da principio non la si av- verte. In tuono severo? In tuono di bonomia! Ma che cosa ha voluto dire quel signore? JVia niente. Un momento di maluiuore. Un'amplifi- cazione della risposta pacifica, rivolta al nunzio, quindi qualcosa di agréable. Ma tutti i volli dei diplomatici pur così rispondendo, sono tur- bati. Le parole dell'Imperatore sono state udite da tutti. Qualcosa di agréable? Qualco;>a di penoso e di grave! Ed ecco, subito, quelle parole diffuse: panico in Borsa, stupore e turbamento alla Corte: tutti gli occhi su di lui, Ilùbner. Ma l'Imperatore, ma l'Imperatrice, sono verso di lui nel ricevimento del giorno seguente, di ima cortesia eJ atlenzio- // jririd (il fintiti f 167 ne estreme. L'Imperatore, appena lo ha veduto, gli is andato incontro, gli ha stretto affettuosa- mente la mano, gli ha domandato notizie del suo viaggio in Ispagna. «Come è andato il vostro vl.i.M'io in Ispagna, dopo" che ci avete lasciali Titz?>, e tutto questo nel tuono più ami- rjM voic, con l'espressione più graziosa. I diplo- : ':iuo i due interlocutori. Respirano! ira bene lui, llùbner. Si reca il gior- no 3 dal ministro Walewski {wr conoscere la vera ini /ione di quelle parole. Avrcì)be, tutt'al 1 r , IO naturale che gli avesse parlato così a quattr'occhi; ma in un ricevimento publico, ma ])rfn(iere il momento che lui era venuto a fargli ^'li aupiri. :•"• ■'■-■ una cosa penosa e disob- l)li^;antc.... < Ma niente era più lontano dal pensiero del- ri re — lo assicura il Walewski — che (li: . •he cosa di penoso e di disobbligante. Me lo aveva avvertito, qualche giorno addietro, che, in prescnzii di certi rumori...., vi avrebbe voluto faro una graziosita! Ora egli è stupito <1<11"( ffetto delle sue parole, vi voleva dire sol- tanto.... » l'ariu'i ]i:i ' ■ - ' ■ 1 ■ '■ ' 1 .1 ■ ' . ■ I «• rilt.'i^-ai .1 ili Lru dell'im- pero austriaco, coni*: Buoi. «La guerra, la guer- ra, la guerra; vero il soggetto esclusivo delle con- \Lrsaziuni, nei saloni, nei olubs, nei caffè, nello 168 IL 1869 casoraic. 1 soldati vogliono delle promozioni ». Va bene. Ma sulla pelle dell'Austj-ia? Ferve il lavoro negli arsenali militari : ma qualche generale sa- vio, il maresciallo Pélissier, scuote il capo: e c'e- ra lui, Hiibner, quando il maresciallo ]»''- --'- crollò il capo. Ha visto Thiers: lo inc" Campi Elisi. Hanno passeggiata insieme. L'ex- niinistro di Luig^i Filippo ha lasciato allora al- lora il conte e madama Walcwski: «Si ò studia- to di far loro capire che sarebbe da pazzi sepa- rarsi dall'Austria e riformare i trattati della San- ta alleanza I» bianco mal&I È quello che dice an- che lui, Hiibner. E di altre cose il Thiers ha am- monito il Walewski, cose che a lui, straniero, non possono essere dette. Il Walewski ne è rimasto tanto persuaso che ha domandato a Thiers il per- messo di riferire le sue parole all'Imperatore. Il conte von Hiibner, ambasciatore austriaco da molti anni alla corte di Francia, era uomo di mente acuta e fine, come dice lo stesso suo vol- to. Amabilmente epicureo, aristocratico sino nel- l'ironia della frase, imbevuto sino al midollo di pregiudizi austriaci e dinastici, pur tuttavia non è una figura antipatica. E imo spirito conciliante e prudente, quanto pedante e irascibile è il suo prin- cipale, conte Buoi, dichiarato dall'Hiibner iir:>iif-- tiift'i i|uc- ttn ÌI4) è iudfguu tii uu «o* 170 II, Ib'iy d'Italia uou esiste che nella meuto del signor di Cavour». Badi l'Imperatore a quello che fa, per- chè, si an/à, supponiamo celie l'Kuroita resti im- jmssibile al duello, che la Francia ottenga nell.i guerra dvi grandi successi, suj)poniamo anche — è il signor Drouyn de Lhuys che cerca di raddol- cirgli le amareggiate digestioni — supponiamo anche, ciò che mi pare impossibile, che si riesca a spezzare le vostre linee fortificat'C sul Mincio e sull'Adige, mettiamo anche che si riesca a cac- ciarvi nel Tirolo: badate bene che non c'è nes- suna buona ragione per ]>ensare a tutto questo: ma supponiamolo. E dojw? Dopo si resUi in un té te à téte con la Sardegna, il Papa e l'Italia. K allora? Allora, questo grazioso téte à téte ci getterà in un dedalo senza uscita, che sarà la nostra rovina ». ») e Parole profetiche ! * escla- ma Hùbner, che visse tanto da vedere Sadowa, Mentana, Sedan. « Non si può stare in bilico tra le baionette della coalizione europea e i pugnali dei cospiratori, che gli daranno tregua soltanto fi- no ul giorno che strapperà i trattati e sfiderà l'Europa ». Prosegue e scrive al conte Buoi: l'Imperatore non ha voluto ricevere l'amico Persigny, che vuole la pace; ha fatto finta di non udire il buon Cowley, che gli domanda udienza e vuole la pa- ') HL'bskb, II, pag. 270. Drouyn de I.' "''«-ISSI) uomo politico Irancj-se, più vcilte ministro ce; Walewski che iiou crede alla guerra; lo stes- so segretario dell'Imperatore Moct£uard, deposita- rio del suo pensiero. Tutto si calmerà. Povera j'icciiia! Chi? Clotilde. L'ha vista al gran prauzo tifile Tuileries. Povera sacrificata! L'Austria ca- valleresca non porterà la spada contro di lei. Assomi^'lia al biibbo, Vittorio Kmauuele; ma il labbro, il cuore è degli Absburgo: ha il fare priu- cipesco, ma un po' rigido delle sue arciduches- se. ») Il cuore di Ilubner s'allarga: l'Imperatore ♦• gaio. S'ò liberato d'un peso enorme: gli ha det.- to che lui ha avuto torto, Hubner, di essersene avuto a male di quelle lontane parole del primo no. «Nessuno nicgliu di lui saprebbe rappro- tare l'Austria». (È quello che ha sempre i>cn- sato lui, von Ilubner). Non più guerra. In quo] rio del primo dell'anno Na{>oleone pensava a l'< .grado, all'intervento austriaco a Belgrado. £ una deliziosa scruta quella delle nozze: gli ar- tisti del Conservatorio dalle gallerie, in altl>;i-li:inii. Quelle melodie vengono ' H'iDirr. II. p«jr. 280. I^ fredda, oprilo ar(-o^H>nE« rh<> P*- ii.'i Icrr a <'l"fillt'. iKiVilll ".Iiuta • lo, .ivi.ltlw " «-.a'ix-r.if'" r Itiiiii rifili»- . ; ,-<.) \'>i ri":i -ilirin |.. |. i|. I! .1; II. )i.l' : « I . I 17S IL 1869 dal ciclo. Tj molto gaio l'Imperatore: una piccola dì-' -, Sire, UQ) HUb.nei:, n, pag. 283. 77 grido di dolon 173 più evidente in qtianto che, se Napoleone nou nutrisse tale lUsicierio^ eì non avrebbe espresso il suo rìnoresoimento >. f^ ;.>9ta int' " r---':."a non si accor- 1 però con , >a noH'ordine dei fatti: VAtistria metteva l'esercito d'Italia in as- setto di irnorra e stringeva le armi attorno ai j,;, .• ,i; ^uui protetti, i sovrani d'Italia: né le di- ' ui del governo di Vienna furono meno >:ite: e Noi non vogliamo abdicare al nostro ;, to (ii intervento. Noi non consiglieremo ai «.MiVLini il. i lumi alcuna riforma. La Francia so- stiene la parte protettrice delle nazionalità: noi "nr'mo e re-' protettori del diritto dina- sti.»)». Cosi u irò Buoi, ril gennaio, all'ani- ) i-ciatore inglese lord CJowley, che tanto affare si diede, tanto viaggiò e parlò, come vedremo, per fare che i contendenti si stringessero almeno la mano. Il principe consorte della regina d'In- ghilterra» uomo di acuto senno, cosi scriveva al re del Belgio: e Se le parole di Napoleone fos- sero state pronunciate dopo una insurrezione a Milano e dopo una serio di atti di violenza del- ! ; verso i suoi sudditi italiani ribelli, la ùv.^u^ua. sarebbe stata tutt'altral Ma parecchi mesi trasoorsi nel meditare se sia cristiano, po- litico e vantaggioso fare la guerra, sono un gran- de impedini' * '" ire, eia Bur tui'T e^t l'empire. entente:-fous? dissi; al- l'ultitno ballo di corte ao il discorso del Re), al suo in< — ;■-•<>, sir Giacomo Hudson, da comuuiaire al i ,r. tll governo di S. M. è stupito che il governo sardo, il quale ispirò quel discorso, non si 8Ì;i lo dcirimpressione che avrebbe i.robi4 lusato in un paese così agitato, »nie è oggi l'Italia, da giuste o esagerate spe- ranze di cambiamento nella sua politica inter- na. Vi invito a rappresentare al conte di Cavour la terribile responsabilità a cui egli, senza es- tere assalito da alcun Stato straniero, e senza e! ' sia in causa, va inevitabilmente il vocare, come fa, una guerra eu- •pea, ponendo in bocca al suo Sovrano parole to ai sudditi di altre potenze, scontente ■ 1 . -t'ri governi». Ecco: il conte di Cavour se ne era occupato; a non preoccupato, perchè era appunto quello • •gli voleva. Oh, ma la fibra ini^'lr-' v •> per nulla! Il discorso che Vittorio Emanuele doveva pro- iiinoiare il 10 gennaio davanti alle Camere, era 176 it 1859 già stato abbozzato dal Cavour sino dal 30 de- ocmbre, e terminava cosi: e l'orizzonte in mezzo a cui sorge il nuovo anno non è pienamente se- reno (in origine anzi, era detto mi r; ■ iso); ciò non sarà per voi argomento di a< vi con minore alacrità ai vostri lavori parlamentari. Confortati dairesporien/ ' ' i- mo prudenti e decisi le ' <\ Qualunque esse siano, ci troviamo forti per la concordia e costanti nel fermo proposito di com- piere l'alta missione che la Divina Provvidenza ci ha affidata ». Questo linguaggio a noi, che leg- giamo in un tempo in cui le sentinelle austria- che non sor\'cgliano più le belle sponde del Ti- cino, può sembrare prudente di soverchio; ma ai ministri del Re parve invece arrischiato, anzi temerario: la quale cosa ci potrà mag- giormente meravigliare se pensiamo che i mini- stri si erano accordati nel concetto che il di- scorso dovesse essere vigoroso ed esplici- to, in modo da far buon'eco alle parole dellTni- peratore all'Hiibner. E supponibile che tra il Cavour e gli altri ni nistri la discussione deva essere stata animala e senza il beneficio dell'intesa, se è vero che la conclusione fu di farne arbitro l'Imperatore stes- so. Nel giugno del '58 il Mazzini aveva publica- mentc ammonito tche la politica del Cavour o del marchese d'Azeglio non sommeranno che a disfare il Piemonte »;i) né è troppo ardito il sup- 1) HAZzntT, ScrtUit X, pag. 87. lì grido di datore 177 P" Hi in Picmoute, partendo, certo, da I" ri^i, giungessero alla stessa conclu- • >Qe del Mazzini. In tale politica perigliosa fu ventura d'Italia ranimo di Vittorio Emanuele, al- lora e poi pronto ad accogliere le deliberazioni più ardite; e ciò si può dire senza preoccupare per questo il giudizio che di lui si voglia com- porre. Fu, dunque, richiesto l'Imperatore. Que- st'uomo ohe noi conosciamo, o statuariamente cpartarsi per lunghe ore nel suo studio e quivi meditare e lavorare in compagnia di qualche suo SOL ''. i cui il Mooquard, uno dei più fe- ri' ^ I del suo pensiero. Vestito sempli- inente d'una veste da camera, calzoni larghi, !u senza interruzione un numero inter- ^' sigarette, nelle sue rapide note a ava diplomaticamente, se cosi pia- di credere. In quell'anno la visione imperiale i si disegnava come un'aurora: Sadowa, Que- taro, Mentana, erano ben lontane. I^ mattina del 7 gennaio, giunse la risposta ir Imperatore; a matita aveva scritto: . E qui aveva dettato al Moc- i^uani, di cui era il oarattere a penna: e Quest'av- venire non può essere qtie felice perohò la nostra Pahioii. tt téUk ÌM 178 ih 1859 politica s'appoggia sulla giustizia, sull'n -^ Iel- la libertà, della patria, deirmiuiuità: .- ali che trovano un*eco in tutte le nazioni civili. Se il Piemonte, piccolo per il suo territorio, conta per qualche cosa nei Consigli d'Europa, è perchè e^so è grande per le idee che rappresenta o per gli affetti che ispira. Tale condizione ci mette, senz'alcun dubbio, in molti perigli e tuttavia, pur rispettando i trattati, non possiamo re- stare insensibili alle grida di dolore che giungo- no a noi da ogni parte d'Italia. Confidenti nella nostra concordia e nel nostro buon diritto, come nel giudizio imparziale dei popoli, sappiamo at- tendere con calma e fermezza i decreti della Prov- videnza». Questa correzione di Napoleone parve ben piìi ardita che le «eventualità dell'avvenire», e il far giungere «a tutti i gabinetti d'Europa un'eco dei gemiti che si elevano dal Ticino all'Adriatico*,. fu giudicato atto tale «da rasentare la temeri- tà». Perù «voi potete star sicuro — scrive il gior- no 11 gennaio il Cavour al Joctau, ministro sar- do a Berna, spiegandogli «il vero significato del discorso della Corona», — «che noi non com- metteremo * imprudenze e che noi non ci avven- tureremo senz'essere certi del concorso attivo dei nostri alleati, non solamente nella sfera della diplomazia, ma anche nel campo di battaglia». *) In. fr:)»je « eventualìi-Ti «li-ll'-iwciiiic ,,. non fu sop- *; OoiALA, m, pag. 10. n ffrido a dohrt 179 ;eiiiia) ed è anzi iu quc^jta lettera cosi comuien- ita: e Queste eventualità aoa si faranno :uspt>t- tare molto, perchè noi abbiamo mes8o l'Austrì.i e in una via senza uscita^ da cui non si può usci- cre ohe tirando il cannone. V. ' i>ciò sfuggire «roooasione di fare delle c; >in; e il go- c verno della sciabola ohe essa deve per forza «allottare, non può seguitare».*) Le parole di Napoleone 111 non fecero però -ssare le perplessità fra i ministri, stando a ciò ■ il Massari:') di consiglio dei ministri oi iivuuiiw la sera del giorno 8 e la mattina del \\ ma la deci-siune fiuale pendeva ancora dubbiosa. 'l ora inoltrata della notte giunse un telegram- ma da Parigi, nel quale l'Imperatore Napoleone si oompiaoeya di quelle parole e lodava l'inten- 1 mento di pronunciarle. Le perplessità cessa- . 11 resto è noto. I inrìttina del giorno 10 il lU ••..w.... h.jui- i\- -..i un poco di male di gola. «Ho paura '!; -• al Cavour — che il primo tenore con ' !i gola canterà male la zza allegra fa onore al perchè quella parte di primo tenore gli il trono. Invece il Re roci- , . :Ìetto scenico fu meraviglio- role, suggerito da Nai)ole6ne, il grido >• Cfr.'K**»!», " Il diacono regio può tradarii oosl: U mo ' i ia eor« l' Italia, ma U na idnoia è ri ■ce. L« guerra non dipeada da Toriao .\, piy. ÌW. ^ ^ 180 II. 1859 di dolore, ech< " . cora«! squillo vero di gui r . :^inceni, di uno stato dì compressione che non si poteva più tollerare: o insorgere o perire. Questa è la vera impasse, la via cieca, in cui l'Austria cacciò sé stessa. Sì, è grido di doloro vero, puro, semplice, carne vìva che palpita ancora dai pa- tiboli; lagrime che grondano: qu* ' ' lo è sa- lito sino al trono dei Re, che è is-- li certi suoni. Sì, o Re, noi siamo con te i>er la santa battaglia, per la battaglia, non doll'orgoglio na- zionale: più semplicemente, dell'essere o del non essere; di vìvere o scomparire. Scomparire come gregge umana» no: oh, ì grembi muliebri si fe- condano lo stesso anche sotto la servitù stra- niera; scomparire come anima, come diritto, co- me storia. Ma quanti lo potevano intendere? I ministri di Prussia, di Inghilterra, di Russia, di Francia, anche l'incaricato d'affari del Re di Na- poli, Re Bomba, Ferdinando II, che fu visto e co- .sparso di cupo pallore », *) brava gente, abituata a tutti i giuochi delle parole e degli affetti, po- terono informare i loro governi che la rappresen- tazione scenica di palazzo Madama corrispondeva ad un dramma vero e sanguinante. A Pio IX non pare che piacesse molto cotale rappresentazione, di recente discorso del Re di Sardegna è fatto per riscaldare la testa di tutti i rivoluzionari d'Italia»; opera impnidente per- *) Massari, ha vita di Vittorio Emanueh. Il grido di dolore 181 le nei suoi dominii c'erano espiriti mal- .uìo la citata e Gazzetta ufficialo, ripor- tava il discorso del Re, ma il corrìsp>ondeiite to- riii<\se uon commenta per nulla il grido di dolore; dice soltanto che un e sentimento di dolore si dipinse sol Tolto dì tutti gli astanti quando il discorso regale accennò alle cattive f — ;;,;....; .i,^ii\.-^ri.. "Mblico. Eppure niuno igno- I . ize si trovano a mal par- tito». Siccome però qualche cosa conveniva di- r ' osserva: «prolungati applau ' ~n .irono I arde che acceuiuiuo alla - , i del- l'Kuropa verso il nostro Stato». Quanto al sa- "ultimo inciso, è fat' -ta . - .^ .^uel periodo ha un si^ ^,.lo, ( --<» i:: j ;• herebbe una manifesta contraddizior ne»; infatti come si poteva dichiarare di ri8|>et- tare i tr ' del '15, e insieme minacciare la guerra? v contraddizione') probabilmente rappresentava pel Cavour un'utile via di uscita; 0 ;•■ r N'apoleoue, che ne fu il . o si- ^:. .ica\a uii'a^ituzia; o fors'auc.- aìo di iiti.i sf>eranza o di un'illusione che la questione tt.ilica si potesse com{>orrc senz'armi? Ed anche nel Lombarlo- Veneto c'erano «spi- r t f.K.ra di Odu Rupx-1 » M C^tthctt, Il lti»oroimrnt • Jt vano !• fra»*', u ia„. J. ditcono regio, X, i»i, . anaio '6i.} 188 it. 1859 riti malvagi » ; i quali da quei discorsi di Napo- leone e di Vittorio Emanuele non potevano che essere maggiormente eccitati, come osservava Pio IX. Tale stato di incitazione e di tempesta è riflesso bene in questi fugaci appimti di cro- naca^ che devo alla cortesia di un. signore mila- nese. ^) < Il 1.0 del '59 agitatissimo. La plebe in- sulta e malmena chiunque porta alla bocca il riprovato sigaro. A Porta Ticinese (Milano), s'in- sultò un ufficiale; a Santa Caterina se ne malme- nava altri. Si grida abbasso i cappelli a cilindrD. Il discorso di Napoleone a Hùbncr. Effetto nelle popolazioni ita.liane. I giornali negano il fatto, ma l'effetto rimane. Trenta individui provenienti dal Piemonte arrestati. Il 6 gennaio più forte agi- tazione: s'insultano quelli che giocano al lotto. Notte tempo sono arrestati e trasportati colla via ferrata più di 400. Arrivo straordinario di trup- pe. Prendono p>osizione sul Ticino, poi sul Po. I giornali assicurano la pace. Nessuno, meno po- chi, vi credono. Discorso di Vittorio Emanuele che ascolta i gemiti d'Italia. Agitazione in Pa- dova. Impedita la dimostrazione pel defunto pro- fessor...., vanno gli scolari; dissotterrano il ca- davere: lo conducono in processione con una co- rona tricolore. La truppa cerca disperdere la fol- la. Qualche ferimento. Grendarmc che rifiuta di tirare. Fugge in Piemonte. Si chiude l'Univer- sità. Teatro della Scala. La e Norma» cantata ^) (V>nte Quido Helzi d'Eril: essi sono del padre suo, duca GiovwuiL 77 grido di doicr« 183 "^^ ■ ■ ■ '. Coro, e Guerra, Guerra! > ". ,. . -^ .- _-' a queste parole. Rispoa- doDo |?li ufficiali battendo la spada. Lo strepito 1 23. Viene proibita la < Norma ». Ver- hi: ito d'italo amor, d'itala forma, d italo ardir ch« tuona e che predice, in simbolica ipoglia era la Norma. (Questo episodio del patriottismo lombardo ò fra i più noti : *) ma esso ò qualcosa di più ohe una Ulla vendetta della Scala, addormentatrice si- rena, cara al Mettcruich : è indizio che gli ultimi riguardi di casta, i vincoli stessi di parentado, da antico studiati e favoriti da Maria Teresa o V - - =': accorti e tenaci di quelli usati poi del ■ >, sono spezzati. Molti di quei nobili, rin- casando, deporranno per tempo indeterminato la .^giare la fucilata ; . .. , \ . , I 'bbraio 18óU. Son- cini, Olerici, Caroli, Boner espulsi dai teatri; non ò loro permesso neppure il teatro delle marionet- te. Si a.«p<-tt.a il discorso, Imperatore Napoleone. Incritt //^L. Jiuiigrazionc spontanea di giovani in Piemonte. Festa per la principessa Clotilde. Fe- str^giamenf : atro della Fenice. Si recita il cl'rofeta». i .^ tentandosi, la notte, si spen- gono i lumi. Piovono coccarde e confetti a tre co- lori. Dal Verme, Visconti, (?) circa cento giovani milanesi si •'rr,...iano. L'Università di Pisa ar- >/ Vedi R. ii V < > » V //. antotio deth C minuto noi Barbirrk, pò. cit., e a pag. 473 ielVop. cit. di Giovan'*' Visconti-Va- ^ottT▲. n grtdo di dolore 186 e ooH'insulto. Interviene la truppa e gli ulani. Para) ■ " ' vendono m.i gali .. :, grosse pat ; ^ ^ ^^ - no le luascbcre ; ma sono pochissime. 28. La città è muta. Arr«'-»ti. nar>;iuini è .salvato da un be«ro. Pa{tà ( 'vn'- Fortificazioni e fe- ritoie al Castello t. M.'t prima di procedere, sarà utile vedere che < ■ ...... jj maggiore di questi espiriti Il progenitore degli spiriti ma!- v:igi, il Mazzini. La causa d'IUilia cosi come era sostenuta da 'luesti tre i»rimi attori, Vittorio Emanuele, Ca- vour e Na{>o leone III, fu da lui fieramente av- 'a. >) Questa cosa è nota, tuttavia conviene .wnt nnarci alquanto. Contro Vittorio Emanuele non possiamo dire che vi fosse propriamente av- \er8Ìone: il Mazzini che del *31 aveva rivolto a Carlo Alln-rto il inau'n.iniino invito di «liberare 1 Italia ciai IwirUiri , va detto: «snudate la spada e cacciatene la guaina: fate un patto con la morte, e l'avrete fatto colla vittoria», ripete in 'tuono più atte- nuato, al figlio di Carlo Alberto l'esortazione me- desima. Come refuiblicano non int« !■ ' " al Re hi siui fr*; ma non vuole i ^) Ytdi tutto U TvL X dagU Strm del Maixim. 186 IL 186» imponga la sua. Domanda che a guerra vinta, si riservi alla Sovranità Nazionale di stabilire la forma e il patto del proprio reggimento. *) Si ri- pete a un dipresso ciò che fu tra Cattaneo e Carlo Alberto nel '48: «Passate (il Ticino) ma non vi promettiamo niente U') «La ]xirola riconoscenza — scrisse il Cattaneo — è la sola che possa far titcerc la jKiroUi rcj»ublic^i». Se non che del '/iO non era ministro del Re il buon conte Cesare Trabucco di Castagnetto, ma il Cavour, non di- sposto a far proclamare Vittorio Emanuele pre- sidente della republica. Ma Talleanza con Napoleone III è cosa tale per cui l'animo suo insorge con ogni sua forza; e ciò per due ragioni, di cui la prima è che il sogno della sua vita è distrutto: la storia non scriverà nelle sue pagine : « l'Italia, libera ed una per virtù proj^ria, insegna ai popoli come si fran- gano le tirannidi ^ ; ma scriverà : « l'Italia, scrxii fremente, ma incapace di liberarsi da sé, ebbe indipendenza dall'Austria, per opera d'armi stra- ') Vedi Maz/im, Scritti. X, XX. La formula plebiscitaria, pro- TocAta dopo Villafranca, fu, come è noto, ben altri '- tera "al conte di Cavour,, dH «riuf^o '5«, v' è qi. " Voi non potete, senza sf ' 'dorè in una sene di inin- fipi ; noi ci accostiamo r.' a t«>mpi. nei «inali ojrni monarchia sparirà. I vostri ailitn dcvoni' il regnante dojf^^i. Or la latenza che vi A.r tate sul campo, e l'abitudine inveterata nei j^j,,,!! m <■>.•.• re o mostrarsi grati anche a scapito della propria salut*;, vi assicu- rano rh^ -...1. ..,.!.. I re il vanto di aver contribuito con le arili voi (jli serbavate, se non la corona, la pregia. ...... ^ !ialia„, pa;r- 7b. *j Carteggio Coiati-ikaiagnctto, pag. xlvu. it yrtno m doiùrt 187 niere e dispotiche >. ^) La seconda è che e espor- re ' isa della patria all'intervento e alla ma- I> riuenza di Luigi Napoleone, era delitto simile a quello di ohi infettasse di tabe mortale una giovane vita». •) Questa guerra, se sarà guer- ra, non arra per risaltato che di sostituire il do- minio francese a quello austriaco e l'alleato e si tuutcrà in padrone», g^iacchò quale altro fine se non la conquista, si può proporre Napoleone ad una guerra contro cui «la Francia intera è, dal- l'esercito in fuori, avversa?» Alla prima di questo ruwio va riferita la nota firase che il Mazzini, a testimonianza del Saffi, avrebbe proferita, co- me seppe delle parole di Napoleone all'Hubner: « il dado è tratto, siamo spacciati » ; alla seconda di queste cause il noto avvertimento del gen- naio '59 a coloro che da. lui si staccavano : « Voi vi date a una guerra nella quale la monarchia l'i -fi è esecutrice, l'Impero di Francia i ' r;r .l disegno. Sarete al campo in quai . angolo di Lombardia, probabilmente tra Fran- " ^ r^gg. 818, 818. ,'. XVIII in nota; e p«(f. 205: " Vo- .... ...-.;>«, DM non v..,rli,.i l.,.»(ori<. <, •traoiero che ha - tiA iiKiimaxiiin*» ini I Li 188 IL 1859 cesi o Sabamli r< '" nulo la pace che tnwlirà Venezia, sarà ai ; .i vostra segnata». Si suole dare a queste parole senso profetico ; ma verosimilmente il M.ijszini intendeva il tra- dimento di Napoleone, sia nel caso della vit- toria come nel caso della sconfìtta, la qual cosa è detta nello scritto «La guerra» del 15 maggio, dove così si rag^ioiia: «la guerra, lasciata ai go- verni, finirà con un nuovo trattato di Campo- formio, o con un riparto d'Italia che, lasciando in Roma l'eterno nemico dell'unità della Patria, sostituirà sulle altre terre d'Italia nuovi padro- ni agli antichi: forse, se mai si prolungasse ol- tre l'anno e con vicende alterne, colla caduta di Luigi Napoleone senz'un solo vantaggio all'Ita- lia».^) Come poi a guerra iniziata anche Mazzini chiaouasse disperatamente alle armi e come col- limassero stranamente le sue piirole con altn- di Luigi Napoleone, sarà detto a suo luogo. Qui basti il finire con le parole della accennata pro- fezia: «Ai polveri tormentati ed illusi che van- no ripetendo: Venga Satana, purché ci porti via gli Austriaci, io dico: Fratelli, voi avrete Sa- tana e gli Austriaci ad un tempo ; s'intenderanno sul campo a danni vostri dopo la prima b.i ' ' glia». La verità è che Satana o il «primogtiii del demonio»,') come piii tardi fu chiamato Na poleonelll dalle Dame del Sacro Cuore o r«uom' dalle tredici coscienze» come lo chiamava don ») Mazzwi, Scritti, X, pag. 806. t) Di CiOAU, Moma e lo Stato potUificio, II, pag. 56. lì gride a éUort 189 Margotti, fu lui, il veramente tradito a Villa- franca. Ma già fiu (la antico fu scritto che il me- stiere del diavolo non era il più facile, tanto che il popolo v'aggiunse l'aggettivo di e povero». Ma sarebbe cosa dolorosa per chi scrive queste 11- ine, se riportando tali passi del Mazzini se ne volesse dedurre l'intendimento di esaltare Na- poV' •"" ni a discapito di quel nostro grande. E il • delle cose che a me preme mettere innanzi; guerra di anime che durerà più lontana che la pierra delle armi. Crc' ' ventura per l'Italia che il Mazzini con i i forza non ispostasse il sruo vessillo di una linea dal vertice ideale ove lo teneva spiegato. Oltre l'unità e la monarchia e<«so splende, garrisce ancora: credo erronea oj>inÌMnc tjuella di molti che — biso» gnosi per procedere, di no-elli richiami, — lo re- pntaroi ... lirere l'i- dea de ^ , » i I e scul- tori per il mausoleo interminal>ile. Profeta più veramente fu il Mazzini quando scrisse: e Non isperino gli Italiani salute se non trovano in so stessi energia per compiere il loro dovere».*) Del resto, chi non credeva allora ai tenebrosi disegni di Napoleone che ^ tante notti bianche > fece passare ai diplomatici e ai re?*) I lo ohSrdia pi buio!, lo credevo più furbo, con- fessa nell'aprile del '59 Massimo d'Azeglio.*) ') KAnm, SeriUé, X« Mg. *) HtTans, II. psg. 991. ') OauLA, VI. VH' 8^ 190 11. ler.A E grande del pari era ravvcrsionc del Mazzini contro il Cavour, che gli sottraeva il sottraibile di fedeli e di opero; che di quella accennata in- fezione appariva l'agente deliberatamente sicuro. Ora mentre tanti sospetti si appuntxivano da Mazzini contro Napoleone III, non minori so- spetti e paure molti nutrivano in Francia per que- sta guerra in cui l'Impero veniva a collocarsi alleato della Rivoluzione. Prospero Mérimée così scrìveva al nostro patriotta Antonio Panizzi : «Ma e l'Europa? ma gli Italiani? E che fare del Maz- zini? Fucilarlo: d'accordo, ma che dire a coloro che vorrebbero sventrare il cardinal Antonelli o il re Bomba? Non c'è da temere che dopo le prime vittorie noi avremo degli alleati che ci mette- ranno nel più serio impaccio? In confidenza, mi sembra che si tratti di due vasi di terra che vanno ad urtarsi. Potrebbe darsi che in avvenire non restassero che dei cocci per terra ». ») E lo stesso identico ragionamento, riferito sopra, di Drouyn de Lhuys all'Hiibuer: il pericolo — cioè — della rivoluzione. E Cavour non agitò dopo Villaf ran- ca, per jin momento, lo spettro della rivoluzione ? È del 31 decembre *59, cioè cinque mesi dopo la pace di Villafranca, questa lettera di Napo- leone a Pio IX: «una delle mie più vive preoc- cupazioni, durante e dopo la guerra, è stata la condizione degli Stati della Chiesa, e certo fra >) Lettre» de M. P. Mérimée à M. Panizzi. edite di Faj^an Pari», Lévy, 1881. A questo letterato sono attribuite le lettere d'amore che la futura imperatrice di Francia dirigeva a Luigi Bonaparte. 77 grido di dolore 101 le T ' ' .i che mi impegnarono a faro sì ^ t pace, bisogna annoverare il timore di vedere la rivoluzione prendere tutti i giorni più grainV svolgimento. I fatti hanno nna logica inesorabile e nonostante la mia devozione alla Santa Sede, io non potevo sfuggire ad una certa solidarietà cogli effetti del movimento na- zionale, eccitato in Italia dalla lotta contro l'Au- ijtria», e termina dicendo che già fece molto se riuscì a fermare Garibaldi al confine della Cat- tolica; e dopo questo, le armi regie invaderanno l'anno seguente col suo permesso le Marche e r Umbria I Eppure nello scrivere quella lettera l'uomo e dalle tredici coscienze» probabilmente non mentiva. 11 17 settembre del '59 alla ringhiera del pa- lazzo Gioia in Rimini che è presso alla Cattoli- ca, un uomo apparve : balenò un fulgore, si stese un silenzio, echeggiarono queste parole: «Dal- l'entusiastica accoglienza che voi tutti qui mi fate, m'avvedo che siete stanchi del governo dei preti. Genia infame!» Chi mi ripete>'a a memo- ria questo proemio, era allora un giovanetto che timidamente s'era fatto al balcone della casa vi- cina per vedere che cosa di nuovo succedesse nella città morta. Quando un gran scapaccione lo colpi: e Va via di qui: mi moravigjio ohe tu .stia a sentire le parole di qw " •!»*) Era il babbo; o qucU'cmpio era Gai... *> PMole tostiMbMite rìf^rìteni dal dotto e nobile PiVtro Galli, diftribalovs Mila OanlMlaiigbiaiM di RimtDi. IM II. 1869 £ nelle memorie delle cose tramandate, mi sta anche il ricordo di un altro padre in discussione coi figli ohe avevai\o combattuto a Roma del '49, e diceva alla moglie «Quel cannone di San Pan- crazio non ha fatto il suo deverei», e, passando Garibaldi pel suo paesello, faceva chiudere le finestre per timore che non ci entrasse la sco- munica. Erano pochi, è vero; ma anche di quei pochi è dovere tenere il conto. Le alternative di pace e di guerra. l'Aduni. // ittà, 18 VL I«« alternative di pace e di g^^erra. Il 4 febbraio era publicato in Parigi l'opusco- lo: «Napoleone III e l'Italia». Della grande im- ^rossionc che destò allora tale scritto spenta già la memoria. Questo opuscolo si potrebbe chia- irc oggi dai malevoli ciò che in gergo comm^r- ' •* df>Ua la reclame della guerra. Tuttavia il modo come è stata redatta una rócla- -, può essere interessante. Eugenio Rendu, ri- > dal Ghiaia,*) in una lettera dell' ago- ^^3, racconta le vicende di questo opuscolo, 1 usa quell'arguta garbatezza che i Francesi per ni loro scritto dispensano oosi signorilmente .<ì paro facile impadronirsene ed imitarla. £c- > in breve : subito dopo il colloquio di Plombiè- S Napoleone chiamava il visconte de la Gué- runniòre, e gli affidava l'incarico di quest'opus scolo, determinando questi due punti essensiali: imo, ohe lo stutu quo non poteva etaere 1 mantenuto al di là delle Alpi, tanto nell'in- 196 tL 1869 — — ^■^———— tcTcssc d'Italia ohe dell'Iinpcro; secoudo: pro- getto di una federatdoiDe italiana. Ma pare che il La Gui^ronnière, con tutta Te- lasticità del suo ingegno, si trovasse un po' a disagio nel dover parlare delle cose d'Italia. (Da quel tempo in poi i Francesi non hanno fatto troppi progressi nello studio delle cose nostre, e ciò è alquanto mortificante per noi, che stu- diamo le ODse loro più delle nostre). Il La Gué- ronnière si rivolse allora al Rendu, che, appunto, attendeva od un lavoro sull'origine della fede- razione in Italia, e — dice il Rcndu — e il pen- siero di vedere affidata allora alla spada di quel monarca l'incarnazione di un sogno che rispon- deva a tanti sforzi e a tante ragioni storiche, mi sedusse fort/cmente». In pochi giorni e notti di composizione entusiasta, lo scritto fu condotto a termine. Sono sostanzialmente le idee dei nostri neo- guelfi Gioberti, Balbo, d'Azeglio, l'idea cioè di una federazione fra i vari Stati d'Italia, con esclusione dell'Austria, e ciò per una ragione evi- dente: perchè, sino dal tempo di Fedro, l'allean- za ir& il leone, la capra e l'agnello, p a t i e n s i n i u r i a e, non diede mai buon risultato. Ma, poi che siamo in tema di favole, quei nostri pa- dri si trovavano nella condizione dei topi, che avevano bensì trovato il rimedio contro il gatto, ma non il modo di attaccare il campanello alla coda del gatto. « La spada del potente Imperatore dalle cui labbra l'Eiuropa pendeva t, ora si of- friva come rimedio. i*er messo di tale federazione ' 'ilava uei- l'alba che stava per sorgere, e lo >< ^ i«>uto dcl- k grande questione, che è la questione del mon- dcl Papato: il quale «fatto li- i e contradditoria respom>abilità rale e del jotere spirituale, non 1 sarebbe più trovato costretto, come fu di io IX nel '18, a sacrificare la sìisl. qualità di - ;i «quella di depositario della Buona Novella ii Cristo, o viceversa». opinione del Rendu era, ripeto, condi- i.^ .aolti nobili spiriti fra noi: ma altri molti i meno nobili spiriti, sia perchè vivevano più icino al Papato, sia perchè avevano letto meglio 'aiii< , Boccaccio, Machiavelli, non avevano tali tii^i.i-tui, ed erano convinti che per risolvere L questione di Roma, occorreva qualcosa di più ito che la spada di Napoleone III, la quale ,,;<.u.> il nodo, ma anzi impigliò sé stessa i>opo Villaf ranca, Napoleone publicò l'altro 'eli Papa ed il Congresso», di rtò il Cavour;») contenente, cu- io«a ripetizioni', It* stesse idee espresse nella r:i del 1831 a (Jr< ,;ono XVI. ») In questo , fra proteste fii devozione e di amore, • che «conio più il territorio della Chiosa IO piccolo, più il Pontefice sarebbe sta- . gr.in.le»; la poteimi '■' ''"•' -« >'i»'>'- ''ho Vedi piA dietro a pair- 70. ') Vedi pili dietro a pag. 107. 196 IL 186» e meno dalla sua forza che dalla sua debolezza (politica) ». Tenuioava oon questa preghiera : «Possa Naix)leoue III aver l'onore di conciliare il Papa, conie sovrano teniix>rale, col suo po- polo e coi tempii» Costretto a spiegarsi, Napo- leone rispose con la lettera, riportata a ijaj^. 191, in cui concludeva esortando il Santo Padre a «fare il sacrifizio delle provincie insorte (Lega- zioni), cedendo alla logica inesorabile dei fatti Così il Santo Padre assicurerebbe all'Italia ri- conoscente la pace, alla Santa Sede il possesso tranquillo del rimancnlc suo Stato. Ecco ciò che tutti i sinceri cattolici devono domandare a Dio ». Ma « la logica inesorabile delle cose » por- tò invece alla separazione tra l'Imperatore e il Partito Cattolico; Carlo Magno apparve come Giuliano l'Apostata: le parole d'amore al Papa parvero insulti; il rispetto — che pur era sin- cero e lo dimostrarono le cose — ipocrisia. Il Papa disse : Non possumusl La Rivoluzione italiana disse pure : Non p o s s u m u .s I Sopra- tutto è il santuario dì Delfo, cioè Roma, che occorre all'Italia I Così si preparava la strada che condusse ad Aspromonte e Mentana: L\ dove Ga- ril>aldi, cioè la Rivoluzione, aveva deliberato di sciogliere il nodo storico del Papato in motio assoluto. Undici anni più tardi, il governo italiano cre- dette di operare come Alessandro a Grordio; m.L in verità lo ferì soltanto quel nodo famoso, che diventò imi;i l'i.tga. Allora alcuni medici dissero I.< aìUrnotirf di pare e di gtterra 199 clie occorreva applicarvi il cerotto del dogma scientifico; ma ne derivò un'irritazione maggior re. Altre cure anodine si vanno oggi escogitando; la qual cosa può dimostrare, se non altro, che la piai: "^te tuttora. il I |)arcva entusiasta di questa soluzione ottimista, e con sonanti parole cerca di e precor- rere ogni obbiezione od opposizione. Chi doveva essere il capo di questa federazione? Colui che personifica Tidea piii universale e più potente; colui al quale risale in Italia ogni entusiasmo e opni ossequio; colui che diede a Roma le arti, i costumi, eto. ; colui che ha fatto di Roma il cen- tro del mondo e le assicura una seconda eter- nità». Ma il Papa arrebbe detto di no, e Mazzini scri- veva, poco dopo, che la possibilità di tale fatto (t^ui varrebbe a e disperare della patria, dei po- poli, della coscienza umana» della libertà, d\^ni cosa santa». 1) Per due mesi l'opuscolo riposò nel silenzio. Il duo decembre, il Mooquard avverte I^a Guéron- nièrc che fra dieci giorni l'Imperatore desidera coDoecere lo scritto. Altra sosta. Il dieci gennaio, <'if>ò dopo le parole all'Hùbner e il giorno stesso che Vittorio Emanuele lancerà il grido di do- lore, La Guéronnière è inyitato a pranzo alle Tuileries. Pranzo intimo^ e fra i commensali il Nunzio pontificio. Dopo pranso^ conversazione su *) KAttnn, Sentii, X pif. 881^ IKyofMM 1Z7 « Vllaiia, 15 febbraio. 900 IL 1869 le coudizionì politiche d'Italia, e L'opuscolo 7» « È pronto ». « Venitomi a trovare — disse l'Im- peratore al La G uóronnière — una di questo mat- tine». In fatti, dal 20 gennaio in poi, lettuni dell'opuscolo nel gabinetto imperiale: La Gu6- ronnière, Mocquard, l'Imperatore. Questi approva il lavoro e specialmente lodii la profonda cono- scenza su le cose e i sentimenti d'Italia. Per ciò che riguarda quest'idea di un'Italia federale col Papa, si ponga mente a qujesto passo di lettem del Cavour: «Più volte l'Imperatore, a persuader- mi, ha citato brani di libri di Azeglio»; i) il che se prova come l'Imperatore fosse fedele alle idee giobertiane, induce anche a pensiire che il Ca- vour oramai coltivasse diversa oi)inione. E réve creux chiama^ sia pure per altre ra- gioni, l'Hiibner questa vaga idea napoleonica di federazione italiana. Approvato l'opuscolo, l'Imperatore volle farvi alcuna aggiunta ed emendazione: nel preambolo inserì egli queste parole: «L'Italia rapprescnf.i nella storia qualche cosa di più grande ancur.i che l'idea della nazionalità: essa rappresenta la civiltà». A pagina quattro, volle citato il passo di Tacito (o buon republicano Le Bas, che fa- cesti leggere Tacito 1): Memoriam quoque ipsam cum voceperdidissemus, etc, in riferimento ai benefici che al mondo diede nel passato tempo l'Italia, «più che sorulhi, madre delle altre nazioni»; benefici che l'Europa non 1) Qbiala, m, pag. 67. Le attematite di pact e di guerra 201 può <• i iu^rnititudino; l'Italia non può obliaa*^ ....... ..anegarc sé stessa. Di lui pure è la nota che si riferisce < airimpoteuza assoluta d'una forza veramente italiana, a trionfare, sen- za un soccorso esterno, di un nemico così for- temente orgauizz.ato come è l'Austria . Quindi la deduzione: e da questo fatto risulta, per ogni uo- mo di gti«>rra, questa verità incontestabile, che la uaaiomtlitii italiana non sarà mai il risult^ito di una rivoluzione». Questa affermazione colpi- sce, inanifestajnente, in pieno gli ultimi tenta- tivi I: ■ lui, di Milano, di Toscana, di Na- poli; Ita che il Mazzini vi risponda diret- tjuneute nel suo scrìtto e Napoleone III e l'Ita- lia». La fe I»rGciso con la publica opinione e con la realtà : la qual cosa successe a molti esuli, .specie in t Dm- pi in cui lo r<»inimi«*:iy.Ì!>MÌ «'r.Liiu L-t.i)t^) itiu lfM |>to. \< la di scudi in venti giurnali d'opposizione ». 909 IL IMA Ancora : l'ultimo paragrafo oontcncva queste pa- role: «Noi Qou abbiamo alcuna inimicizia verso l'Austria. L'Italia è la sola cagione delle diffi- coltà che esistono tra la Francia e l'Austria». La frase fu letta e riletta. «£ troppo blando I» disse l'Imperatore accarezzandosi i baffi: ripen- sò, ritornò sul suo pensiero: «Ma sì, nel fatto è vero, e poi è politico 1» La conclusione dell'o- puscolo fu formulata da Napoleone con questo enigmatiche parole, che nei fatti che stiamo per esporre hanno, forse, la loro chiave: «Noi de- sideriamo ardentemente che la diplomazia fac- cia^ alla vigilia di una guerra, oiò ohe essa fa- rebbe il giorno dopo di una vittoria». Vedremo fra breve quanta speranza c'ora da riporre iiol- l'opera della diplomazia. Curioso un altro particolare: esponendo il pia- no della federazione, vagheggiata da Enrico IV, era detto: «Il pugnale di Rivaillac distrusse co- si belle speranze». 11 giorno 3 febbraio, alla vi- gilia della stampa, il La Guéronuière ricevette questo biglietto: «Vi prego di fare una lieve mo- dificazione nella frase dove si tratta del pugnale di Ravaillac.... ; vi si potrebbe vedere un'allusione personale ». Il D'Azeglio, Gino Capponi, Federico Sclopis,. letto l'opuscolo, ne andarono in visibilio: lo Sclopis scriveva al Rendu: «Bisogna mettere ogni speranza in questa furia francese che spaz- Le aUemakbtt H pace e di guerra 203 za via tutto». Ohimè I Ohimè I troppi pcusarooo come lo Sclopiii! Bcii più temperato il Cavour, il quale si restrinse a ringraziare il Rendu e in nome d'Italia».^) Per il Mazzini il senso riposto dell'opuscolo è quello di una astutii manovra dei governi di Francia e
  • 'uole la pace». «Il signor Dc- langle si distinse per una irritazione ardente. Egli ha segnato i passi ohe intende denunciare come criminali». «Evvia, buona gente — prosegue il Keudu — calma! Fate buon cuore contro mala fortuna, giacché voi siete meno gentuccia di casa che uon ne avete l'aspetto 1 Quando la partita sarà incominciata, ben mi par di vedervi mettere il vostro berretto alla sgherra, agitar la fiac- cola al vento e vi sento intonare la «Marsiglie- se» per la Francia e per l'Italia». Cara e nobile terra di Francia 1 L'orgoglioso taio motto, «gesta Dei per Franoos», ha nella storia alcuna conferma. E qual colpa è la tua, o Fran- 'ia, se ner la guerra e si „_ . itestazione d'una specie di im- pero democratico, uscito dalla rivoluzione, viven- te per mezao di lei, non sussistente che a patto di propagarla e servirla. Donne, bambini, pre- mendo il corteggio ed insinuaiìdosi fin sotto i ca- valli delle cento guardie, interpella\'ano l'imj»- ratore con una famigliarità ardente, assicurando che essi custodirebbero fedelmente l'Imperatrice e suo figlio, e che poteva partire in pace perchè il t ' o sobborgo artefice di ogni sommossa, •- di restare oabno. E in verità tutta u non s'ingannava punto nei suoi cal- coli istintivi e non falliva nelle sue acclama- zioni. A quale scopo le sedizioni, le barrioate, gli attentAti, i complotti? L'Imperatore oramai andava a minare da eè stesso, lentamente ma si- curamente, il trono al quale un'incredibile for- tunri '- ....«-. ìDoalsato». >) I è eoBiidsnta: taalo è vero cb« Tub*- !id no giOTBO 1* MdniM, Mcbe M MM iiutora frtaoste. PiBw» Dr Laio. h P.kHHK Dm L« r< Jm SwomI ffNjxVr U, pa- gina Uii. aOit ìu 1869 11 giorao 7 fcl t i in 7^l! It^i del discorso deirinii :.iL' i , ^l.iccw^ luaubbiameate ne sarebbe uscita o la pace o la guerra: non ne uscì che un responso ambiguo; come tanti altri che erano del suo stile e consolidarono la sua reputazione di astutissimo; ma erano anche un riflesso dcll'a^iimo e dello stato ambiguo delle cose. Dopo aver vantato la sua politica di pace, non nafscondeva alcune nuvolette dalla parte di Vienna^; ma egli sperava che lo zeffiro della con- ciliazione le avrebbe dissipate. Quanto a lui, sa- rebbe rimasto t tetragono» nella via segnata dai soliti principi , oramai consumati e pur sem]yre rimessi a nuovo, anche dai non imperatori, «dal diritto, dalla giustizia, dall'onore nazionale»; ed accertava che la politica del suo governo non sarebbe stata «né provocatrice né pusillanime». In una lettera (9 febbraio) del signor Doudan al principe di Broglie, è fatto del discorso questo commento : « Tutto, probabilmente, é in equilibrio davanti agli occhi dell'Imperatore, ma il soffio di una parola, ragionevole o irragionevole, deter- minerà la decisione di questo uomo, abbandonato, senza consiglio e senza controllo, alle sollecita- zioni più complicate e più contradditorie ». *) Dall'Inghilterra, in fatti, per bocca della regina V'ittoria era venuto tre giorni prima del discorso li CUULA, III, XLl, ì.r (llirrFKItlIX Ql pilCC t (Il ffUCrva 807 il c soffio» di questo dilenmia: eia Maestà Im- periale di Francia è avvertita deiroccasione ohe ^'li si presouUtva di ascoltare la voce della uma- nità e della giustizia, e qi^ndi calmare le appren- sioni deirEuropn, ristabilendo la fede in una po- litica pacifica; ovvero dando ascolto a quelli che hanno interesse a creare della confusione (leg- gasi Cavour), gettare r£uropa in una guerra, di cui la durata e l'estensione non è facile preve- dere». A questo conNàene aggiungere che anche il go- verno di Pietroburgo cercava adesso di vendere bene il suo acconscntlmento alla guerra, metten- do alcune oondiuonì: cioè, che molte clausole lunilianti per la Russia, inserite nel trattato dì Parigi, venissero modificate; e specialmente che le fiamme della nazionalitik^ che si stavano per agitare in Italia, non lambissero gli edifici della Polonia^ (I cosacchi battono ancora, infatti, le loro lance su le vie di Varsavia). Nella discussione del 9 febbraio e seguenti alla Camera subalpina, sul progotto di legge del pre- stito dei 60 milioni, si ebbero IIG voti favore- voli e 35 contrari; al Senato, 59 favorevoli e 7 contrari Notevoli i discorsi dei due opimsitorì : il conte Solaro della Margherita, nemico della politica italiana dal Oavocir; del marchese Co- sta de Beaurcgoixi; del Genina, professore di di* 208 IL 186» ritto publico nr" r ^^ità di Torino; e dis- sero cose iudubì re, di cui il concetto fondamentale era questo: cioè che provocatore era il Piemonte non l'Austria. Mu ad una verità è talora possibile opporre un'altra verità piti ve- ra, ed è quello che il Manzoni osser>'a quando dice a proposito di Ren2o che invade la casa di don Abbondio: «In m.ezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo che strepitava di not- te in casa altrui, ohe vi si era introdotto di sop- piatto, e teneva il padrone s lesso assediato in una stanza, ha tutta l'apparenza d'un oppressore; ep- pure, alla fiue de' fatti, era l'oppresso. Don Ab- bondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, men- tre attendeva tranquillamente a' fatti suoi, par- rebbe la vittima; eppure in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo.... vo- glio dire, cosi andava nel secolo decimo set- timo ». Felice, perchè sicuro, il Cavour quando al Ge- nina che gli chiedeva una e dichiarazione espli- cita di ciò che intendesse egli per aggressio- ne», risponde che vi sono offese ed offese, ap- punto ciò che dice il Manzoni; e che non «in- tende fare un corso di diritto publico per stabi- lire ohe cosa siano le offese». Abile, ma neces- sariamente vaga, la sua risposta alla commossa e stringente perorazione del deputato savoiardo Costa, il quale accennava al disonore, al danno, all'oltraggio del Piemonte, smembrato dalla de- I^ aJtematire di pace e di guerra S09 v<-! '-' ìa, quando tle aquile di Francia sten- fi. , loro \»>lo t^Miiuto sul MonoonisioI» •) -iinuanti, e cVra il suo perchè, le parole rivolte al l'Invilii terra, O.iiAi'A. in. {Mur. X1.T. Il aegrtto delU oeMÌoae delU Sa> Tota era ' • . • rfifone di Napoleone KtMHo. '• ' Avour aveT» «ccod- M>ntito A 1 • '<"•<* in natura, cioè eoo beU«> f buon da temilo immemorabile alla rA«-i ' •• "i eaiere coctretto a pagare pih (Al i>«ndeiisa troppo «Molutaena vanMilU^. . .iiMnil.. r.be on «inile aacri- Ario kIì mbre 1889 B«lla •Me den Lttmr Monde». sto IL 186» ma anche per essere stato spiacente a quei ciechi e retrivi che finirono per avvolgere il monarca nelle loro spiro. Era carissimo .- di' Imperatore, il quale gli doveva non poca riconoscenza per avor egli, come ambasciatore di Francia in Inghilt* r- ra e bene accetto a quella Cort'C, reso pacati o benevoli al nuovo impero coloro, a cui il solo no- me di NajKìleone eccitava il sospetto. Ma anche per altra ragione lo aveva caro: nato in Polonia da una contessa Maria Walewska, gli era dato per padre Napoleone I, e certo il volto ne por- tava il suggello ben manifesto. Presiedette il con- grosso di Parlici «lopo li i di Crimea; cercò di attrarre il Thiers n> a del nuovo impe- ro; e, nell'aano in cui siamo, reggeva il ministero degli affari esteri. Ma con tutto questo non con- dividova le idee (i Francesi dicono le re ve) del suo Signore riguardo all'Italia; e bene ostinata- mente, giacché l'ombra crescen^te dell'Italia e il docroscoro dell'Austria appariva a lui come un pericolo per rimjx-ro: pericolo facile a distrn;^- gere finché fosse piccolo, ma difficile a giurare in un prossimo domani. Egli era adunque, un nemico dichiarato dell'alleiinza con Vittorio Emanuele; nemico del Cavour e del conte C"- stantino Nigra, il quale era altrettanto maturo di vigilante e fredda prudenza quanto adorno del- le più rare seduzioni della gioventù, non e<9oliisa l'arte e l'ingegno. Non per giuoco del caso la fortuna il conte Nigra si trovava alla coiie di Francia in (|UL'iraauu: ui-mico, si intende, co- ifC aurmiìitrr itnefeo ilreae, lettera del Cavour, SIS IL 1869 cordare oh« sino dai tempi di Richelieu, e di Lui- gi XIV la Francia, piir con enorme sacrificio di sangue e di denaro, a questo era riuscita., ci3è ad ottenere la sicurezza dei propri confini, impe- dendo che iono Stato troppo poUMite la minaccias- se sul Reno, sulle Alpi, sui Pirenei. Questo bìslt to di cose non subì turbamento nA meno dopo Lipsia e dopo Waterloo. Ora dopo la pace di Vil- lafrana», vide la Francia sorgere al di là delle Alpi un nuovo glande Stato, quello d'Italia, fa- vorito allora in sul suo nascere dall'I aghi Iterra e dalla Prussia, e ciò per le loro mire segrete che non tardarono molto ad appalesarsi: dopo il trattato di Praga, che pone fine alla guerra del *66 tra Prussia ed Austria, vide la Germania accamparsi, unita, guerriera nemica, ai confini orientali del Reno. La nota espressione dell'Im- peratore, riferita agli Stati della penisola bal,- c^uiica, che la Francia tha interessi dovunque «esiste una causa giusta e civilizzatrice da far «prevalere», è mirabile, ma degna più di quell'au- tentico fra gli eroi, che fu Don Chisciotte, che di un reggitore di popoli. Poteva l'uomo del 2 de- cembre essere creduto? poteva fame applicazi ri ? compiuta? Ora pensando all'affetto che il Wu- lewski nutriva per Napoleone, si comprende co- me quel ministro si studiasse che le aspirazioni italiane dell'Imperatore non uscissero dal campj diplomatico, che l'affetto i)er l'Italia rimanesse un semplice amore platonico. Da questo contra- sto risultarono quelle innumerevoli contraddizio- £« ^t«n»uit%jf ù« jMM« « di fixrrrt 818 ni, che vorremo in part« ricordando; lo quali con- tribuirono a far passare sempre più Napolcono per un simulatiore e un ipocrita raffinatissimo e profondo. T il ord Malmesbury, sperando per tale mezzt> ire la g^rra, incaricava sir Hudson di sentire il conte di Cavour quali, secondo lui, sarebbero «tati i miglioramenti più opjiortuni da introdurre no^'li Stati d'Italia, soggetti all'Au- stria ed al Papa. Il dispaccio del ministro inglese non pare ohe pecca~~ ~ -^cssiva gentilezza come risulta r!;il);i Cavour al marchese Emanuc- \/^-K'lio, in data del 18 febbraio. Tuttavia iiu^razia il n 'e.ge per meso dell'Hud- son, della .SUI _ ine per le cose d'Italia: le riformu che si domanUauo sono semplici, e il m n. 1859 permesso agli Italiani delle Legazioni e della Lombardia di vivere». ìda, per più nettamente dctorminaro, occorrerà scrivere un «memoran- dum » ; e per scrivere un « memorandum », occor- rerà che la domanda, fatta a voce, sia ripetuta per iscritto, a.ffinchò la cosa sia in tutta regola sottoposta ai ministri ed al Re. Il Cavour a scan- so di mala interpret^iaione tut.tavia lo av\'erte che, €se luì fosse morto in quella stessa notte, la questione d'Italia sarebbe rimasta la mede- sima»; e questa cesa per noi è vera oome era ve- rissima per il Mazzini, *) ma è anche vero che la diplomazia senza quell'impaccio del Cavour^ pareva disposta a dare alla questione italiana una liquidazione più semplice e meno morale. Nel tempo stesso ohe queste cose sono comuni- cate a Londra, Massimo d'Azeglio, « autore o pa- dre» fra quegli alteri isolani «della questione italiana », «) aveva dal Cavour la missione di por- tare il collare dell'Annunziata a Roma al prin- cipe di Galles., Anche questo collare può sembrare sujìerfluo^ ma in tutti i tempi passati i perni su cui si mossero gli uomini, furono costituiti da più piccole cose che non si creda.. Ciò è sventu- ratamente anche ojrsi e lo sarà forse anche do- mani. Tuttavia il «memorandum» è compilato il pri- *t " Iji questione italianA ha > • • uno stadio in cui o(cni tiiteranza di i>oterla Wìppriin <> por ìuncf» tempo indiiiriuro, sarebbe non m\o immorale, ma lullia. „ Ma/.zuci, X, pag. 2ÓJ, ^> CuiAUi, Ili, i»ag. 57. Le aiicmnurt di pare e di yiirrro 916 iiK' tii mar/O, ma acl senso di provare che quelli • icelli caldi, cioè che la diplo- ; o a curare le piaghe ond'era travagliata la nostra patrio, cioè che occorreva il rimodio caustico della guerra. Così affennava. Iti fileno accordo col Mazzini almeno in questo, il Cavour, nel cui animo non pare che sino al' 1<'r:i fossero entrati seri dubbi sull'aiuto di Na- j. "Icone, e ^t-'-'" t oon le necessità della poli- tica l'accon iito che lord Cowlcy si recas- se a Vienna apportatore e consigliere di riforme li pace, nel modo stesso che l'Hudson era >i malore di pazienza in Torino, e Ne vous in- • [uietex pa«: oeci n'aboiitira à rien», .aveva ddt- t'. al Nigra, Co.. acoltà politica ^'giori di quan- to ei calcolava >, ma < non sgomentato, e fiducioso nel trionfo della buona causa », *) procede l'ope- ' ' f ...:;.• ruii^i^ijt»^ la quale 1, ma soltanto del- la mancanza di attività e di sicurezza noi suoi <■" fi-' nitori. Trova temjK) a tutto anche a dare .u^cuiiu a chi lo sveglia di notte per comunicar- gli progetti di esplodenti fantastici da «ester- ::iì!u'ure tutti i nemici d'Italia»;') si .sdegna o si ini] a7ifnt.n *- ' " •' primo a chiedere scu- sa; iii.i -I IO ta mettere sotto i piedi OKoi suscettibilità personale», purchò la co- sa i " l suoi ■■ ■ i sono per la più parte i. - giovani, t , n, fuori doli" Iìulo *) CuiALA, DI, pftg. ìib a^ UJ, ytg, 65. 216 II. 185M morte della burocrazia, Nigra che ò «il suo vero rappresentante a Parigi con gran dolore dell'am- basciatore di Villomarina», *) Emilio Dandolo, l'e- roico, che ha visto gli amici e il fratello spenti sotto Roma del '19 dal piombo francese e doman- da — glielo vietò la morte, come dicemmo — di combattere accanto ai Fraii ' '■ ii- zioue d'Italia; Emilio Visconti- t io dall'orbita mazziniana ; Minghetti, La Farina, Fa- rini.... Se è lecito diro, è il suo un mazziniauismo pratico e se vuoisi opportunista e con pochi scru- poli, ma lo dichiara allegramente «egli è libero di mettere a repentaglio la salute della sua ani- ma per salvare la patria » ; •) e si comprende che quando il Mazzini gli scrive «tra noi e voi corre im alnsso», ') egli si accontenti di dire che il Mazzini non è per lui che un nemico politico; iu questo senso, che egli non spingerà certamciit-e Vittorio Emanuele a proclamare la republica, ma se potrà, obbligherà i republicani ad accettare la monarchia. Subito dopo il colloquio di Plombières aveva fatto venire a sé il Dandolo e il conte Cesare Giulini , milanesi ; al primo aveva affidato l'in- ') Me$ amitiés à La Marmora (Ottavio, intendente generale a Nizza) que j'aime beaucoup lor» mhnc ime ìe m'irrite ìor» qtt'il n'e$t pax r.usgi actifqueje le v udì . ITT. paij. 33. h Chiau>, TIT, pag. 23. Lettere al Bf^n^ ~ iVbbraio '59) Ciitante nel preparare l'agonia senza 'l i-i di Lo- rena in Toscana: " Vi contesso schiett;ti^ ..n-i un poco meno scrupoloso di toì ed ho una coscienza (uelle cose politi- che) un poco più larga della vostra „. *i ILu^iKi, &.riUif X, pag. b5. T.f nlt.rn.if!-.- dt p^ce € di pMfTS M7 oarìoo e di intendersi coi giovani di maggiore au- torità in Milano, con quelli soprattutto che avc> %'aQO avuto dei rap{>orii con le società mazzinia- ne»; col secondo aveva ventilato il progetto che i signori ; tri di Lombardia nella prima- vera del |ì: ^ anno gli mandassero in Pie- monte i contadini che dovevano fare il ser\'izio militare sotto l'Austria, e Se venissero io li ac- colgo nei roppimonti piemontesi. I/Austria mi chiederà l'es tradizione o il loro disarmo: io ri- fiuterò; l'esercito austriaco allora invaderà il Piemonte». >) Non furono i contadini coscritti; furono i volontari (cittadinanza, nobiltà, artigianato, in parte) che vennero. La provocazione all'Austria, bench«> di minor grado, non fallì, come vedremo; ma il fatto deve essere rilevato: esso spiega mol- to bene anche la oaiua perchè fallirono i vari ruoti mazziniani, fi opera del Cavour fra diffi- coltà e 8osj>« tti, esterni ed interni, la formazione del corpo dei volontari oon Garibaldi, opera più che militare, politica di cui più tardi il Cavour rivendicherà a sé il merito e del cui effetto mo- rale nn riflesso ben lucido è in queste parole del Mazzini del 15 maggio: e il moto toscano, l'agi - taaione Mni versale e il campo dei volontari ol- trepMsaao il cerchio dell'opera dei fiMoendieri : sono palpiti della nazione». *) Il Mazzini dice tut- to questo fmoto spontaneo»; ma' il gran cfleic- ' VlMOUTI-VuiOtTA, 99. cU, V^gg. 467 « 458. »- . ,X,PH. 808. 818 IL 1859 •ondenza di quel febbraio e di quei primi giorni iel marzo: «Ottime notizie dalle Marche, dai Du- ( cati, dalla Toscana. La concordia si stabilisce «da. per tutto. Tutti sentono il bisogno e il do- «vere di unirsi alla Casa di Savoia; e la casa di «Savoia farà il suo dovere, come confidiamo. In «Lombardia lo spirito pubblico è eccellente. Allo «frontiere i coscritti arrivano a centinaia. A Na- «poli si cominciano a risvegliare : è meglio tardi «che mai. Di Modena e di Parma oramai siamo «sicuri. Alcuni giovani venuti qui, negano di en- 1) GaiAhAf m. pag, 2& >; Jb., 10, paS- !<^ I Le aUematnf éi pace e di guerra 919 e tiare neir esercito, affennando che sono stati «i' ' i, che credevano di entrare nei corpi c\v,..,. i, etc., etc. Questo inconveniente biso- cgua cvilario ad ogni costo. Il niunero dei vo- < lontari alla guerra è considerevolissimo : s'av- < vicina ai 3000.... Si contano fra essi i figli «iiiil*- prime famiglie di Lombardia: mi limito e a citar>'i il duca Visconti e i suoi due fratelli, r tin Melzi, cugino del duca, im Taverna, un Dal \ erme, un Litta: ieri poi (10 marzo) con nostro grande stupore abbiamo visto arrivare il figlio del Podestà, di Mihuio, conte Sebregondi, devo- tissimo all'Austria... Questi fatti dovrebbero provare a lord Derby che non ò del tutto nel «vero quando parla della felicità dei lombardi- \ T ■ ' come è noto, li chiamava .' :. __,___: . o di € felici sudditi»). tMi si scrìve da Roma che il Papa, spaventato dai -ta di non aver mai detto che ^•1 .!..>.. •',,., bastevoli per mantener l'ordi- ne, che egli conta esclusivamente sulla Pro>'vi- • lenza». (11 Chiala fa qui seguire dei puntini. Peccato, I * i^ui «pr«> /a» pare sinoni- mo di «.A' ;. « Il g" deciso di a i'- perare tutte lo forze vive che l'Italia racchiude. " )nto, ixjr non rinnovare gli errori del '48, conciliare l'audacia colla prudenza: gli > t i devono avvertire che la questione ita- Hcudo divenuta questiono europea, bi- - ' — H vista l'effetto che i nostri .->U!ru. Cuuauiuiamo d'acoor- S90 IL 1860 e do con Garibaldi, che dimostra un senno poli- ttico maggiore di ogni elogio....» (Veramente era Garibaldi, che per amor di patria camminava tl'accordo col Cavour, fra il dileggio dei mazzi- niani). « 11 governo non chiede a nessuno i suoi < antecedenti politici, purché siano scevri da ogni «macchia di onestà. Ma se £la astrazione dal pas- csato, non ammette discussione sul presente». 11 che in lingua povera vuol dire, chi accorre in Piemonte, accetta la monarchia. Fu su la fine del febbnuo, qiLindo lord L'o annunciava il suo arrivo in Vienna, che il clui di Cavour s'abboccò con Garibaldi, il pirata, co- me lo definiva l'Hiibner*) senza degnarsi di scriverne il nome, venuto dal mare; e comincii» con le parole: «Ebbene, Generale, il giorno così lungajnente atteso, è arrivato. La pazienza del conte di Buoi sta per finire (e convi ' che il calcolo della sua resistenza era - ) dal Cavour da buon matematico). Noi abbiamo biso- gno di voi 1 » ed è così ben detto che può parere simbolico. ') Ed è appimto il 4 di marzo, due giorni dopo il colloquio con Garibaldi, che Ca- vour offriva un banchetto in onore di Guglielmo Gladstone, molto benemerito dell'Italia; ma so- pra tutto era inglese, e in quel momento il Ca- 1} HUbnef, II, pag. 873. ') Taxhjl D^iUiuD^ Hùtoire du Second Empire, IL i léC aiirrìHiUvK uf jNirr r ni iptrirU 991 vour non lasciava passare un'occasìoDe per ten- tare di commuovcrr la fihr: '* •• 1 pnpold i' i*-" iiuirc. Naturalmente al banchetto non poteva man- care -sir llinlson. A noi farà «li ' v eh»* luan- cassc Garilxiidi. Altro che in 1 tJaribaldi quel giorno in Torino doveva « far capolino, com- I>arire e non comparire », *) appunto per non dar sospetto a sir Hud>H>n e compagni. In quel ban- chctuj, riferisce sir Hudson a lord Malmesbury, cSoa Eccellenza (il Cavour) disse di aver ap- preso con stupore che, mentre lord Cowley com- piva una missione di pace, l'Austria avesse de- terminato di mettere il suo esercito d'Italia sul piede di guerra; e mostrò rammaricarsene tanto più, in quanto che l'Austria costringeva cosi il l'irniont^» a chiamare sotto le «armi i suoi contin- genti». Questi r.i sir Hudson o 1 I ' 1 j 1 lion- • di un balcone adorno di pelle di tigre; quando mandò governa- tore il fratello l]a ^erra da parte di Napoleone III, m;t in questo errore fu probabilmente indotta dalla politica del Cavour. Tale politica non era spiegabile se non col desi- derio di correre al suicidio o con la certezza di avere alle spalle l'aiuto di Francia. Il Cavour certamente era disposto, e lo vedremo, a pagar di persona anche col suicidio; non risulta che intendesse far correre simile alea alla monarchia. Il giorno dopo quel pran7X) a lord Gladstone im- prowi-samentc le cose mutano. Nel giornale uf- ficiale di Napoleone, compare 11 4 marzo una no- ta dove era questa dichiarazione esplicita: «l'Im- peratore ha promesso al re di Sardegna di difen- derlo contro og^i atto aggressivo dell'Austria. Egli non ha promesso nulla di più, e si sa che egli manterrà la sua parola». Il principe Napo- leone dava in segno di protesta le sue dimissioni dall'ufficio di ministro delle Colonie; e l'Impe- ratore le accettava e le faceva annunciare sul « Monitore ». Poco dopo ecco compare air Hudson, ben felice di poter dare al Cavour una lieta novella. Non se ne era parlato al pranzo in onore di Gladstone ì La missione di lord Cowley a Vienna è andata splendidamente. L'Austria non ha intenzione di aggredire il Piemonte. Deve essere contenta Sua Le oìtemaihe di pace e di guerra 323 T' " ' T' " - ' -T-mo il disarmo. Col 1 iiiiiiistran' la sin- • ita delle pacifiche intenzioni del suo allegato, riiup<^ratorf di Francia. Kitr»' Icitcrc scrive intanto il Walewski all'am- baMM.itore francese in Torino al fine di para- li//..ire l'opera del Cavour, atterrirlo, distoglierlo ', l'idea della guerra. Infine altro mutamento osta ad un oont^resso delle grandi potenze d'Europa, onte. „ , .^Lo cose furono note, il Maag7ini scrisse : t L'uomo del 2 dicemlMre indietreggia. La •> comincia. La cupa energia che Luigi mostrò nel colpo di Stato, scema e intorno al problema di guerra. £ na- tura di uomini siffatti. Si trattava allora di con- re: si il lu d'avventurarlo. 1 .a d'una e uè avversa, da un lato, e la, espressione unanime, triinne l'esercito, , l'ultima concernen- te la Germania, la dimissione di Napoleone Bo- t II parie. r.K (>' M:i/iom' della proposta russa, sono latti itK'ontrov* I < iiiili, che la menzogna e la cre- dulità possono interpretare a lor posta, ma che .hiiiiui ' nra, a ciò eli I)tuiiwi., ....... A oui, tranne Vv. ,>.. . ... \«T.Ha alla ^Micrra. Le relazioni dei Prefetti, lr« relazioni dei commissari speciali inviati da Na- 224 n. 1859 oleone nelle proviucic, quella dei capi della gcn- iiaj)axte e della prin r i • i h.^ jxi • lieliiarazione della cojniuis.-i :. i..;j;i del onsesso Legislativo, Topi mono dei ministri im- periali, che non è se non ii riflesso deiropinione pubblica, sono altri fatti incontrovertibili».') L'effetto in Torino della nota del «Monitore» bene rispecchiato in queste poche parole del Cruerrazxi ad un suo aniioo: «Ora ogni cosa va in isconquasso. La nota famosa del «Monitore» lia fatto perdere la notte a più di "un ministro». *) Ciò è vero, come è vero che la natura umana è così fatta, anche nei migliori, che gode del male del nemico anche se ne ha danno essa stessa. Fu perduto il sonno, ma non la testa. Vittorio Ema^ nuele scrive a Napoleone che la Casa di SavDia conosceva le vie dell'esiglio, non quella del M<> Ke; e per le oondi^ùoui di oo^e e d'ouimo di \ i-oleonc, fosso dal Cavour fa^ìudicata arma for- midabile. Qtuuito poi ad abdicare al trono, il cvollof|uio fra il Re e il suo zninistjro dopo Villsr franc.'L, induce a dubitare se questa prima fiera minaccia sarebbe stata mantenuta. Telegrafa il Cavour al Villamarina che «man- iella notte» (18 marzo) «un dispaccio al pe Napoleone, che la notizia del congres- « so produrrà un effetto disastroso nel Lombardo- « Veneto, se il Piemonte n'è escluso. Io sarei for- «zato a dare le mie dimissioni: fate identica di- te chiarazione al conte Walewski.... >. Altro dispac- cio del 20 allo stesso Villamarina: e Dite al Nigra «che riceverà domani una lettera per l'Impera- «tore: procuri di presentarla lui stesso. Gli parli «con energia. Oli dica che il conte Walewski ha "scritto al ministro di Francia in modo da sco- < raggiarci u da spingerci ad un atto disperato I » Certo prevede che se il congresso si avvererà, e mancherà l'unica soluzione che è la guerra, «l'Italia diverrà preda delle passioni rivoluzio- narie, e il partito moderato sparirà non solo dalle regioni del potere, ma dalla scena politica».*) *i Cui ALA. ni, pag. 49. Lettera del 91 mano. Per ciò poi ehe riguarda la Francia, crede o desidera di far credere ad E. D'Aae^ " che la rivolusione si estenderà alla PraMla, che lar* eod «nremata da uo sonano spogliato del suo prestigio e ne seguirà ana oottflagrai ione ben maggiore di PAaaoii. Il tm$. It uni II. Ifl'.» J^fa se ci piaoe vedere il Cavour nò «spaventato nò scoraggiato», come egli stesso dichiarai, più ci piace vederlo neiriutimità dei suoi affetti, nel cuore profondo dove l'uomo è turbato. E que«lo turbamento e questo riflesso su gè e su l'opera propria, come è bello ed umano in questa lettera al De La Rive, r.-miico del cuore: «noi siamo stati indotti un poco per ▼olUt ad assumere una impresa piena di gloria e di giustizia, ma ecces- sivamente pericolosa: noi non tenemmo bastan- temente conto dello svilupparsi nelle società mo- derne del sentimento di egoismo, per effett-<> degli interessi materiali, A dispetto di questi osta- coli, io spero che noi riusciremo. L'Italia ò ma- tura : l'esperienza del '48 ha portato i suoi frutti . Impronta Italia domandava Roma, Bisanzio essi le han dato. Ma ben morto ora il Cavour quando qu< .^oi vcrf^i furouo scritti; e guai, del resto, se gli uomini veri dell'azione avessero tutto l'animo dei poeti e dei filosofi 1 Certo egli prevede che cosa sarebbe stata l'I- talia se non si fosse tratto profitto di quel mo- mento storico: se si fosse aspettato che questi interessi materiali avessero acquistato così gran- ipKÌla che oggi si teme„. È lo sjiettro della Rivoluzione; del i|u.il.- mezzo cosi acuto uso farà Cavour di fronte a Napoleone. Parlando poi di questa lettera al Nigra, il De I^ Gorge {op. cit., II, pag. 42*2) ne fa maligna parafra.si, dicendo che Cavour scrisse al Nigra ** affinchè arrivasse sino a Napoleone e con la sua a.stuzia, i suoi sotterfugi, le sue preghiere lo strappasse alle influenze degli amici della pace „. Lt nlUrnativt lii pace e di gtierra 997 de forra da sopraffxire quanto v'era di naziona- litA nella patrìn. I/iiomo nmmiralnlc i che rawenirc immediato; il crollo immenso che egli sostiene: verrà il momento ohe egli dovrà ritirarsi a vita privata. Non sarà al- lora: quattro mesi più tardi: nel grande state di quell'axino, di cui allora appariva la bella pri- mavera. Il De La Rive gli offre già un rifugio in Isvifzera: e nessun luogo mi sarebbe più grato cdi quello offerto da un'amicizia come la vo- cstra: esso s'abbella della vicinanza di Presinge, e dove corre il mio pensiero ogni volta che io so- < spiro il riposo e la calma >. ^) Ma l'Italia che sorgeva dai secoli morti lo ri- chiamerà ancora all'ultimo epòdo della vita. 0 LotUra del *) mar»». Ciiui.à, oj>. cit^ III, p*;. 457. VTL Perchè Napoleone IH volle la guerra d'Italia. VIL P«rohé Napoleon* m volle la guerra d'Italia. Lord Cowley lasciò Vienna il 10 marzo: s'ab- I in Londra oon lord Malmesbury, ed il 16 ^ i in Parigi, dove veniva a colloquio col \' A e con Napoleone. il Cavour, per innto deirimperatore, giungeva a Parì^ il 26 e veniva a colloquio col Walewski e con Napoleone. Imaginate il Walewski, questo magnifico si» gnore, dare dcIT i n t r i gan te al Cavour, accu- sarlo di trascinare l'Imperatore e la Fnt'wi ' v.»r- so una politica nefasta? La questione contro l'Austria si veniva com- ' I con r atteggiamento minacci ' jli Germania, di clic era sUita aii ito discussione fra lord Cowley, Walcwski e Napo- IrtitiCi Di questo atteggiamento sono buona ohio- «:t le parole che sin dal gennaio avreblM; prò- ! ito il conte Buoi: «Se l'Imperatore si fosse prefisso per iscopo di tattore il polso alla uà- 939 IL 1859 zione tedesca^ ne avrebbe ricevuto la l«7i<.>w. ^iù salutare ». i) Il congresso delle cinque maggiori potenze, proposto dalla Russm, ma suggerito da Napo- leone e sostituito ai negoziati di lord Ck>wley, era secondo gli uomini di Stato inglesi inspirato a mala fede per guadagnar t€mpo : *) tuttavia ave- vano aderito purché i risultati non fossero stati illuflorii. Per il Thiers il congfresso era «un mez- zo subdolo dell'Imperatore per agitare con nuo- ve arti le cose d'Italia, e dare alla questione ita- liana un corpo e un'anima, un'esistenza reale e politica, sino ad oggi, sempre contestata, con ra- gione, dall'Austria».') Per il conte Buoi era una «conmiedia» per tenere a bada l'Austria e pre- pararsi meglio alla guerra. Tuttavia aveva ade- rito a questi patti : che non vi si discutessero mutamenti t<.Tritoriali; che il Piemonte disar- masse prima; che il Piemonte fosse escluso dal congresso. Pel Mazzini il congresso era una com- media in altro senso, perchè «esso non potava inaugurarsi che sulla base dei trattati del 1815: il dominio dell'Austria sarà rispettato e ricon- h Parole del conte Buoi riferite da lord Malmesbury, 27 }(en, naio 1858. (Vedi Chiai-a, 111.) Il òlnr---- .-,.. m >■• '- --fii iscritti. X, pair. 271) vi a^renna : " 11 1 ' ni appofi^giato dalle armi naiK>leonichc, ;. ... .4 , , ,;iia una latente coalizione e finini iK>r subire lo sorti dell' alleato; se roniiniM Lrucrra solo, sarà disfatto „, da «io l:i «l. lii/i.mf» "di il i francamente, lealmente sul Per <|i i via ejjli rinnova la sua ines.i ili vittori,!, i" iM il. richiami a mente "l'inerzia più che probahil' del me//..igi..iiiu d'Italia,,. ') CUIALA, III, LXXVIII. »> Tb. Perchè ^'apoìtotu III colU la guerra d'Italia 983 sTtrnitov l'unità d'Italia dichiarata follia, la Ri- voliiy.iotic delitto, e cinque Potenze si faranno Luallivadrìci dello smembramento d'Italia, a pat- to di poche misere oonoessioni da tradirsi, come Sfili] T»-. praticamente». 1) Ciiu.st.iin> lite osservava però ancora il Mazzini, «che il guanto dji sfida dal Piemonte cacciato, non poteva ritirarsi senza scadere davanti all'I- talia». Spettava in fatti al Cavour mantenere questa sfida^ e non fu cosa facile, come ve- dremo. •) Il Walewski parlò dunque al Cavour, dicendo che l'Imperatore si era finalmente risoluto di aooordarsi con l'Austria e di non inframcbtersi ' "~ cose d'Italia altrimenti clie con intonti pn- i. Rispose il Cavour al Walewski che egli non vl.-va passare per un e intrigante », ed essere ac- cusato di trascinare la Francia in una lotta per l'Italia:*) che aveva documenti per dimostrare (*)ii:Lramente che l'Imperatore aveva ordito tutto lui il piano per organizzare le complicazioni ita- liane; ohe egli era stato soltanto lo strumento; ' " Si ooavmde — ■erive il Orabiiuki, op. ciL pag. 169, — cIm TArcM e 1 Mtriotti iUlUni non fi preocenpMMro Kuarì d<>i Mrìcoli della Kr»ncia; nu bisogn* dar lode al «entimento pu- bliro in Freni ia che previde le gravi ooeatgseMie della guerra M iKMi f ti'ii nMQoae posto la ma oppoiWwis ai progetti di Napoleone Ili.. ') iLaun, SeritU, X, pag. 97S. *) Cuiala, m, xcvi. 234 IL 1859 che era oontraxio alla guerra; ma che 8e ìq quel tempo avesse rifiutato la m'igiiifica offerta dal- l'Imperatore, avrebbe tradito l'Italia e sconfes- sato la sua propria ]X)litica; che non intendeva adesso recedere e servire da capro espiatorio. Avrebbe dato le suje dimissioni; avrebbe fatt3 abdicare il Re; si sarebbe rifuggito in terra lontana; avrebbe resi publici i documenti che Ijossedeva» per dimostrare la lealtà della sua opera. *) (Era stato^ è vero, Napoleone ad organizzare a Plombières il t piano delle complicazioni ita- liane»; ma qui si può anche aggiungere che fin dal '49, quando Luigi Napoleone disse all*Arese, inviato del ministro Gioberti, *) che t la carta d'Europa non 9,veva senso oomime», ma ohe al- lora «una proposta favorevole alle guerre italia- ne, avrebbe probabilmente ottenuto dal Consi- glio il solo suo voto», fu per dieci anni tutto un sapiente e sagace gravitare del Piemonte sul nuovo Impero Napoleonico, con gran disdegno del Mazzini, ma con molta utilità per la politica ag- gressiva del Cavour contro l'Austria). ^) Vedi Ohiala (m. xcv) il !quale toglie dal citato libro del Martin, e dice " che questi ragguagli furono al Principe Consorte comunicati nel febbraio del '60 da eminente personag- gio, la condizione di conoscerli con la più scrupolosa esat- tezza „. '> L' Arese fu dal '49 mandato a Parigi dal ministro Gioberti a sollecitare Taiuto di Luigi Napoleone nelle guerre d'Italia. Dispaccio Àrese del 9 e 21 febbraio 1849. Vedi Bonfadisi, pag. 96. L'HtJbner ricorda che non fu agevole anche allora distogliere il Presidente dall' intervenire nelle cose d'Italia con- tro l'Austria. Perrk^ Sapolrone Hi vour ia guerra d' liaim :f;<5 Ansicura il Ghiaia *) ohe in quel giorno stesso il Cavour v«»l' , • por Torino Henza nem- meuu vt'dero •. Il colloquio tra Ca- vour e Walewski ci è riferito dairHùtmer, che ne 8»>p]M- dal Walewski ^uel tanto che questi gli potò comunicare: sono poohe parole, ma signi» ficative: t Cavour venne da me — disse il Wa- lewski — in una disposizione d'ajiimo ohe non si di(KÌe la pena di nascondere. Era la dispera- zioiii , la rabbia, la sconfìtta completa. Si è la- sciato andare sino a dinni ogni sorta di cose. Io non sono uomo da tollersu:^ un simile linguag- gio e gli ho risposto a tuono, e il Cavour è par- tito quasi senza dirmi nemmeno addio!»') Il Cavour venne a colloquio con l'Imperatore quel giorno stesso, 26 marzo. e Quando l'Europa — scrive il De La Gorge ') — apfn'ese l'incontro dei due attori, un imponente silenzio si feoe. Ma l'appreuBÌodie vinM su la 6i>c- ranxat. Che cosa è avvenuto tra l'Imperatore e Ca- vour? e Noi l'ignoriamo — esclama mortifìcato '!' ■'■rier — e Walewski non ne sa più di Cowley *) U giorno 29 ri fu un secondo colloquio tra Ca- v< M " • . con l'iutervcnto del Walewski. l/i ^ re allora dal Walewski questo iioti/K del tutto confidenziali e si affretta ad h Oriala, in, xcv. h Hl*iii(icK, U, pi«. 868. »' I)t. I,» 4f 'vnr, Hinioire dm Stcond Emjure, II, pAg. *) lUnstu, 11, i««. WL |«g. 4iS. 236 tL 1859 informarne il fiuol. Ha saputo che tiinto lui, Wa- lewski, oome rimperatore, avevano fatto i mag- giori sforzi per ottenere dal Cavour l'impegno di un disarmo preventivo, e ma che il primo mi- nistro sardo a refusé net», do ho espresso al conte Walewski il mio stupore sulla poca in- fluenza che sembrava esercitare Napoleone sul Piemonte». Qui manca la spiegazione del Wa- lewski e l'Hiibner rimane col suo stupore, per al- lora almeno. Il Walewski dopo ciò lo informa che il Cavour era venuto a Parigi per ottenere le dimissioni del Walewski stesso, e l'Imperato- re ha rifiutato questa «pretesa incredibile»: se- condo per ottenere di essere ammesso al con- gresso; ma che lui, Walewski, «ha dimostrato che l'ammissione della Sardegna in un oonve» gno delle grandi potenze era una cosa inaccetta- bile». «E infatti — chiosa altrove l'Hiibner — l'invitare dei semplici delegati degli Stati ita- liani per essere, caso mai, interrogati, sarebbe stata cosa poco conform.e alla dignità ed ai di- ritti sovrani degli Stati indipendenti». Ebbene? e rimi)eratore ? «L'Imperatore — risponde il Wa- lewski — si è schierato dalla mia parte ». Manco male. E allora? «Allora Cavour, vedendo falliti i due principali scopi della sua venuta, ha chie- sto che la Francia abbandonasse l'idea del con- gresso, ma l'Imperatore non potè accondiscen- dere avendovi aderito. Fallito anche questo ter- so punto, allora si sforzò di strappare dall'Im- peratore una promessa clie i lavori del congresso Perc'hr SdjHtitonr iH roUt ÌU gtterra li lidiui j.ìl sarebbero aodati a \'UOto. Io sono felice di po- tervi assicurare — conclude il WaJewski — che egli nou ha ottenuto niente da Sua Maestà». «Ne siete ben siooro?» tSÌ. i .rf.t Munente ». *) i^iitsu- ini orinazioni dell'Hùbner al Buoi sono del primo aprile, ed a oonfenna aggiunge una noterella di spionaggio: «i convitati della princi- pessa Matilde, *) dalla quale il signor Cavour an- dava a pranzo, ascendo dal palazzo di S. M., era- no tutti colpiti dairespressione di disperazione ohe si leggeva sul volto di lui; e poi fra paren- tesi: tll fatto è vero». Questo non vuol dire che l'Hùbner creda inte- nti u.? ite al Walewski e molto meno che Napo- leon. l'abbia rotta con cquiel cospiratore». Lo desi'itr.i, littrisce quello che sa> quello che ode. £coo^ lord Cowley «crede che l'Imperatore ab- bia perduto la testa; cammina un giorno in un senso, un giorno in un altro ». Drouyn de Lhuys ') eia pensa lo stesso. Il segreto dell'impenetrabi- lità d- ratore — dioe Drouyn — è nell'assen- za di .«.V.,.. . . delle sue aadoni. Non è uomo spie- gabile, è soltanto diffidabile». Rinnova l'informa- li TTi-Hvii TT nni/v. 347 e 8AS. itilde. figli» del re di WeitlkUs, •orell« (]. ' iiirina dell' Imperiture. D! questa dain* T> nmt$ Ju ''iitpirt. Fu ti' iPoleoDe Ili r. meste ee- (
  • , mi len- br.t :•• U testo per i^ere qoello che c'era deaUu „. *) Fui miaiftn» «1 tempo della guerre tre PruMÌa «d Austrie. 938 II. ISTid zioQc già avuta dal Walewski per ricoaferma del Cowley, f rimperatore avrebbe consigliato il Ca- vour di disarmare, facendogli capire che l'Au- stria a\Tcbbe fatto lo stesso. Il ministro sardo ha rifiutato carrémentt. Ck>uclude : e O il Ca- vour è molto potente di fronte all'Imperatore; o l'Imperatore molto debole di fronte alla Rivo- luzione». *) Ma il giorno due aprile altra lettera confidenziale al Buoi: ha parlato oon Cowley, che è riuscito a parlare con l'Imperatore : « Il lin- guaggio di Sua Maestà è poco chiaro; o piuttosto non c'è di chiaro che una cosa, ed è che ^li non l'ha ancora rotta col Cavour, né con la sua causa, né col partito di questo settario. Richiesto sui preparativi militari della Francia, l'Impera- tore ha risposto : Potrebbe darsi che il congresso fallisse; e in vista di questa eventualità bisogna che io sia pronto ». «) Il conte Buoi, prima ancora di queste fedeli referenze dell'Hiibner, era stato, per dispaccio di lord Malmesbury, informato oome Cavour avreb- be dichiarato esplicitamente che «avrebbe avuto la guerra a dispetto del congresso»;*) dichiara- zione audace, ohe non deve essere stata senwi influsso nel detenninare il contogno del gabi- netto austriaco. Ancora un'informazione deiriliibner, ma data con riserva: «L'ambasciatore inglese crede sa- pere positivamente che il Cavour è partito molto 1) HOBinnt, IT, pagg. 370 e 87L ^ R., n, pag. 271. ») Chiama, IH, cvm. grrtnr .\iipoironr Hi roiie la ^rrra n itaiui 88d Mt.-ilcont«nto». Ed è informazione esatta, confer- t • " .1.-. yi^, inCatti in data 5 aprile, il I ' 1 1ur stesso, di più che non raiubasciatore au- si ruico, Napoleone si sarebbe valso di butti gli argomenti più efficaci per indurre il Cavour ad ac4H'tt'ij-c l'idea del disarmo e, fra gli argomenti, il i>in «lelicato dovette essere questo: la difficile ' CiiuLA, ni, CVII. S40 IL 1859 situazione in cui tale rifiuto lo mett/eva, perchè nessuno avrebbe creduto ohe il Pieiuunte operas- se in modo contrario ai suoi desideri, ed egli sarebbe stato incolpato di slealtà. «Sfortunata- mente nessun argomento^ nessuna preghiera pro- dusse il ^nimo effetto sull'animo del conte, il quale pertinacemente rispondeva che egli e il suo sovrano sarebbero perduti, se assentivano ad una proposta cosi umiliante ». *) Al Ck>wley il Cavour disse poi che l'esclusione dal congresso del Piemonte, considerato campio- ne d'Italia, distruggeva ogni speranza d€ira\'ve- nire, ed il disarmo annullava la sua esistenza po- litica. A maggior conferma di queste cose, viene ora in luce la seguente lettera in data 15 mag- gio, cioè a guerra iniziata, del Malmesbury alla re- gina Vittoria:*) e L'Imperatore non aveva nessun piano e nemmeno nessuna intenzione di fare la guerra in Italia Sua Maestà Imperiale vi fu con- dotta, passo a passo, dal conte di Cavour. Il qua- le per ultimo minacciò di publicargli la sua cor- rispondenza più confidenziale. Il suo esercito era totalmente impreparato ed anche ora è in un im- perfettissimo stato, ed egli stesso fu soprafattD dalla sorpresa e dal timore quando seppe, verso la metà dello scorso mese, che gli Austriaci avevano centoventimila uomini sul Ticino. L'Im- *) Chiala, Vm, xcvii. Dispaccio di lord Cowley a lord Mal- mesbury. '■') Q. RoBEBTi, L'Italia nel carteggio della Regina Vittoria, Nel BÌ9orgimento Italiano. Anno lu, fascicolo 2.^ pag. 206. Ptrth^ KapoUone 111 rolìe h guerra d'Italia 241 [ - * -■■■ ciò non ostante crede ora che avrà fa- ■ un paio di vittorie e che quando egli avni ri^M'ttato gli Austriaci nelle loro tane, se ! :nrà a governare Parigi». E vero che il I . inglese riferisce qui il giudizio del conto di Persi|L,'ny, ma pare prestarvi fede. (I dispacci s.Mirtti che il De La Gorge i) pu- blic^ deduceudoli dagli e Archita del Ministero dilla guerra», confermano non solo l'imprepara- zione dcH'esercito, ma l'anormale condizione po- litica in cui si trovava Tlmperatore a prov-v-ade- re aj)ertaruenie alla guerra, « il timore di lui che la presa di Torino da parte del Giulay, tron- casse l'impresa prima aaoora che fosse comin- ciata^ «Tutto mancava — scrìve con manifesta esagerazione il ministro della guerra Randon nel- le sue «Memorie» (II, pag. 6) — fuori ohe il coraggio»). Quello che allora non si seppe, fu l'assicura- zione data da Napoleone al Cavour che la guer- ra sarebbe Mcopitiata lo stesso, alquanto più tar- di, ma più ampia e tale da ottenere popolarità in francia, cioè non solo contro l'Austria ma contro tutta la Germania. (Scoppiò in fatti più tardi, e rim{>oro ne andò in frantumi). Che cohu rispondesse il Cavour all'annuncio di tale impresa, cosi sproporzionata e difforme dal suo soopo, noi non sappiamo. Però qualche cosa ò espresso in una lettera^ scrìtta da Parigi al La Mamiora, in fretta e Curia, la mattina del 29, *' Db L4 Gomc, op. cit. DI, cap. 1. ?à»MUU ti JMS. M 242 II. 1859 prima di avere l'ultimo colloquio con Tlmpcra- tx)rc. cLa questione italiana — scrive egli — è impostata cosi male, come peggio non si può cre- dere, ecc. La guerra è inoNitabile: sarà ritardata di duo mesi, almeno : si farà contemporaneamente sul Reno e sul Po. Perchè la guerra abbia un esito felice per il Piemont-e e per l'Italia, biso- gna prepararci a fare il maggior sforzo possibile. I Francesi, trascinati loro niulg^rado, non ci per- doneranno mai il maggior peso di questa guerra, caduto sulle loro spalle. Sventura a noi se noi trionfassimo unicamente per mezzo dei Francesi, C soltanto battendoci meglio di loro e mettendo sotto le armi ione superiori alle loro, che noi salveremo il paese». La lettera è terminata dal Nigra con un poscrit- to jwsteriore all'ultimo colloquio, che dice: «Il conte di Cavour dovendo andare a pranaio dalla principessa Matilde (è il pranzo a cui la parola acuta di Hùbner accennò), non ha tempo di ter- minare questa lettera. Spera di partir domani. Egli non è punto soddisfatto della conferenza d'oggi con l'Imperatore e col Walewski». Questa lettera fu verosimilmente ignota al con- te Paolo Federico Sclopis di Salerano, che tutto sperava nella «furia francese»: non la conobbe il Mazzini, che avrebbe, forse, modificato il suo giudizio su Cavour. Ma la deve aver conosciuta il La Marmerà, perchè a lui era diretta; e fv davvero sventura che, verso il 1866, quando ni tendeva ad una specie di disarmo, se ne sia di meuticato. Terckè XapoUone ITI voile la guerra d'Italia 948 I> e ohe sia veauta a < oza deli 1 - . , j ..Ile vi compone un i_ _ -jso cocmnento : e Quest'ultima firaae, ohe i soldati ita- liani si battano meglio dei soldati francesi ecc., sembrerebbe indicare un ottenebramento delle fa- coltà mentali di chi le ha scrìtte, o\^ero è il linguaggio di un disperato che preferisce morìre, come ha detto lui stesso, in un mare di sang:ie che sopra un letamaio». 0 I documenti qui rìferìti comprovano in quale stato (! lido turbamento si trovasse il Ca- vour, U.... ....... ato che non isfuggì punto all'Hùb- ner, come vedemmo: ma non si creda che ester riormente ne desse alcun segno. Il De La Gorge '" '■'•" osserva anzi che il Cavour e affettò ooi i stranieri un'imperturbabile sicurez/- xa>, di che è documento il noto spiritoso collo- quio col Rothschild che riferiamo in nota,') i'riina di j-ar tiro- per Torino non avendo potuto, a <;i;.'ioii. (i Ila presenza del WaJewski, esprime- re lui* rajueute il suo pensiero all'Imperatore, nel ri< (.piato c>.ii iiKMiior.iiida come poco nota. Dice che i •«lelc Ul'JUkj uiudcslu, n^uoT conte, voi valete almeno 0 franchi. „ S44 II. ia'ì9 il conte Walewski è deciso di perderci: forzare il Re ad abdicare; me a dare le dimissionif spin- gere il Piemonte verso l'abisso » ; ma < se egli rea- lizzerà i suoi progetti, perderà il Piemonte e non salverà la Francia. Avrà trasformata l'Italia, og- gi interamente devota, in nemica mortale senza riguadagnare l'amicizia dell'Inghilterra o dimi- nuire l'odio dell'Austria. Le potenze hanno capito abbastanza i progetti di V. M. per potere ripren- dere verso di Lei le loro antiche abitudini». Il che vuol dire: riconoscimento della via chius.i in cui l'Imperatore s'è avanzato; impossibilità di retrocedere. Si rivolge quindi calla sua bontà ed alla geaerosità, per cui egli non permetterà che il solo alleato che V. M. ha in Europa, cada vit- tima della diplomazia, dopo avere in qualche mo- do rimesso fra le mani di V. M". la sua oorona, la sua vita, la sua famiglia». Notevole il passo in cui disillude l'Imperatore ed il Walewski dell'e- sistenza in Italia di «un partito moderato che possa accontentarsi di concessioni illusorie co- me soddisfazione sufficente alle speranze che le parole di V. M. e l'attitudine della Sardegna hanno esercitato da tre mesi a questa parte.... Ne seguirà una terribile catastrofe. Il Re si tro- verà posto tra un atto di follia o di viltà. Non gli resterà altra risorsa che scendere dal trono ed andare a morire in esiglio come suo pa- dre.... ecc. ». *) h Cmiala, vi, pagg. 376-380. Qaeste apprensioni del Cavoar hanno il loro perfetto rincontro in Mazzini (X, pag. 273j: '^ I governi irritati del nostro averli costretti ad agitarsi, a tre* Questa lettera è indubbiamente ammirevol3 per abilità e per passione; raccoglie tutti in un getto gli argomenti già noti, fra cui verissimo Quello a cai con amaro gaudio accennava il Mazzini: e il guanto di sfida dal Piemonte cacciato, non poteva ritirarsi senza scadere davanti all'Italia » ; ma altre cose contiene di cui è dubbio se mag- giore sia la convinzione o l'intenzione di impre»- sionare. £ soggetto questo delicatissimo; di cui con poca delicateasa fa parola il De La Gorge. Partendo dall'attentato dell'Orsini, il De La Gor- i:*' • ' " ■ : il nunzio, monsignor Sacconi, disse : L' atto dell'agitazione mautonuUi dal si- gnor Cavour». L'Hùbner disse: eli momento i> venuto di stai>ilirc tra la corte delle Tuileries e quella dì Vienna i legami di un'alleanza inti- ma». *) I nemici del Piemonte si unirono e per scongiurare l'Imperatore di abbandonare per sem,- pre l'ingrata nazione che pagava con l'assassini 3 la costante benevolenza di lui ». *) Or bene, non solamente al Favre, difensore del- lOrsitji fin tempi in cui ogni licenza era accura- latucate repressa», è data facoltà «di sottoli- n« are, completare, chiarire» quella lettera alVIm- tn«r». ad tumurni tmt nulla, s*a<{iiiir1)lHTii » frenarci come l»r turbatori ]■ me» intcti' i Popoli ohe in L'IDI rdaraii "in'- in ) '. itnparereb- reisam ■ i il ciHo k'nfiTBA- l'«' i •' spanto > I.ra di VillaaAfina al Cavoui U'> 1^ -^ ut H. liiAx III, Stitrm dommrntata, VII, pa^. Mi. *i hi. La Uuu>.r, li, pag. 347 e Wgf. SM IL 1869 peraturc, che passò nella storia sotto il uomc di tcstaiueuto di Orsini; ma questa lettera, t que- st'appello supremo del cospiratore, graduato con abilità infinita, che comincia con l'intimidazione e tonnina con la preghiera, come se avesse vo- luto desiare nell'animo del Sovrano degli antichi ricordi addonuentati », rivolere blx* al De La Gor- ge (pur non nogandono l'autenticità) «una mano più esercitata, la quale avrebbe guidato quella dell'Orsini ». « Ogni sorta di supposizione fu ima<- jrinata, senza che da questi indisà sparsi ed incoe- renti si potesse sviluppare alcuna certezza o ve- rosimiglianza». *) È noto come le due lettere del- l'Orsini furono per insistenza dell'Imperatore jai- blicatc il 31 mar/o nella «Gazzetta ufficiale del Piemonte». «Nessuno pensò che il governo pie- montese avrebbe osato quella publicazione, vera minaccia contro l'Austria, se l'Imporatore non avesse autorizzata, suggerita una simile temerità. Si dice che il Cavour, assai difficile a sconcertar- si, fu turbato da tale ardire: fece note le collere probabili dell'Austria; domandò che si garantisse il suo paese contro le eventualità dell'avvenir:^. L'Imperatore avrebbe risposto con nuove insisten- ze e fu allora che la publicazione fu ordinata». Il Cavour, infatti, scriveva ai primi d'aprile del *58 al V'illamarina, che «quella lettera colloca l'Or- sini su di un piedestallo da cui non è possibile ]>iù farlo discendere»; che dei romagnoli, mo- ' Op. di., II, pag. 350. Vedi anche le Memorie di Claade, capo della Polisia sotto il Secondo Impero, I, pag. 357. TWchf Xapoieone ìli volle la guerra d'Ttatta 247 odiai, mi dicevano ieri che quel- 'bo avuto un*€Co enorme iu Ruma- u'tia 1 :oTebbc |)er effetto di rendere popolare l'i- ti» a del re<^icl(lio*; che tii Re ò molto afflitto ;ir.i//.i che creerà al suo governo». *) Ora la riassunta lettera all'Imperatore ricorda t!>ilni*nte e delicatamente queste cose passato e le loro conseguenze. Ma il De La Gorge vìricar ma, come dicevo, tale non delicato commento: < Questa crisi straordiimna aveva finito per far conoscere al Cavour l'Imperatore dei .Francesi. Aveva indovinato che per trasfonnarlo in istni- roento docile, la minaccia sarebbe stata cosi ef- '■ ' .1. Da allora si applicò a • uè alla lusinga, servendDsi Tolta a volta dell'una e dell'altra per fare avan- "i affari del suo imese. Ora si ingegna- di ire i progressi della rivoluzione italiana, 1 '-^T' -.>*i tali die sommergeranno tutto, so il Pie- monte non la dirige e non rassorl)e; ora dipinge l'e^'t'» ■ -"Me dei partiti e aggiunge artificiosa- iià< ; se non si dìi loro qualche pegno, sarà difficile, quasi imi>ossibile, spegnere o prevenire nuovi complotti».') Fra gli impedimenti alla guerra d'Italia rima- ne a considerare quest'ultimo, il quale '•' la- >) Oriam, vi, pftf. 197. h Di La QaMs, op. cU., il, Jfd^, 868^ 248 IL 1S59 to politico potè avere minore iaiportanza, dal lato morale deve avere forzato penosamente Luigi ik)- uaparte: voglio dire l'avversione dell'Imperatri- ce. Parecchie scene violenta erano a\'venute; ') che informata del palio di Plombières, ella gli disse una volta: e Voi siete lo zimbello, lo schia- vo di Mazzini»;*) e quegli protestando le sue ra- gioni politiche, ella conchiuse: «Da tutto questo affare non ne verrà alcun bene per la dinastia imperiale». Ella, inoltre, nel suo as.solutismo re- ligioso, intuiva che questa guerra avrebbe a.rre- cato un danno certo, se non immediato, al potere temporale dei papi. A tali ragioni di indole poliliciu altra ella ne aggiungeva di impressiono subbiettiva: una disi- stima che non si curava né meno di larvare per gli Italiani: «Gli Italiani — gli aveva detto un giorno — non vi saranno per nulla riconoscenti del sangue che state per versare in loro favore. Se voi credete di procurarvi degli amici coltivan- do le loro ambizioni e la loro vanità, vi ingan- nate. Un pericolo vi minaccia? essi vi volterannD le spalle ». ') Ed all' Arese, uno dei pochi italia- ni che degnava di ecoezioiie, scriveva a guer- ra compiuta: «Non temete voi di provare al- l'Europa che il mestiere di Redentore è un me- stiere da sciocchi? L'Imperatore è stato per un momento contro il sentimento del suo proprio paese, e gli fu necessario attizzare i sentimenti ') PiEKUB D^ Liso, L'Impératrice Etighiie, pag. 99. h Ih., pag. 100. h Ih., pàg. 100. irrchr Àapoicone Hi voi'- '.: 'jufyi.t n Jtaiia .£49 di generosità e di gloria^ per l'u' M^cettare alla Francia, ancora stanca delle dure prove che ha passato, una guerra della quale la riconoscenza era il solo premio che si potesse sperare, mentre una sconfìtta lo avrebbe colpito in un modo cru- dele». ») e Che cosa ha ricavato dalle sue guerre? Che profitto ha ottenuto dalla guerra d'Italia? Dalla sp««liiione del Messico? Nessuna, Molto proba- 1)1 ili! ente queste avventure Thanno diminuito in f potenza. Io gliellio detto: egli non mi ha ri- sposto niente: oppure se ha risposto, ha detto |jarole vaghe di gloria, d'umanità, di fratellanza dei popoli, ohe so io ? delle fanfaluche ». ') Queste acri e terribili parole sono attribuita al lii'imarck, partendosi da Biarrilz prima della guerra del '66; né mi paiono disdicevoli all'uo- mo che le avrebbe espresse, né all'uomo a cui erano rif»rit4- i. l'v.. con tutte queste opposizioni egli vuole la guerra, pur parlando di pace: arrivare alla *' Letto» airAreM del S6 «gotto *59. Vedi BoirrAnixi, juk- u'iii.^ \^t; it r. r*' ' K^gioBgt innota: " I/angnsta donna n II I r- • i< . t :>re«ioa6 dei «uoi idefnii Tiraci, che trr aiMrtitnrnii ithim .-«i, ultre il rimbono di iMaanta mt'i-- ariewe irnadasaato l'Iapeffo teaendo fede alle etipulaxi IMnmHèra» . ; e ra questo pnnto dorrebbe ee«are o|nit - «^ M'fi' XapoMOM ni ola Fmnria. Kr<>ndo poi cbiento un paita- mcatu, e quarto eaMado atat^t fatto, la partita il devp ri>"<"" eliluaa. Mei libri di ragioneria non eaitte. in fatti, il • < rìrtnui*e«wuL Se BOB cho il Mipporro la guerra d'Italin i 40opo, è «opporre cotta troppo oeniplire. >iiaaa D» LAt«i, La Omr é$ NofòUon, pag. tib. 860 n, 1869 guerra è la sua idea fissa. Di questo stato d'a- nima si sono accorti Hubner, Thiers, ») Oowley. «) Ma essi si sono anche accorti di un affetto del tutto spontaneo per l'Italia che nutriva in cuo- re quell'uomo impassibile; del desiderio e di far qualche cosa» per le popolazioni italiane.*) Que- sto amore per l'Italia è la causa non politica, perchè generata da passione; questa è la e fanfa- luca» che fece germogliare quella guerra; o per dire più compiutamente, è la ragione ideale del- r Impero, il nobile sogno della 8 uà giovanezza vissuta fra noi, in mezzo al nostro martirio, giac- ché spesso avviene all'uomo, quasi per virtù istin- tiva, di rifare, come può, il bozzolo dai fili d'oro e di speran/.a della sua giovanezza. Quando l'Hùbner riproducendo il colloquio e la cospirazione di Plombières, dice che vi si sente più che un Imperatore, il giovane di Forlì del '31, dice cosa esatta. Gran lode o gran biasimo, a li- bera scelta. E così si può pensare delle sue uma- ne dubbiezze nell'accingersi al gran 2>asso|; e così, non tenendo conto di tutte le circostanze e di tutti gli impedimenti, lo si può rimproverare di aver reso un servizio a mezzo, sì che il benefi- cato, invece di pensare a ciò che ha riceMitD, >) Lettera al Principe Ck)naorte di A. Thiers del 22 marzo: * L'Imperatore, non ha che un fine, che un'idea fissa: arrivare alla guerra, pur parlando di pace „. Chiai.a, IH, lxxyiii. *' " L' Inii>eratore. non ostante avesse aderito al confrresso, nel suo intimo, desiderava ardentemente la guerra. „ ('.mala, III, ex. ') Dispaccio di lord Cowley a lord Malmesbaty. Csala, IIL Vedi anche Kossctu, Souvenirs, T'-rrhè tiapolwne iU ti>lU la guerra d'JiaHa 251 pensa inveoe a ciò ohe ancora gli rimano da rice- vere. Il De La '' a. cui non isfuggo i. * sione per ispa , unia su la infelice [ i di questo ultimo Cesare, ricordando la meravi- gliosa valle del Po, oggetto di invidia nei secoli, rant|K> chiuso di infinite guerre, osserva: «Ma 1.1 i^ucrra novella non sarebbe assomigliata alle guerre passate, se non per l'abbondanza del san- gue sparso. Lo scopo era, non di dominare l'Ita- lia, ma di liberarla».» Dopo questa prima e vera ragione, ove si in- !■ !MÌ.iri'' -' rr/.i !j' !Ìi_'iiità, SÌ possono anche aooo- t'Ucr' , ma eoa debita misura, le altre cause che si adducono, specialmente dagli avversari di Na- iwleone Ili, ') non ultima forse e non ancora ben nota e crtxana, quella derivante dairammirevuia morte di Felice Ormni. ") '• T>r Tit OoBOK, op. HU in, p*;. 9. rAustria; consolidare col itrfstiuin della ir! i iij -no upurjmfn; oj|ftÌTiir»i U fx'nfvnlpnyn d«'i i ' M. " ■ ■ • ' ' tu. no Siti tic iivcva fletto: ~ \ r he la I li 8ator7„ (rampo •! Irria aveva ucciamato Imperatore il Pp-Hinniii- nmn i e Matzini. che areva detto: " Voi amate bensì le .i I igj^imanti M. A queata velleità di li' .; i i • riii.i.«..r Pu anche detto: La iru m - il i< -ttarì, si presentava coni- i > < ■ , i.ivn fiMiriirt». v Ia iial'ò in ' t di Nai»' Il Do L. lo: Perchè fr,t la guèrra d'JtaÌM. lu Napoloonu III, d riprometteva, in- 969 IL 1869 Da ideologu e da luiuuutario egli intrapreso la guerra d'lta>lia; e con l'aggravante di un errore di giudizio; con il oouvinciniento cioè che, cac* ciato lo straniero, la rivoluzione non sarebbe an- data più oltre; e la federazione sarebbe bUiUl la forma natAirale della nuova Italia» Fimiaudo la pace di Villafranca, egli persisto in questa sua idea e non vuol vedere che il moto è invece unitario fino alle ultime conseguenze; che la sementa sparsa dal Mazzini, germoglia sieme con la venrìetta di Roma, la republica in Francia; dal qual- mutamento nporava utilità per l'Italia. I dispareri col Mazzini, la impulsività del carattere, la tristezza dellesicrlio incitarono il trapasso dal pensiero all'opera. Fallita questa e vistosi perduto, volle o fu confortato a volere, che il suo sanLm»'. con! Dopo l'attentato dell'Orsini l'Hiibner voleva saji vero che " l'Imperatore avesse l'imaginazion» .,,iMf;, n, pag. 285); e al Cavour sono attribuite ' V Imperatore, Mazzini è uno dei suoi più ì> disce ogni tre mesi degli assassini: una - d- di pazzia „ (Ohiala, DI, » v). Il proposito di , {jra- zìare l'Orsini è stato messo in dubbio; anzi, ucgato dal ncMI" Carlo di Rudio (Retto del Carlino, 4 ottobre 1908). il qual.- riferisce particolari interessanti, ma molto contestati e con- testabili, sull'attentato. Ma della volontà ^i graziare l'Or- sini non può cadere dubbio (vedi anche Hi'rnrk). Altre dedu- zioni si jKttrebbero fare se risultasse che la polizia austriaca sapeva in antecedenza dell'atten* * ' Hìnkapim, o/>. dt.. pagg. 173-176 e Pre fanone ali. morie del (friscelli. Loescher. 1908). Avvenuta la pu.-.-.i. .»a,..ii.- delle lettere doi- rOreini nella Onizetta Piemontese, scrive IHilbner: "I irior- nali di Parisi non hanno osato riprodurre gli ultimi scritti deU'aaaasaino, ohe Torgano del signor Cavour raccomanda come PtrtÀì AajMlevJM lU viMc la guerra i'iUUia 858 orriTTiai da per tutto; che, anxi, Villafradca, come uu ;u.-»iuaz7.o!H' iu mezzo all'estate, compie il mi- racolo del „: meglio. La sera cade fosca: ma al mattino il sole rìde tnmqiiillo; il monte e il pia- no verd^giano già della messe novella. Come il temp ìuw'ti pa-- .1 che da Parigi Amilcare Cii ri ore .il K , > audacia riTolusionaria, ma co^...... , uuta, iscriveva il 17 settembre 1906 al signor Paolo Mastri e che fu .-.lita n.l lì'^lo del Carlino (17 aettembro in08k . . 1 1 ]>riiaa lettera che acriaee all' ' -. questi, pro- I Ai'.u iiinrc^-li'iiato i* commoMo. . ire di salrarlo >>isa italiana p*^ la quale TOrsini rnodiario di Pietri, la fece recapi- I. k ini ateaeo, acciocché la 1. . _' — fu fatto. • ItkUwo e, MS Ur»iui non ebbe aalra la Tìta, "dero IU ' aco ne fu - Lefi ebbe Mh ' 1 mi ambascia' uu cuìfit >lir • l'Imperatore i mimo a « av<> GaxxeUa Ufficiale del Pien " Oaroor, aorpreso, obit^**' attacco diretto di entra " Napoleone rifpoae ^\ prime OftiUtà. " Quattro mesi à^-* ' bi^rea: l'Imperati > un delinqnentf. m tri», e non i voi- dell irie. ed il conte HQbner, >, perchè intese che era vigilia di morire, lini ili pubblicarla neUa ' - -tto equiralera ad tra i. fu fatto. Erano la i trovamno a Plom* ') era 854 IL 1869 vessillo dcirUnità^ Cavour, che più violentemente di tutti è travolto dall'onda di Villafranca, quan- do s'avvede dell'effetto meraviglioso, esclamerà: t'C'hc benedetta sia la i>aoe di Villafranca I » ») £ quando Napoleone III se ne avvide, «lasciò fare troppo agli Italiani a dispetto dei più dei Francesi ». ') £ se tanta malvagità era in que- st'uomo, l'onda degli oltraggi che montò verso di lui, non gli doveva anzi consigliare l'opposto? Idea fissa la guerra; ma l'idea fissa non è equi- valente di volontà; la volontà vera era in Ca- vour; e l'aver ceduto a questa forza di volontà dove pure significare alcuna cosai L'onnipotenza di quel Secondo Impero, che si rivelò poi così passeggera^ potè dare all'anacro- nismo una parvenza di realtà; ma è dubbio se, senza quell'idea fissa antica, senza quell'illusio- ne di potere imporre al mondo il buon diritto con la spada di Cesare, senza quelle «pagine strappate» nel suo cervelli^ egli avrebbe mai in- trapresa la guerra d'Italia. h OHiAia, m, pag. 187. 2» Cardccci, Alberto Mario giornalista. Come abbia il Ca. ducei arrersato Napoleone, è troppo noto per qui farne parola. VIIL La crisi del Congresso. vm. I*a orisi del Congreiso. Le fasi del congresso vanno "da quel !.<> aprile :iza interruzioni. Tra Londra, Pa- ; I ino, Pietroburgo è uno scambio mmi, note, tra personaggi solenni. Que- fe: i rendono l'imagine di navarchi che gui . b'-"i nsùvx per non calmo mare. Sicura tuttavia ò la rotta e vanno di conserva. Quan- >cco uno^ anzi il più temuto fra questi navarchi, iua a mutar rotta, sorge scompiglio, più ocu- vigilia occorre. Perchè non procedere come ima? Perchè un vecchio naviglio laggiù arde? L causa è il salvarlo? Ma quante sono al ...u cause giuste: soffrono, muoiono, si txa.s- utano. Non si muta rotta per questo I Queste fasi, come una infermità, percorrono la parabola, sino ad arrivare all'acme, dopo In è la Usi o la morte. L'acme, qui, avviene Ila notte tra il 18 e il 1^ aprile: dura tutto 19. Il t^iorno 20 è la risoluzione. Noi dobl>i.: o questa risoluzione ad un compatibile erro.. 258 IL 1850 dell'Austria. Vediamo: il conte di Cavour lo ha dichiarato; non disarmerà: cNoi non disarmo remo. Meglio vale cader vinti con l'arme in pu gno che perderci miserabilmente nell'anarchia, < vederci ridotti a mantenere la tranquillità pu- blica coi mezzi violenti del re di Napoli: oggi noi abbiamo una forza morale che vale un eser- cito; se noi la perdiamo, nessuno ce la ren- derà». 0 Alla sua volta il conte di Buoi non recederà di una linea dalla sua prima dichiarazione: e il disarmo preventivo della Sardegna è per noi una condizione sine qua non per entrare in con- gresso, senza di che l'affaire ne serait qu'une comédie». *) E, a dire il vero, il conte Buoi facendo questa esplicita dichiarazione a lord Malmesbury, non aveva bisogno di spendere troppo tesoro di elo- quenza, perchè — come dicemmo — in quei di- plomatici inglesi era l'intima persuasione che il congresso non fosse che un espediente per me- glio preparare la guerra. Fermi in tal convin- cimento, non pare che quei gravi personaggi inglesi si volessero prestare troppo al giuoco; e non pare nenuneno che lord Derby, lord Mal- mesbury, lord Cowley, il Principe Consorte, la Regina Vittoria nutrissero per l'Italia un così grande affetto da fare per essa sacrificio di in- teressi. Ma non è men vero che due secoli di ci- '; CiUAi.', Ili, pag. 68. ') Buoi a Malntesbìiry, vedi Ouula, III, cviii. £a criii del Congreuo S59 vili e libore ì-^'' ' i non erano stati indarno. A questo ben i. -, , leva il Cavour nel suo di- scorso alla Camera subalpina, in cui vellicava l'orpoglio di lord Derby. Lo stato dei tre go- verni d'Italia^ Austria, Papa e Borbone, era real- mente anormale per una coscienza inglese, anche sotto la veste del diplomatico. Ma l'Austria^ ma il Borbone, ma il Papa si trovavano al punto da non poter concedere alcun lenimento al greve g^ogo o riforme di carattere liberale. Queste po- t„ per ren- >lrr9Ì favorevole l . ,. alia pn- litita piemontese, scìiza perù lasciar travedere che ■ l'influenza venuta da lorino. In$igtere perchè l'J, faceta prevalere nel Congresso (se Congresso vi saràj U prin- cipi <■ del non intervento dell'Austria, in modo preciso ed a*- toluiw. nei paesi tUuaii $uUa sponda destra del Po, La cri»i del Congrtuo 961 questo patto e irremissibile > accetterà il congres- so. Gli a\"\enimonti diedero ragione alla sua po- litica, e perciò noi la possiamo ritenere astutissi- ma e persistere nella concepita opinione che egli fosse sicuro dol fatto suo. Non è però meno vero che quegli inglesi, che pur dubitavano così .aper- tamente della sua lealtà, riconoscevano che egli a in mia situazione cassai spinosa», co- ...V ...v;iauno; e emutato e demoralizzato « i) ce lo presenta la Regina Vittoria in ima lettera del * maggio allo stesso Re del Belgio, cioè all'aprirsi ^'""''ner, che non era certo uno ; 't^e a vibrazioni di pietà. Noi possiamo sorridere quando dice che Napoleone la i ritratti che Tacito e Svetonio fanno .. - . . :. imperatori romani, i quali nei primi anni iol loro regno furono delizia e ornamento dell'u- lanità, per diventare poi soggetto di terrore e '-'"o; quando dice che non sembra jx)ssibile ìli, soma del potere senza i limiti di prìn- ipii immutabili, determinati dal timore di Dio, rispetto per i diritti acquisiti, dalla tradi- — j secolare. Ma non è lecito sorridere quando 'i lo descrive ccup<^ inquieto, taciturno, inacces- ' ai suoi amici; sordo ai buoni consigli; ir- >.iio dagli ostacoli che egli stesso ha posto sul iO cunmino; tremante davanti allo indiscrezio- i dei complici; senza trovare nella sua intol- genza i mezzi di imporre a loro il silenzio; nel io cuore la forza di romperla con loro; indovi- *> Eùorfimti^o lUiIiamt, Anno I, fueioolo S.*. pag. 906* 263 n. 18SS nando, più che non confessi, ohe egli lavora suo malgrado e senza posa a formare oontro di so la coalizione dei pojx)li e dei sovrani, ad alie- narsi la simpatia e la confidenza della Francii. Questo principe, esclama^ offre uno spettacolo degno di pietà, fatto per ispronare i governi del- le grandi potenze a stringere le loro file, per sal- varlo suo malgrado, e cobi salvare la pace, se ò ancora tempo; oppure per abbatterlo, infran- gerlo, se persiste nella via del male. Forse l'im- Ijcratore per le angoscie che in questi momenti soffre, per fa conoscenza dei pericoli che lo cir- condano, per le torture che il Cavour gli inflig- ge, espia adesso le sue colpe ». i) Quanto alla guerra, ecco il dilemma dell'Hiib- ner: vinto Napoleone perde la corona, vincitore la perde lo stesso per effetto della coalizione che si formerà contro di lui. £ il pensiero, già riferito, del Mazzini. Nobile, come irta di difficoltà, la parte affi- data al ministro Walewski. Desideroso quanto altri mai di secondare gli sforzi dei diplomatici inglesi ed evitare la guerra, deve salvare il suo Imperatore dagli impegni presi col Cavour e in pari tempo dall'accusa di slealtà e di malafede che, con tutto il bel giro del gergo politico, gli rivolgono quei diplomatici. «L'Imperatore — af- ferma il Walewski — vuole la pace: la visita del conte di Cavour ha recato qualche imbarazzo, ma non smosse "l'Imperatore dal fermo proposito >) H'Jbkkr, n, pagg. 862, ecc. e 393. La eviti del Contfrruto 2 la riunione».^) 11 rimprovero che si moveva iirimperatore era di non avere insistito nbl)a- tar./a mi! .ìi- irmo del Piemonte. Mi \i SI arriverà. L'Inghilterra giungerà a gi- rare la posizione e si arriverà in fine al disarmo, della Sardegna? Risponde il Walewski: >ra disarmo anche dell'Austria ! «non in- t iuiazione però al Piemonte ma raocomandazionc • *ortc8e ohe l'effettivo del suo esercito sia di- lito: non si specifichi il rinvio dei contin- i e il congedo dei volontari». Sì, va bene: ma questa proposta non è proponibile' né meno ' ia. Essa vuole intimazione e congedo dei .. ,..,.x comandati da Garibaldi. 7 aprile: pro- l<'^ta di lord Maimcsbury: «Disarmo generale cinque potenze, compresa la Sardegna, e i del congresso». Controproposta francese: inno generale delle cinque potenze compre- a la Sardegna, ma i particolari del disarmo sn- ! nc>lla prima seduta del congresso ». ') 1 dire, disarmo con armi, fi una com- :iicdia; ma in questa parte la commedia è gio- •ata dall'Austria. In quei giorni appunto, il 9.«> = ! 10." corpo austriaco, partivano da Hriinn e h alla voltai d'Italia per formare la riserxa Iella seconda armata : altre due dinsioni austria- che si mettevano in moto verso il Ticino. Ecco: >• O.iut ' !'! — •) HtfBKn, n, piig. 870. 964 it> 1859 e La Francia per dimostrare il suo buon volere, disarmerà essa per prima; ma non ] ' ' orro il disarmo al Piemonte, essendo esso ■ d.-il congresso». Ultima proposta allora: questa fat- ta a lord Malmesbiiry dal maresciallo f' Pélissier, accettata da Maimcsbury: cD preventivo simultaneo delle potenze; gli Stati ita- liani (oh, finalmente), cioè la Sardegna, saranno ammessi al congresso». Ma chi non capiva — come diceva lord Cowley al Walewski — che l'idea del disarmo generale era stata unicamente imaginata allo scopo di ve- lare ciò che il disarmo isolato della Sardegna pot>eva avere di offensivo? *) La Sardegna al Con- gresso? «Il conte Buoi, forte dell'aiuto degli Stati germanici, nut^e speranza di opporre alle pretese francesi una specie di Santa Alleanza ricostitui- ta; e in tuono sicuro che toccava l'oltracotanza rinnova la sua pretesa d'introdurre al Congross » tutti i piccoli Stati d'Italia, tutti, escluso il Pie- monte». ^) In tali disposizioni d'animo del pri- mo ministro austriaco, è avvenuto l'accordo tra Francia e Inghilterra. L'accordo è avvenuto infine tra Franci. ghilterra, a cui s'aggiungono Russia e Prussia. Un dispaccio del conte Walewski notifica al Ca- vour dell'accordo intervenuto tra Francia e In- ghilterra: intima «in termini imperiosi» l'imme- diato assenso della Sardegna. In quei giorni, si h Db La Gjrgf, op. cit., U, pag. 431. •) Ib., n, pag. 428. f4i tritìi del Conjr,-'^, 2<'..'> noli, era etato dal Cavour mandato a Londra con missione speciale Massimo d'Azeglio, caris- '^i:: ' 1 i ' Ili di Stato, tanto caro che \ 1 ì.tw\iO'io veduto sostituire quell'ir- conte. *) L'accordo era avvenuto c-on l'assenso del d'Azeglio il quale, compreso dall.i He cose o insieme sapendo quale col- •l^ a>'uto il Cavour, con quella ca- vallerìa degna del mondo mediocvale che così nu-o era al suo pennello e alla sua penna, aveva t ■'""••' ^'tìo al Cavour di addossare l'enorme re- atà del disarmo tutta sulle sue 6X>alle. Ma non era il Cavour uomo da accettare simili ■ ' ' ' ■ ^ ' ' **ava al La Farina ; ^ arma una lettera Iti coi avvertiva che, dato il caso probabile che le comunicazioni venissero interrotte, la notizia •) " MaMiìmo parte domani : a Londra ed un po' anche a Pa- :.'! il «jo riagffio è visto di buon occhio, porch-'* %\ «jtorn )«pr- per rovesciare il coni»; Ciimilli». e " MA««Hri ni l'fini/ri. 1'» «iiril*^. \ illID ll.l V ;o.. -r. i^UUJLk, S66 "• 18'>y certa delle ostilità cominciate doveva riieuersi come segno di generale in.siirrc/.ione. Di tre fri'T- ni prima è un biglietto al ministro della gucn.i. Alfonso La Marmora. Questo nobile signore, trat- to da quel rimorchio potente, deve avere oj sto dei tma» e dei «se», anche giusti, a colui che di «ma» e dì «se» non ne voleva sapere: scriveva: «spero che tu non te ne sarai avuto a male di ciò che ti ho detto in un momento di grande prostrazione. Capirai che quando si ò piis- sata tutta la notte a decifrare telegrammi irri- tanti, si hanno i nervi guasti e l'elenco delle dif- ficoltà e dei pericoli che tu mi metti d.^vanti, anche essendo tutto vero, non è destinato a ri- stabilire lo stato normale, perciò se cominciamo a litigare fra noi, siamo tutti fottuti, e sen?^ re- missione». *) In quella notte, dal 18 al 19, il conte di Ca- vour riposava. Il telegramma del Walewski fu spedito infatti non al conte, ma all'umbascia- tore, La Tour d'Auvergne; questi mandò il suo segretario. Era Tuna e mezzo dopo mezzanotte. Il Cavour non attese d'alzarsi: lesse: gli occhi gli si dilatarono: si compresse la fronte, disse: « Non mi resta che darmi un colpo di pistola : faimi saltare le cervella». Egli che aveva detto di aver ridotto a nulla il partito del Mazzini, *) »> C.iiALA, m, pag. 85. «) Pour moi 3Ìazziiii c'est un adversaire politique. dont n«ii- avons pu aoénntir le parti, mais avec qui nous ne pourruu> jamais arrirer à un accord. Souvtmrs del Kossuth. Vedi in CtUALA, III, cv. /yi etiti ■!rl rnnjx'iin 967 doveva àassi per vinto ni Mnzzini o voleva pa- gar di persona. Al mattino, sull'ai bcprg-iaro, l'in! i-ciatore fmn- « '- - il conte ristabilii») in calma. Si sa- r- ì estremi ohe i suoi amici lo sorvegliarono per '■ tlche atto di.'qx^rato o folle.*) • lo Castelli, in <|Uw'l giorno 19, scon- u'.iM.Ho dagli amici, forzò la consegna di casa ( : ■• ir. Lo atesso domestico lo ^oIlecìt;lva: il coli?' è nella «uà camora, solo, ha già bruciato molte carte e ci intimò di non lasciar entrare al- '.' QuMtA Iettar», del 19 aprile !• fic \i.a. VI, i>i«l'. 'tniì: !.. i: 868 IL 18S9 cuno; ma lei ci vada per carità a qualsiasi costo. Il Castelli cnLiù. Cavour sedeva tra mucchi di carte Ulcerate: altre ardevano nel carainctto. Al- l'apparire deiramico, il conte 8ì volg«; fissa, non parla. Parlò allora il Castelli e disse; ..., , uè nessu- no deve entrare qui, ma appunto per questo sono venuto. Quindi vincendo l'interna emozione, con voce calma e «vera aggiunse: Devo credere chi- il conte di Cavour voglia disertare il campo pri- •iia della battaglia e abbandonare tutti? E dic- tle in uno scoppio di pianto. Cavour allora s'alzò, l'abbracciò convulsamont quindi dopo aver fatto due o tre vòlte il gim della stanza, si fermò davanti all'amico e pro- nunciò lentamente queste parole : Stia tranquillo, affronteremo tutto, e sempre tutti insieme. *) Per le altre nazioni il disarmo era una pa- rola: per il Piemonte era un fatto, era il tradi- mento verso quelle mirabili forze della giovane Italia che egli aveva mansuefatte, attratte a sé. Impazzire, no: darsi un colpo di pistola, forse, se un lume di speranza non fosse brillato sem- pre in quell'orrida notte d'aprile. Nella mattina del 21 quel barlume dilatò, folgorò. Era il £ole. >; il, Cabsklli, Ricordi, pag. 97. L'ultimato delFAustria. IX. L'ultimato dell'Austria. Sino dal '52, in una delle prìme lettere con- fidenziali deirHùbner al conte Buoi, successo allora al governo dopo la morte del principe Schwarzenberg, è detto: t Nel campo della poli- tica estera noi non potremo mai contare su lui».*) La prevenzione era antica verso il futu- ro Imperatore e non deve quindi meravigliare so il congresso fu giudicato dal gabinetto di Vien- na una trappola per diminuire l'influenza del- l'Austria in Italia senza colpo ferire. £ il pen- siero già riferito del Thiers; e potrebbe rispon- dere a quelle enigmatiche parole doUlmperatore nel citato ■ < ^' «no III e l'Italia»: «Faccia la ..., . ^Uia di una guerra. quello che farebbe il domani di una vittoria'». «Ora è ammissibile che noi ci lasciamo sgoz- zare come un agnello, pacificamente seduti at- torno ad un tappeto verde?»') Ed è per questa considerazione che il gabinetto di Vienna riouuic irremovibile nei suoi tre punti stabiliti come con- >) Hi'Min, U. pàg. «9. >> 71., II. iwir. )f7H. 278 IL 1859 dizione del congresso, ») né recedette poi davanti ad alcuna sollecitazione o minaccia dell'Ingìiil- terra;*) o la sospettasse mal fida, o quanto me- no debole verso il terzo Napoleone: cAh, se ci fosse stato un Fitt in Inghilterra!» esclama con rammarico l'Hubner. Con queste ragioni si complicavano poi altre ragioni di sentimento o passione, le quali gover- nano, più che non si voglia^ la fredda politica. Troppo forte umiliazione era per l'orgoglio seco- lare dell'erede di Carlo V scendere a patti di uguaglianza con un piccolo Stato clie avrebbe dovuto rimanere anche lui in vassallaggio; e non solo si proclamava indipendente, ma gli avma ribellati i sudditi, armati contro; si era erutto ^) Cioè: disarmo del Piemonte; esclasìone del Piemonte; nes- sun mutamento territoriale. ^ Avvenuta l'intimazione àeìl^ ultimatum, suprrmi sfcTzi tentò lord Malmesbury perchè il conte Buoi aderiss<> all'iim- mÌAsione degli Stati Italiani al congresso (dispaccio del 20 aprile, ore 1.43 pom.). Per mezzo del suo ambasciatore profestù il 22 aprile in nome di S. H. Britannica, aggiungendo cbe " se Vultitnatutn avesse avuto effetto, l'Austria avreblw perduto cgni titolo all'aiuto ed alla simpatia dell' Inghilterra „. Oramai era deciso : il conte Buoi rispose all'ambasciatore in- glese che " v'era un'opinione pubblica anche in Austria, con un Imperatore giovane e cavalleresco a cui la dignità e l'onore del suo paese erano sacri. Noi siamo stati sbeffeggiati, provo- cati, insultati per lungo tempo dalla Sardegna „. Vedi CruALA. Ili, «XXXVII. Tentò il Walewski il mezzo supremo dell'in- timidazione per mezzo di Massimo d'Azeglio, mandato in che il pacifico Cowley . ..f.xuriJa all'anii^ . . — uer: t Voi dovete ordinare ao del Piemonte, invaderlo, schiacciarlo, e dopo si parlerà di congresso dove e come si • — :\», e l'Hiibner aveva risposto: c£d è quello noi dobbiamo fare e che noi faremo t. ') Ed * quello ohe fece appunto il Buoi. Questi il 'iva lord Malmcsbury per mezzo -re Appony che e l'Imperatore, no- stro Augusto Signore, deve alla sua dignità ed lila tranquillità del suo iinx>ero il porre un fine d una condizione intol' - ' ' ', assumendo egli i< .-,^0 in sue mani la (^ . del disanno del l'icmonte. A tale scopo noi stiamo per rivolgere • al gabinetto di Torino un ordine 1 suo esercito sui piede di pace e di licenziare i volontari italiani».*) Scongiurò lord ' N'edi NoU precedente. 'i UDmu, II, pag. 896. OtOALA, III, CXXil. rAuxijki. ;/ ;6M. it 974 IL 1859 Malmcsbury il governo di Vienna di astenersi da tale e altera intimazione»; ma inutilmente; e per- ciò quando la mattina del 20 aprile gli amba- sciatori di Francia e d'Inghilterra parteciparono al conte Buoi che il Piemonte aveva aderito al disarmo, il ministro imperiale rispose che sino dalla sera antecedente aveva dato incarico ad un ufficiale di recare al conte di Cavour l'ulti- mato di congedare i volontari e mot' -<" ^''\sercito sul piede di pace. *) Non deve qui sfuggire la curiosa coincidenza delle date e la tamerlanesca (il curioso ag- gettivo è del Cavour) •) ostinazione del Buoi: due cose che si possono mettere nel conto deltó molte foi:tune che ebbe l'ItaJia. Il 19 il Cavour, costernato e disfatto al punto da meditare il suicidio, s) aderisce alla proposta del disarmo. In quel giorno stesso il Buoi confida al Kel- iersperg, che partiva per Milano, il testo del- ruUimato, con rordinè di recapitarlo a Torino. Il 20 lord Loftus, ambasciatore inglese, sì pre- senta di buon'ora al Buoi, gli annunzia in tuono lieto l'adesione del Piemonte al disarmo, lo com- plimenta calorosamente della felice soluzione del- la crisi; e Buoi rifiuta le congratulazioni e in- 1) Ghiaia, m, czxii. ^i Ib., VI, pag. 896. •) Vedi Castpxli, Ricordi, jMtg. 97: Vuìlimaio (Ull'ÀuMtria 975 I-ma invece della g^v^ risoluzione presa d'ao- 1' e per volontà dell'Imperatore. Ma se rultimato è in viaggio per Milano, nul- di più facile che ritirarlo. C5avour si è pie- irmerà. Questo fatto viene a giustifi- lodo più semplice la soppressione dei- Così parlò lord Loftus. V queste parole il Buoi oppose un'ostinazione •: Sì, è vero: quando fìssammo i ter- ordine al Cavour, noi ignoravamo la cisione. Ma giaimnai noi avremmo accon- I a sedere in un congresso accanto ai rap- •"-••: ■'■' Piemonte. allora lord Loftus — che l'Au- Ruol — ma è contro la ri- le publico che noi combat- to.») <,' : • : < altera intim^ioue» — scrive l'Hiibner '•••» il giorno del venerdì santo, — «ci 1 di aggressori i, *) ma se per quc- > fatto l'Austria si collocava in condizioni mo- :i inferiorità, se ne avvantaggiava notevol- dal lato militare, cogliendo l'esercito inco-sardo mal preparato e diviso. «Pel mio ore il primo colpo di cannone non ,^ d'una guerra ordinaria; e mettendo ohe lo cote alla peggio, si potrà perdere una \' h I, ' Ti <, ' orrttpomdenté rtÈpeetin^ tke affairn of ■ i-'l. M , o/i. €ìt.. Il, pag. 400. fi76 it 18Ó9 provincia, salvo a ripretìderla più tardi. Ma jKjr l'imperatore Napoleone è una guerra ad oltrauz?' dove l'esistenza del suo trono e della dìnast r in giuoco ». *) Che Napoleone, per qu.mu; ci pi.u i wt n^^miir- celo illuso della sua onnipotenza e attratto dal fascino imperatorio, non si fosse fatto velo agli occhi sulla forza militare dell'Austria, appare dal colloquio di Plombières; che intrapresa la guerr.i gli stesse sopra l'incubo della sconfitta, è troj pò manifesto, e Villafranca lo dice. Nell'ultin fase di queste trattative, egli ha piuttosto l'a- spetto di persona che si lascia dominare dalle cose, che di persona che risolutamente vuole. Ili 12 maggio (il naviglio che lo condusse a Genov portava il nome di «Regina Ortensia», la mor; nella sua passione, che trasmise al figlio la 6i passione) nel toccare la terra d'Italia disse al- l'Arese le note parole: «Mio caro Aresc, bisogna che noi ringraziamo Iddio che ha inspirato al- l'Imperatore d'Austria la risoluzione di varcai il Ticino; perchè altrimenti come avrei potut io essere qui?» 2), lo quali suonano come vd< di persona assente quasi ai fatti, e che da qu< sti e dal fato si lascia trascinare. Ed al Cavoiu pur disse le note parole: «Voi dovete essere con- tento; i vostri piani si avverano», le quali suo- nano come di persona che dica: ciò che voi vo- lete, ecco avviene. ') Hl'BSEB, Op. Cit, n, ] -'03. ') BoNPADiNi, Vita di 1 . pag. 382. L'ultimain dell'Austria 277 Il Cavour ebbe notizia sicura del rifiuto dcl- Vustria la mattioa del 21. Il giorno 23, doman- : Parlamento i poteri dittatoriali per la i. *) Cadeva quel giorno d'aprile; e si chia- va la seduta al grido di: e Viva il Rei Viva ial», quando fu visto il Cavour uscire in . V.. dall'aula. Erano giunti gli inviati austrin- Colomba che rechi ulivo, mai non giunse più ra di quei due messi che recavano la gpierra. -no consegnate alla st-oria le parole che l'atti- > eroico suggerì al Cavour. Dicono: e Esco dal- tomata dell'ultima Camera piemontese: la •-«sima sarà quella del regno d'Italia». An- l'egli aveva l'intuito dell'avvenire, se non che destino di tutti i profeti vedere nel cielo più irabili cose che non siano consentite nella loro iduzione terrestre. Il conte di KoUesporg introdotto nello studio I Cavour, porse la lettera del ministro austria- • rando di ignorarne il contenuto. Il Ca- .. -. .^'gcllò e lesse, ») e poìcl»*! rnltimato con- li Tuli fiivnrcvotì IKì rf.iitriiri Q I •r« di preg»re Vostra Ec- • > Mi'lla priHontei in Mn* Ite •ccon« -'•cui piod« •li metteni « VMtr» ■ i. u non rtccYfute ricpMt*, uru ukM auD lussc cumplvtamcuto di nostim soddlifluiione, U 278 II. 1859 cedeva tre giorni per la risposta, così, come di- 1 Gemino, levato di tasca l'orologio, diede conve- gno al messo tre giorni dopo all'ora medesima. In quei tre giorni che gli inviati austriaci ri- masero a Torino, furono colpiti dall'aspetto quasi tranquillo della popolazione, della qual cosa am- mirando e contemplando la città bellissima, di- , cevano: «Quel dommage! Questa magnifica città sta fra pochi giorni per essere abbandonata agli orrori della guerra», tanto ferma era la per- suasione che la presa di Torino sarebbe stato il primo atto certo del sanguinoso dramma; e questa convinzione era tale che i parenti degli ufficiali austriaci recapitavano poi le lettere a Torino ; ed il Cavour se le fece portare e le con- segnava al legato di Prussia dicendo: «Ecco let- tere indirizzate a persone, il cui domicilio è sco- nosciuto qui alla posta». Allo spirare dei tre giorni il Cavour consegnò la risposta 1) proferendo jwi agli amici le me- ravigliose parole: «Alea jacta est.... Ed ora andiamo a desinare. Noi abbiamo fatto della storia ». rcsiwnsabilità delle gran' conieguenze che seguirebbero a que- sto rifiuto ricadrebbe tutta intera sol governo di Sua Macula di Sardegna. "Il mio Imperatore, dopo avere esaurito tutti i mc^i o.nr j. iianti per procurare ai suoi popoli la garanzia della I i con suo grande rincrescimento ricorrere alla furzu r. " Nella speranza, ecc., ecc., ngn'' Buol „. h Vedi ÌLa«»aui, Vita del conte di Cavour, Luutmato dell Ah fina 279 I Conviene pur dirlo: per quanto gli uomini mo- dani g^uardino con occhio poco benevolo ogni moto dell'animo che esulti di orgoglio nazionale, ò impossibile dominare in noi stessi la profonda impressione che ci vince leggendo i libri e le memorie degli storici e politici stranieri, i quali non fanno il nome del Cavour s^iza inchinarsi dinanzi a tanto mirabile e dominante fìgura uma- na. Appare oome un Cristoforo Colombo novello che ha bisogno di trasformare la piccola nave in cui crebbe, in un colosso del mare, e il mare non gli pare vasto abbastanza. £ per ciò anche le parole intinte di amarezza, tornano per forza a sua lode. cJacta alea estl — chiosa acre- mente il De La Gorge. *) In verità egli oome Ce- sare stava per passare il Rubicone. Ma egli non doveva passarlo solo, e questo era in fondo il segreto della sua sicurezza». I^ guerra obbliga Hùbner a lasciare Parigi. Vi era da otto anni, e con tutto il suo sdilinqui- mento per ogni cosctta che gli ricordasse la «su.i povera» la sua cara Austria», vi sarebbe rimasto ancora volentieri. £ anzi nel momento del di- stacco che si accorge di avere tanti buoni, tanti >) Op. cit.. II. iMis?. 440. Vedi «ncbe (^unto mio libro, pug. 17S. IL 1859 cari amici fra Taristocrazia del sobborgo di San Gennano. e Alla stazione è venuto a salutarlo an- che il marchese di Pimodan, antico colonnello austriaco. 1) Porta carrément la bianca uni- forme austriaca, e nessuno ci trova da ridire. Tutti quei nobili signori salutano con rispetto, con tristezza l'ambasciatore d'Austria. Egli guar- da tra la folla: vede alcune donne che piangono. Esse — esclama — non hanno dimenticato il sangue e le lagrime che la guerra di Crimea ha fatto versare; e ci si domanda, senza capire, per quale ragione la Francia va in Austria a cercar rogna da grattare».*) 1) Morto da valoroso a Castelfidardo, 1860. ') Breve risposta. Riassume le vicende del C^ncrron'it, TI V'"-- monte ha accettato le condizioni del Congres»!' potenze d'?]uropa. Rifiuta di aderire al disami' : , . .. condizioni. "Quali ne possano essere le con-segiienzc, la resixtii- sabilitA ricadrà su chi ha armato per primo, su chi ha ritiu- tato le proposte delV Inghilterra, su chi ora vi sostituisce un comando di minaccia. Sigti'': C. C.\vol'b„. NI'. Il Cavour sentì la pesante violenza del Buoi in modo indimenticabile, e per quanto comportava la sua nobile natura incapace di odio. Documento curioso è questo passo di lettera all'amico De La Rive, del decembre 1859, riportato dal Ghiaia fra i soliti puntini (IIT, pag. 164): "Se voi fate quest'inverno una scappata a Parigi, voi mi troverete all'Hotel di hri>t<'i. Ho fermato T appartamento che il Buoi occupava nel 1866, e ciò sempre allo scopo di invadere il territorio austriaco g. X. CaTonr stratega. X. Cavour •txtLtegt, Vennero 1 Francesi dal mare e dal monte; Io vie di Annibale, dì Carlomagno, del primo Con- sole: juna visione rossa, impetuosa; e fra essa l'or- da feroce ed eroica degli algerini. Che ne sanno dell'Austha, del diritto italico? Gridarono: Viva l'Imperatore I Morirono. cVeux tu des cigares? un absinthe? un g^og? Crie vive l'Italie et tu auras toujt ce que tu vou- dras». Qui impararono a cantare «La bella Gi- gogin». Ma molti non le ripeterono più le alle- gre canzoni di quella primavera: molti non W- dero più le loro mamme e la doloe terra di Fran- cia. Luceva ancora la stella di Venere del grande estate, quando cominciò a scrosciare la mitra- glia, Per tutto il giorno si scagliarono nei mo- osi assalti; ix)i cadde la sera, e 6Ì addor- :.. alarono nella placida morte. Poi passarono an- ni, e sul campo dove quelle giovani vite furono falciato vennero canuti uomini, battezzati in Cri- sto, a studialo come coloro erano morti, o co- 884 IL 1869 me sarebbe stato più soientifloo morire; e ciò Ilo scopo di preparare più positive regole per io guerre future. Ma la speata pupilla di lui la- grimò, e anche per questo egli fu Napoleone il •piccolo; anche per questo egli non fu Gaesar, ohe sotto la tenda detta allo scriba : f i t ma- gna cacdes, e si prepara, impassibil*- - ^ìr domani strage maggiore. L'uomo che insanguinò Parigi col suo colpo 'i Stato, non possedeva sotto la maschera im- assibile del volto, la impassibilità crudele dei '•ri conquistatori? Non possedeva! Egli era € al- trettanto valoroso quanto buono ed umano. A Magenta per la prima volta egli vedeva un cam- po di battaglia e la sua anima pietosa soffri cru- ielmente a tanto strazio. Si dice che imbattu- losi nella barella dove riposava il corpo di Est i- nasse, la fece scoprire. Povero Espinasse 1 m >r- morò, e a lungo lo guardò in silenzio come vinto da un dolore che toccava il rimorso ». *) A Sol- ferino, mancando perfino le filacce e le tele per fasciare i feriti, ordinò ai servi di dare le sue lenzuola, i suoi pannilini per improvvisare ben- de e filacce. *) Eroe del 2 decembrel «Eroe pas- si v o 1 », dice con sprezzante ironia l' Ilubner. ») 1 Ippure quest'ironia e questo stato d'anima quan- lii storia ci spiegai*) ') Dr L\ GoRr.K, pag. 63. ') 7-« Maréchal Canrobert, di Gerhamo Bapst. ' T! • IR (figlio), II, pag. 221. ' i'io, risoluto e fornito del colpo d'occhio pronto e si - Luiu del grandi capitani, d'un coraggio quasi temerario du- Cavour tiraiega Si85 M ro, contro i.^ lo: /a 1 \ ^ ') il solo Pic- monte: cara e bella forza d'Italia. Aveva JEatto li \ ■■;':; ihanui in Crimea; e che cuore ai liuaUi p>j\iM ciuli in Parigi, il dì che annuncian- do le vittorie francesi fu gridato anche: «Les Sardes ee sont vailUunment battus ! > ^) Fiore d'I- talia con Garibaldi erano i cacciatori dell'Alpi: ma essi parvero formare ai troppo prudenti una nota discorde, tanto ohe li mandarono divisi e lontani. E allora si distesero per i tuoi colli, o Drianza; e all'aria montanina^ o Varese, o San Fer- mo, o dolci ville, voi udiste il più puro suono di quella campagna. Ma furono ventura per liuiui itn imi i.uu, i quali non avendo anche oggi sicura spiegazione, parvero opera prowidenzialo, come le dirotte ])ÌM di pari tempo che il Uuol (X)ucedc'tte niiit« l'asioni'. Nkpoleooe non può, dopo U battaglia, con occhio .1- Hit tu. ' ' ; corpi eaanimi di quelli che pw^no con U Ir :ft 1 che laatricano la via della vittoria, gliela rendono tro|i|M) nniuroML KgH ha già fretta di veHere là fine di qtu$ta guerra d'iUtiia, che coeta ogni giorno tanto Bongut f" - "♦nlle memorie del font- " !'■ V -•» <' • > "■ •-■< >. VI. i»nif. 4M.'..i ..0,... WI..O del 15 agosto 'óà. 286 a 1859 al Cavour, e pregandolo di prendere il contenuto deirultimato in scria considerazione». Vi^ne in mente una specie di via dischiusa alla resipiscen- za ed al pentimento per tanta audacia; ma più comunemente questo fatto si ritiene conseguenza delle interposizioni ulteriori dciringhilterra^ e co- si credettero Cavour e l'Hiibner. *) Ma se anche cosi fu, ben strano contrasto forma questa let- tera della regina Vittoria venuta di recente alla luce: tChe stanno facendo gli Austriaci? Essi non vollero aspettare quando avrebbero dovuto, ed ora che da lungo tempo avrebbero dovuto slanciarsi all'attacco colle loro forze preponde- ranti, essi non fanno nulla 1 nulla dal giorno 301 Lasciano che i Francesi divengano sempre più forti ed ogni giorno più pronti alla lotta. C'è ve- ramente da impazzare, ed è difficilissimo il ca- pirli o fare qualche cosa per essi ». *) 1) L'HfIbner in data 26 aprile scrive (Voi. TT, imm?. 422): "A notte tarda Cowley mi scrive che Lord M;u , offre al- l'Austria ed alla Francia la mediazione dell' 1 : ))er una intesa diretta fra le due potenze, ma esige che i .\ "indi Tattacco al Piemonte, quale si sia la risposta di \ ma- nuele all'ultimato dell'Austria „. In tale senso HiiI .ifò a Buoi la mattina del 2«i. Lo stesso giorno. 26. i nde all'HObner: " Banneville dichiara che il pas?:i lì Risorgimento Italiano, Anno L fascicolo 2. , pag. 906. Le mosse contradditorie e disordinate del Giulay diedero tempo ai due eserciti alleati di congiungersi. Giulay, dopo Magenta, abbandonò la direzione della guerra. Minute e accurate notizie della guerra del '.59 va raccogliendo il rag. Labadini di Milano, oltre a quelle che si trovano nei libri di arte militare. Cacour MtraUga 287 E l'altro fatto prov^àdenziale fu il Giulay, n cui il popolo milanese beff- -> c. >)• Da ciò una spe- cie di timidezza che paralizzò e sconcertò il nemico per tutta quella CcUU{)agna. Il Giulay, memore della campagna del 1796, si pensò che iti ({liei '59 si sarebbe ripetuta la mossa istcssa: srondore col Po, varcarlo a Piacenza. Qui fu il bellissimo inganno, e ne va lode a Napoleone III. Di questo stato di cose, di cui, con Io svanito pericolo^ «vanita ò la memoria; e di altra cosa h Monnco. Trattato di Rtoria mOUétrt, fàg. 988. ») O],, ,il. Ili TlftL' 17. -no IL loóy ancora, di cui è difficile il parlare, specialmeiitò in succinto, sono preziosa test' ' nza que:t>, ». u..,v>,w. oltre ohe presidente del Consiglio e n^inistro tle- gli esteri e dell'interno, reggeva aa(£e il mini- stero della g^rra e della marina. Tr< taioglil Ed era quello che si diceva anci Eppure alla ammirabile sua attività e poten/. t organizzatrice molto è dovuto se, in tanta disoi ganizzazioue, furono potuti rapidamente trasp n tare i soldati francesi per via ferrata da Su.': a Torino e ad Alessandria. *) La famosa mo.-j •. najwleonica che trasportò l'esercito per ferrovi.i da Alessandria a Novara fu agevolata dal Ca vour, si per i trasporti, sì per il servizio di in tendenza. Ridendo disse al conte Oldofredi, di rettore dei servizi ferroviari: Se accadono inciain pi, vi faccio tagliare la testa. Al Paris, intendent e generale di Francia, che chiedeva 100000 ra/io ni per averne 50000, ne fece trovare 120000 al giorno fissato. He coquin de Cavourl^) Ala veniamo alle lettere. 30 aprile (a Ponza di San Martino, Genova): «Sarebbe curioso che i primi colpi di fucile si avessero a scambiare tra gli sbirri estensi a i no- >) La via ferrata pel Cenisio finiva a Saint-Jean-de-MauricDu< . BiprendeTa poi a Susa. Framezzo erano parec-h-" '•"■■'■ • • ".■-<: di cammino in montagna. -j n. II AI. A. TI, pag. 404. / Cavour ftratfija 180 Stri doganieri. Se vincono questi, daremo a Ca- stclborgo (dirothirc frcnoralc dello gabelle) il ba- 5 Ione di maresciallo. Ad ogni modo non bisogna, lasciarci battere.... Credo che si esagerino le me- no il« i clericali. Bisogna sorvegliarli, non par- s ^'iai.arli.... Oggi si firmerà il decreto di am- ili >tia per tutti i reati ix>litici. Tuonando il cojmonc, bisogna tirare un velo sul pn.ssato.... Fato nsse^'iuiii- ' illa venuta prossima del- l'Imp«- rat on*. I. iiiU' che sia c;ild.'iin.'»at<» accolto >. 5 • (al La Manaura): do non parlo di opc; ^.w di guerra: sultAnto io credo che al- l'ora che corre, non si potrebbe senza vergogna lasciare il aemico marciare su Torino senza ten- tare di fer -' Ho spedito Tordine di fare arrestaxe il le X (perchè X, senatore Ghia- ia?). Noi arresteremo ugualmente il suo socio, il titolar»? Y (perchè Y?). Si dice che ciò non è legale: tu rispondi che io (diciamolo in* francese) que J6 m'en fiche». 5 maggio (allo stesso): e L'Imperatore arriverò probabilmente a Genova giovedì sera o venerò: al mattiuo. Xigra ed Arese partono di qui pci* inoontrarlo. Se il Re non gli va incontro, biso- u^ir.i (Ito spedisca a Genova un generale o un al- tro uiticiale di stato maggiore. Ti prego di lì- cordarglielo». *) 15 maggio (allo stesso): e La Rocca*) mi aunun- *) TI si Tteò in inoofaito la mattina ): "Le relazioni tra il Re e il Cavour, come è noto (^ veramente mi pare poco noto), non furono mai cordiali ' ' naio in poi.... ri ' * .lif- ficilissinie „. Dopo ' i e ncU' ultim< iir non mutarono di tii-j-i»-. » .i -Il rìilxasso e la Dora. Io preferisco di .•'Ito ì.t ] riii.i alternativa. Se l'attacco è ben -ondotto, deve riuscire. Con un forte corpo d'e- ro a Casale, saremmo sicuri di poterci ri- W..ÌO in caao di insuccesso. Un mcz7X) successo >a5terebbc a fermare gli Austriaci, trascinare i francesi; e Torino è salva. Io credo mio dovere *i queste idee. Se esse non sono ac- He, fammelo sapere con un dispaccio citato, affinchè io possa prendere le mie dispo- sizioni per il tra.sporto del governo a Genova. Terto io non perderò per questo il mio coraggio; :ia per tutta la vita, io mi dorrò che il Re, yo- I endo disporre liberaznente di 70 000 uomini, nul- ' ' o per salvare la capitale. I To- 1 perdoaeraniko mai. (Tu non liai !*reso con te il cifrario. £ necessario che ne ab- :o uno per noi soli....)» Ed avverte :i! !.. lion sono tattico; ma ho a^sai di buon .. * di energia per eseguire gli ordini che tu mi I>otrai trasmettere». <*-n è da notare che la preoccupazione per un ■^» di mano su Torino, non era un'idea fissa lei Cavour, ma rispondeva ad un vero e mas- rioolo. . uo geniale di Canrobert di lasciare indi- fesa la capitale per meglio difenderla, riusci a 1 ia, grasie anche all'effetto ohe tale mos- u* i»uu.ioe generò nell'animo incerto del Ginijiv. 293 IL 1869 e Quale scupresa — esclama il De La Qorge con un seutimento che è troppo doloroso definire — e quale successo morale se l'Austria avesse po- tuto strappare a Vittorio Emanuele la paoe, domandando soltanto il congedo del grande agitatore Cavour. (Il tpestifero Camillo di Cavour»; la ebete noire» della diplomazia). >) Avrebbe datato da Torino un editto di pacifica- zione e di libertà (I) per l'Italia: avrebbe fatto, essendo vittoriosa, tutte le concessioni ( I) che es- sa non poteva fare primia di tirare la spada dal fodero, ed avrebbe così disarmata la Francia, prima ancora di combattere ». >) Ma «conviene rendere a Napoleone III questa giustizia — prosegue il De La Gorge, pare, con amarezza — che da lunga data egli aveva pre- veduto questo pericolo, di un colpo di mano su Torino ». Molte jnemorie, conservate negli archivi, at- testano questa sua vigilanza. «Affrettatevi — te- legrafava a Canrobert — non perdete un minu- to, sacrificate tutto alla rapidità del cammino». 18 maggio (allo stesso): «La Rocca mi ha scritto ^na l.ettera poco conveniente, rispetto ai bollettini. Gli ho risposto da ministro.... (soliti puntini. Peccato I). Abbiamo imposto silenzio ai giornali. Il paese si rassegna alla censura: ma a patto che gli si dica qualche cosa Ti prego quindi di combinare che ci vengano trasmesse ») Chiala, vi, pagg. 416, 429. s; Op. cit., m, pag. 12. Ca9omr »&at«ga S96 quelle notizie, le quali, benché prive di reale im- portanza, piacciono al pubblico >. > ) Maggio (al conte Giulini): cVadii, caro Giù- lini, in Lombardia e fttcoia che al nostro appros- simarsi sorga Milano e le vicine città in modo re alla Francia, airiniperatore. alì'Eu- .:uno degni di ritornare nazione libera, fort-, i:; ìij-ondente. Andate, e che Dio benedica i forti vostri propositi. Arrivederci dopo la vit- toria a Milano, ove stringeremo il patto d'unio- ne, che i nemici intemi ed esterni d'Italia non potranno rompere mait. ~ iggio (al La Marmerà): tPare che Gari- zi sia egregiamente battuto. Penso che il Re distribuirà al suo corpo medaglie e rìcom- I* nsc. Il Re lo deve e per ragioni politiche e per • ■ ■"• '• ••" tiria^ poiché è lui che gli ha dato wgersi avanti, senza preoccuparsi (ioi movimenti dell'esercito. Avevo supplicato il Qii.-irtier Generale di mandarmi la relazione di >oQnaz sul fatto di Montebello; g^iacché finora l'Europa non ne oonosoe i particolari che sulle p'Ia/ioni fi-ancesi. Non ne fece niente: non so .so ]i«r farmi dispetto. Mi rassegnerei volentieri a questo cattivo procedere, se non costituisse una vera pmunnoiMia. di rispetto al pubblico e all'eser- cito». *) } Noi dnafoe, eoas si sews?» fi Della B4Me«, quelle Wh tiiie eke |— aio deuegfiere le ofensieai aUUteri. CM è eeel -rrio eke te spiefuioMè iMtUet Per quanto riguarda il eenrisio della etaaipe, è aetefole •ji' «to pttMO: "L'Impentorc lu fatto d^n ». rari ^orna* 204 IL 1869 4 giugno (allo stesso): eli silenzio del campo mi pone in una condizione insopportabile. Io non posso rimanere esposto ai giusti rimproveri di centinaia di famiglie che implorano come una grazia l'avere notizie dei parenti che sanno essere stati esposti ^i più gravi pericoli. Nelle attuali contingenze, in vista delle conseguenze che una crisi ministeriale potrebbe avere, mi rassegno al rimanere privo di notizie particolari sulle cose della guerra; e di essere informato, io presiden- te del Consiglio, come qualunque individuo del colto pubblico al quale si comunica le notizie che tutti conoscono. Ma quello a cui non potrei adattarmi si è di non potere adempiere al dovere che mi incombe come reggente il ministero della guerra rispetto alle famiglie di quei prodi che espongono per la patria la vita sul campo. Io sono tenuto in coscienza a non lasciarli durare per giorni ed intere settimane fra le angoscic dell'incertezza. Se per un puntiglio contro di me, si vuole punire questi infelici, debbo ritirarmi. Non abbandonerò il gabinetto, ma pregherò il Re e te di cercare chi sia più accetto di me al campo.... In questi tempi metto sotto i piedi ogni qualunque suscettibilità personale. Solo de- sidero che la mia persona non sia d'ostacolo al buon andamento del servizio». listi dei sairnrondotti. É neoeflMtrìo che questi siano ricono- sciuti e r i.ille nostre autorità militari. Non possiamo jici giorni! I '<■ più severi della Francia. Se concedessimo loro minori laeililà, essi susciterebbero contro di noi l'opinione pubblica in Europa, ciò che nuocerebbe assai all'esito finale della lotta. . Cavour rtratr/n yDJ Egli si vuole immischiare — disse dopo Ma- genta il Re ai suoi ufficiali — in ciò ohe non deve ». ») E per ultimo è pur necessario riportare qual- che passo di questa lettera del Cavour, in data 8 giugni^ al Principe Napoleone, andato in To- * scana, oome fu detto e oome diremo, con gli in- tenti che variamente gli possono essere attri- buiti Nel fatto egli si occupò specialmente di organizzare quel piccolo esercito che poi, dopo Solferino, condusse in Lombardia. Jye intemperanze villane di questo principe con- tro i Toscani, sono consegnate, fra l'altro, nel diario di un aiutante dì S. M., raccolto dal Ca- stelli nei suoi e Ricordi».') Scrive dunque il Ca- vour in risposta e giustifìcazione : e Buoncompa- gni non potendo parlare di fusione (col Piemon- te) ; non avendo alcun candidato ( I) al tropo gran- ducale da mettere avanti, era ridotto ad appog- giarsi sopra idee negative. Le sole due parti del suo programana, nette e precise, l'esclusione del- la casa di Lorena e la guerra, non erano di tal tiatiira da appassionare i Toscani. Tre secoli di governo corruttore non li hanno disposti ai sa- crifici che la guerra esige. Essi detestano gli <' OnAia, VI, Mg. 400. ' Pntr. 890. "Chi era poi bnitale ad noi diiooni era il I ru i\^ Napoleone: non Mpera frea»re la ma rabbia ooatro i I < ulafraaoa) gli Ibeeva oualehe owor- raxioM wehwava; Noa aoBo più gU noaiai di niaiaa aatica, Mao aaa rana imbaMlardit« ,. 896 n. 1869 - . Austrìaci senza avere un gusto ben deciso per l'impiego dei mezzi che conviene adoperare per iscacciarli. Quanto alla casa di Lorena, essi non la detestano: essi la disprezzano. Ora il disprez- zo non è un sentimento che possa fare grandi cose ». 1) 1) CaixLx, VI, p«g. 40B. XI. Napoleone al bivio. XL napoleone al bivio. Qui è opportuno ricordare che se per noi quella guerra era di giusto diritto, alla sua volta Tlm- peratore d'ÀUBtria chiamava a raccolta i popoH del Tiralo e del Voralberg per eia più giust^i delle cause per le quali siasi unquamai sguai- nata la spada»; 1) anche egli invocava l'aiuto di Diu, questo gran silenzioso ; e nel proclama del 28 era detto: e La corona che i mici antenati mi hanno trasmessa senza macchia, ha passato giorni molto infausti; ma la gloriosa storia del- la nostra pe4xia prova ohe spesso, quando le om- bre di una rivoluzione, che mette in pericolo i più preziosi beni dell'umanità, minacciavano di stendersi sull'Europa, la Provvidenza si è 8ervit«^ della spada dell'Austria, i cui lampi hanno dis- 8Ì{>.'ito qiir-lle tenebre. Siamo di nuovo alla vi- gilia «l'ulta
  • ! I ' Kfli h« deiraftosia, t^ yuMwwlo » uo «Ito gnulo l'urte di c«Mt|*inirea« 809 IL 1869 mcuto imperialista è grande, veemente, irresi- stibile; più forte sarà un giorno la reazione in senso inverso » ; e Luigi Napoleone che si prepara all'Impero, è così definito: «L'uomo di Dio ov- vero l'uomo dello Spirito maligno. Noi non sap- piamo ancora con quale dei due nomi chiamarlo : mi sembra bene, tuttavia, lasciarne traccia in archivio».*) Sarebbe — dunque — stato «l'uomo ui i>io», contribuendo a fare davvero il Colpo di Stato Eu- ropeo; ma in tale caso sarebbe stato per Cavour (e parve all'Orsini) l'uomjo dello Spirito maligno; e viceversa. Più vere, forse, le parole melanconiche, già ri- ferite, del buon abate Bertrand al giovanetto ere- de: «Ma, povero fanciullo I Che la fortuna non gli giuochi un simile tiro (di arrivare al pote- re)! Sia un galantuomo anzitutto, come vuole suo padre ». ») Ma in tale caso non ci sarebbe più quello splendido romanzo che è la storia In inezzo a tale contrasto si iniziava la guer- ra; al quale contrasto è da aggiungere lo stato latente di dissidio tra Napoleone e Cavour. Que- sti, con Rina puntualità ammirevole, gli aveva fat- to trovare, al suo arrivo in Italia, già scoppiato il moto di ribellione e di annessione in Roma- >) EOvna, I, pag. 77. *ì Stéfam-Fol, op. cit., pag. 101. S^foUom» ai hM» 808 gna, Modena, Parma) Firenze. Alla sua volta l'Ini- P«Tatore, mandando il cugino Napoleone in To- scana, con parte deircsercito, sembrava al Ca- vour volesse dare principio al suo progetto di restaurazione bonapartista. ' ' -ta va a fore adesso quei signore nella ssima Toscana? e L'on oonuncnce à mDu- tier le bout de l'oreille». ^) Non era neoessario che il Mazzini richiamasse ni Cavour la storia amara di Ludovico il Moro. ') Citr^e ad Alessandria e sottopose all'Imperatora quale vespaio si sarebbe destato in Europa al- l'annuncio di un'occupazione francese in Tosca- na. Itaccouta il Chiala che l'accoglienza dcll'Im,- peratore fu frcdcUL, la risposta impacciata, e dis- se che l'anelata del principe Napoleone in To- scana era dctcrmiuata da ragioni militari, di cui egli solo era giudice; che non aveva iuteuzione di mettere un principe francese su di un trono del l'Italia centrale e che al Insogno avrebbe ras- Mcurato le potenze.*) Certo il vespaio fa desto. L' e Ostrdeutsche ^ Cium, ni, cLxxni. '• "Voi tra!it«* deUbeniUin(>nti> i i i»«rte (lì I.ii'IovK >i il Mitro, chiftoiAndo Ut: :i qua Mii»cr»ti \ tniniittru - lU L ■,.. ,1. I , ,,. 804 IL 1859 Post», nella txaduzioQc della «Gazzetta ufficuvle di Milano», dice: «Diritto dei popoli? Illusi. Di- ritto di violenza. Vedetelo. ]!!coo senza dicliia- razioue di guerra, e senza guerra, strappata Mu.s- sa al duca di Modena verso il quale fino all'ul- timo istante si finsero sentimenti di buon vi- cinato. Ciò signi tica cominciare col poco per fi- nire col molto. Un secondo atto di violenza fran- co-picjnontese ci si annunzia da Firenze, Mercè un decreto del Comitato sardo, i) le truppe to- scane vennero sottoposte al comando del prin- cipe Napoleone. Getta una luce cai '-a sul trono napoleonico la circostanza cLl j., . j prin- cipe, il quale tanto avvicina esso trono, assuma il comando di truppe che mancarono al giuramen- to verso il loro Sovrano. £ questa la gloria na- poleonica! La Toscana, non in guerra colla Sar- degna, nò colla Francia, voleva tenersi neutrale. Ma una sommossa militare, suscitata dalla Sar- degna, cacciò il gran Duca. Egli, però, non ha abdicato. Ma che ne importa ai franco-sardi ? Es- si trattano la Toscana come paese di conquista: solo che finora non sembrano d'accordo a chi debba appartenere. 3iiuili fatti accelereranno un rigoroso intervento dell'Europa, particolarmente della Prussia!» >) n 22 maggio fu Ietto ai soldati toscani Tordi r o di Vittorio Emanuele: "Stimandovi degni di • n fianco dei Taloro§i soldati di Francia, vi poniro sotto gli ordini del mio amatissimo genero il principe Napoleone, a cui sono dall'Imperatore dei francesi commesse importanti operazioni militari. Ubbiditelo come ubbidireste a me stesso .. yapoUcHt ai bÌ9to 80Ù Ma forse perchè questo catechismo, proven-sn.- do da fonte austriaca, poteva essere rifiutato, co-ì ' '' tu» accoglie e stampa quel fot l Mazzini «A Luigi Bona- l>;it t> , dettato in Londra in lingua francese, nel- l'a; ^, riprodotto in inglese nel «Mor- niii. kw.^ ...ocr>, e dal Saffi voltato in italiano \~! " toro del popo- lo i-. i L'iuiuaiiij. - dice li -M . — chiede real- tà non fantasmi, non fatti bastardi, arbitrarii, anormali ohe haa la vita di un'ora. A tai fatti • ssa guard.'. — -'-sa per meraviglia, un istante; |K)i pasba i> io all'importuna apparizione il ritorno nel nulla. £ voi signore vi affrettate a tal termine. Voi potete viver* anni». Ora, se fosse lecita alcuna «i ^ , si po- trebbe osservare, come questo nostro Grande, e a cui la tirannide aveva tolto la patria» (al- lora si riteneva sommo male essere senza pa- tria), nel tratteggiare la malvagità senza con- fino di Luigi Napoleone, ricorra spesso a ter- iii'mi di soguo e p< ' ' ' 'a tpal- iiUv ombra di San lego di ogni missione, come la citazione dello Shakespea- re in : E vita in voi? o siete cosa '•he uòmo i^ssa interrogare? Ma .narebbo dinx». mina troppo sottile; e nulla ne importa alla «Gazzetta ufficiale»; le importa invece avvertii', per bocca del Mazzini , che menzogna e frnd è ogni operazione di Napoleone III, anche per ciò che riguai'da la guerra d'Italia; che egli può «sognare conquiste; ardirle, arrischiarle uvii mai». Jlla dopo Cu»; 1 n\jixi\j no. ii,iv»iÌAj, iitj, .11 i i-n^u un < ', La vinto a Magenta, cioè cinque giorni dopo quel- la riproduzione mazziniano, il dì sei di giugno, il linguaggio del giornale è mutato. Si inneggi.! all'invincibile, al glorioso, al magnanimo Napo- leone III; e poiché, come dice il Carducci, ov. albeggi la notte d'Italia tu « vedi ivi il poeta », si stampano versi di così atroce arte: Han vinto 1 i mille il fremito Della vittoria ban dato. Due condottieri due fulmini, Stretto han d'Italia il lato, E Tavoltoio d'Attila Morde i suoi duci al suol. In quel giorno era avvenuto lo sgombero da Milano degli Austriaci e dalla testata del gior- nale, «al livello dèi nuovi bisogni» era caduta infatti l'aquila. A Ma^jtutit Napoleone dottò quel ijroclama «Agli Italiani», che oggi è cimelio di museo: si conserva infatti l'originale, fiore ingiallito .di il- liiirione presto mort^a, all'Ambrosiana di Milano. KapoUone al bino 807 Allora apparve oosa viva, ed io ricordo qualche ; atriotta del mio paese, mezzo addormentato per ro, che Io bortk)tta aucora qua e là a j„ Esso è datato da Milano, il di 8; ma : u scritto a Magenta, cioè caldi ancora i cumuli :i quelli che morirono per una causa ignota a •»ro al grido: Viva l'Imperatore! Il primo det- ito, a carattere forte e sicuro, è scancellato a ^ran tratti, e fra le interlinee corrono in iscriU ura più esile, le correzioni di pugno di Napo> '•rit-: ma prima ancora che il tempo lo scolo- ri».-»-, il foglio reca le impronte di un atto vio- lalcito e gettato. Quelle parole ave- v..^....,cre polemico, con fiera allusione al mi: ma o la generosità sdegnasse contrasti ••rsonali; ovvero non le reputasse opportune, fu- •n<> i. It< Visse sono le segmenti: ciò sono il •MI" .i::ii' o più sincero e più disinteressato». > Iliadi dice: «Non lasciate sfuggire l'occasiono f< i di ricuperare la vostra in- di, .- ...— V. V.. .....a tenerla, perchè se voi la la- sciate sfuggire, secoli passeranno ancora »enza !ie voi la possiate ritrovare, ed il solo modo di nqT:i-t.ir ' ^ ' ^a è di fare cau- •pprimono, di or- knizzarvi militarmente dovunque: e Trattate co- lO traditori della patria» tutti quelli che. vo- iono creare delle dissensioni, e non cercate di liere oggi le questioni politiche ohe solo l'av- • può risolvere ■ t»"*'n tì'*'i''iale t^iiv'w* viiwiiio^ituione reoÌ5a 808 u. 18M è stata sostituita dai noti perìodi : € I vostrì ne- mici, elle sono anche i miei, tentarono di sce- mare le generali simpatie dell'Europa per la vo- stra causa, dando a credere che io facevo la guer- ra per ambizione personale o per estendere il territorio della Francia....» No! e Se vi sono uomini che non comprendono il loro tempo, io non sono fra quelli. Nello stato luminoso dell'opinione publica, oggi si è più gran- di per l'influsso morale che si esercita, che per le sterili conquiste; e quest'influsso morale io lo ricerco con orgoglio contribuendo a rendere libera una delle più belle parti d'Europa. Io non vengo con un sistema preconcetto per spodestare i sovrani o per imporre la mia volontà. Il mio esercito non porrà alcun ostacolo alla libera ma- nifestazione dei vostri voti legittimi». Incitati gli Italiani a «mostrarsi degni» della «fortuna che loro si offre», termina con le famose paro- le: «Organizzatevi militarmente. Ricordatevi che j senza disciplina non v'è esercito; ed animati dal i sacro fuooo della patria, non siate oggi che sol- l dati: domani voi sarete cittadini liberi di un grande paese». Pur concedendo libertà di interpretazione, sta ■ il fatto che Napoleone non dice: «io vengo a liberarvi», ma dice «io contribuisco», e in relazione a questa parola è l'esortazione alle ar- mi per tutti gli Italiani; né ciò si deve conside- rare come espressione puramente retorica, e ne è prova questa lettera del Cavour, in data 27 giù- Sapolfone al hirio 806 gno, al Vigliani governatore della liombardia : < Nigra *) le ha comunicato l'aspro rimprovero che < l'Imperatore mi ha diretto. Esso è del tatto in- c giusto e privo di fondamento. Nullameno bi- c sogna tenerne conto, non per fare un atto di ; one la sera prima di andare a letto, ma ♦-—'•lo a calcolo come desiderio delle Imperatore. Questi vuole che la e condotta degli Italiani g^ustifìchi agli occhi del- <"" a la lacerazione dei trattati del 1815. « < :ie quindi mettere tutto in opera onde eia nostra oooperazione alla guerra riesca atti- \a]H fin gran copia». Questi e siamo disposti I ij^arli, ma più ancora a riceverli gratis». Il nono è faceto, ma sotto trema la prcoccupazio- ic; ed è evidente che al Vigliani non può il Ca- ••<"- scrivere come nella lettera da Parigi a La lora.*) >> n conte TXUp^ eoa deerato del 15 giugao er* stato iaoi- . I n-../ii„:. j: -^^gretarìo Mpo f^-- '- "• — 'f^M generale 'iriocie annes.> HI, pag. 97. - E. T. Moneta, u. laroreTole a > eqoo e daaideroM della Terità, scrìTe a Ma neU'entosiuao del Bomento, nella fede vveraM nel Tdora dei due eaereiti alleati, 'ammoaiaento eonlanuto nelle ttltime pa> bead dato un bel continKente, ma ^ - ùi eoa indipendensa ,. Voi. Il, l>4ff. 311 della bell'i, yntrrttl* ÌHmurr$nimi * In jmic« mèi ue0lo XIX. 810 n. 1869 Sta pure il fatto che nel proclama imperiale non è la frase, che poi fu volta in dileggio: «dal- l'Alpi airAdrìatioo ». Essa si legge invece nel pro- clama di Vittorio Emanuele ai Lombardi, datato posterìormentei cioè dal 9, dove è questo inosn- sante ma impegnativo periodo : « L'Imperatore dei Francesi, generoso nostro alleato, degno del no- me e del genio di Napoleone, facendosi duce del- l'eroico esercito di quella nazione, vuole libe- rare ritaliadalle Alpi all'Adriatico». Chi dettò il proclama di Vittorio Emanuele ? Non so; ma è facile il supporre. Napoleone nel proclama ai Francesi, datato dal- le Tuileries il 3 maggio, dice soltanto: «L'Au- stria ha condotto le cose a tale estremo, che ab- bisQ^a che essa domini sino alle Alpi, o che ritalia sia libera sino all'Adriatico. Ogni angolo di terra rimasto indipendente corre pericolo pel potere di lei ». Né con ciò intendeva impegnarsi. ^) In questo, che a me pare errore, cade pure il maggior storico del Secondo Impero, il De La Gorge. Dice: Napoleone dichiarava che l'Italia sarà libera sino all'Adriatico. Aggiunge: che il disordine non sarebbe punto fomentato nella penisola: che il potere del Santo Padre non sarebbe stato scosso. Conclude: tre predizioni che un a\'venire pros- simo doveva parimenti smentire. *) Più amaramente ancora: appena firmati i pre- >) Vedi nota a pag. 81S. ') De La Qoroe, op. cit, II, pag. 448. KajHìUone al bivio 811 iiMiiit.-ixi di Villaflnanoa noi ci dovemmo giustifi- care non in faccia ail'AuBtria, che avevamo bat- tiita> ma ia fàccia agli Italiani che noi abbiamo avuto il torto, il torto imperdonabile, di non af- francare d'un solo colpo. >) Meglio tornare al documento. Si ritenga il documento napoleonico sincero o no, sta il fatto che, così come suona, la guerra appare intr^iresa per un'idea, e THùbner può iu tal modo avere spiegazione del difficile proble- ma, perchè la Francia e a cherché querelle à l'Au- triche»:^) e poiché quel diplomatico era acuto ed ironico, ò lecito porgli in bocca la famosa escl.'unazione socratica: O mirabile uomo! Sincero o no, è evidente l'intenzione di sosti- tuirsi ad og^ altro nel difendere la libertà e i diritti dei popoli: causa rivoluzionaria t Ora si avverta come nel febbraio del '53, l'Hubner, udito U moto mazziniano in Milano, sospettando — a che non giunse la paura? — connivenze segrete col glande agitatore, scrive : f La sua politica al- l'interno, corno quella all'estero, è sempre stata quella di mangiare a due g^ppie: di parlare di rivoluzione ai rivoluzionari e di autoritarismo con gli uomini " ' .o: ma infine viene un giorno in cui l'iui 1 del linguaggio non basta più e bisogna prendere il suo pajrtito, a meno di espor- si a trovarsi per terra fra due sedie t. Ora il do- cumento dioe che egli ha preso partito; ma la rivuluzione, e per essa il Manini, a tutto è di- •> Dk La OuaoK, ni, puf. Ua. *) Htfnn, IT, p«g. 488. 81ÌI IL 186» spoeta fuorché ad offrirgli la sua sedia rìvoln- zionaria; e però l'uomo cadrà a terra lo stesso. Tale fu lo strano destino di quest'uomo meravi- glioso. Ha preso partito. Ma piacerà questo partito (li apostolo della Rivoluzione all'altro alleato d'I- talia, l'Imperatore deiroricnte, allo Czar? Non c'era pericolo che ammesso questo principio ri- voluzionario su di un punto, esso dovesse fare il giro d'Europa e passare per dove allo Czar non piaceva, per la Polonia, ad esempio ?*) Piace questo partito al Mazzini. S'emenda e dice: la guerra è un «fatto ini- ziatx)»; è «un fatto potcnt/c che crea nuovi do- '. ori e modifica essenzialmente la via da tener- si.... Possiamo deplorare l'intcn-ento imperiale, ma non possiamo dimenticare che l'Austria è l'e- terna nemica». Così il Mazzini nello scritto del 16 maggio «La guerra»; e «non perchè Bonapart»- lo ha detto, ma perchè l'onore e la salute della patria lo esigono — scrive il 1.° luglio, manife- stamente dopo aver avuto notizia del proclama — la cooperazione degli Italiani alla guerra de- ve essere tanta «da un capo all'altro d'Italia ;> che i centomila stranieri scesi in aiuto, paiano legione alleata dei ventisei milioni d'Italiani, an- 'i Vedi documento in Chiala, VI, pag. 728: "Il pri Gortschakoff aveva detto: Niente politica rivoluzionaria! amava l'Italia dove aveva a lungo dimorato nella sua giovi- nezza. Incaricato d' affari a Firenze, aveva visto la Toscana felice sotto il paterno governo granducale e del vecchio Fos- sombroni. La sola ombra a questo quadro era l'influsso perni- cioso, esercitato dall'Austria, ecc. „. yapoteont ai bivio 818 _._„. . roito liberatore».*) Sognatore in veri- tà, non ora soltanto Napoleone III ! il Mazzini — in pieno accordo col V ... w ,. w. .|... Àio — domanda la oooperazione de- gli Italiani ad uno scopo ben determinato, ben diverso da quello cosi indeterminato di Napo- leone; cioè al fine che «gli Italiani dal presen- te oonflitto facciano nsoire l'unità nazionale s. I ciambellani intanto alle Tuilcrìes, in pieno arcortlo con l'Impera trice, sono ben convinti che la Francia non può avere con l'Austria, potenza eminentemente conservatrice, «che un duello al primo sangue I*>) ' ' " "^nggia Voi. X, |MM^. 806-804. •«.896. 11 Walewski iri oppow^ I, , <'rimciò, ma per varie cauae, come il difetto di coordinazione tra i vari corpi, man- cò alla vittoria «(uel proseguimento da cui ri- sulta la nota sentenza, che grande generale non è quegli che vino»;, ma che sa trarre pari:ito dal- la vittoria. L'esercito austriaco, pur disordina- tamente rifugiato in Verona ed in Mantova, si ritrovò, dopo brevi giorni, aumentato ed aumen- tabile, in grado di sostenere battaglia ancora, la quale condizione di aumento non era, almeno per l'esercito francese. *) Tanto a Magimta quanto a Solferino, come spesso avviene in quel terribile giuoco che è la guerra, la vittoria toccò a quella delle due i)arti che meno commise di errori, errori che facil- mente nota lo scrittore di cose di guerra, mano- vrando documenti e carte ; ma che nel fatto, col- l'iraminenza del pericolo e del decidere, devono h Le froDtiere del Reno per timore d'invasione della Prussia, non potevano essere sguarnite. Magenta e Solferino 819 essere difficili ad evitare, se non sorregge, insie- ine alla fortuna, q- nialità intuitiva ed im.- jiassibilc di cui la .. ■ i>rovvedc, talvolta, i conduttori di eserciti. LcntA e ingombrante fu 1 avanzata; più ardi- — -' " ■■•'• -za, nei comandanti; incerte o rmaziooi su le mosse degli Au- striaci (deplorevole c«sa e tristamente significa- tiva), al quale difettx) convenne con tanto sangue supplire. Dett« queste cose, bisogna pur ricordare come nel nu> o che la guerra d'Italia fu pensiero strett. ^) All'Imperatore è dovuto il rapido, audace, oc- culto giramento per ferrovia di quasi tutto l'eser- cito da Alessandria a Novara, ^' '• •- ■' ! >• HCans. n, ifOg. 276: "Gli sriMunenu m innnu eoo moi- Ittu • rapicode proporeioni; ....i lavori ài mem si «segni- Mimo a peni e bocooni, coMegiMBSs ■atonie dola nMcaan di fòttdJ, ck« MB ti sono Moor» votati ckiodere al cono legiilativo : »a mi Mmbra anche rarrimr»- ■■•> '-flflooo dalle ueertene che Nfaaao aeUe alte ifere d<>l lafmsaitniii al BooL ^) La guerra d'Italia, act..u. ..^. corrispoadeato del Time* al cniopo frwBco earde. Ed. Perìn. Parli, me de Solferino, 1800, eas. i. (ObbtellJTa e oompleta oarrasione.) *i Qoeeto piaao «i dime ooaalfUato «Ullo itratega e etorico Bnrìfrcito Irancose jrmnde fu in qi ' per qualcbo tcmiK) dopo, l'in -«r- cito sardo, attribuita a > da varir n luronn poi dimenticate nel rajn i 'irli nrro- rivi però alcuni fatti che spieg^ano più nat mea del- l'esercito piemontese „. Il sijcrnor I accura- tissimo racroglitore dflle memorie intorno alla ;ciiiria del ■.')9, mi accerta che il ritardo provenne dall' iii-i.«:' nz.i di Mac-Mahon Mitffenta « Solferino 8S1 Circa alle ore 10 dei giorno 4 giugno, l'Inipc- ratore lanciò Novara in carrozza scoperta avvia n- ' >\ ponte di San Martino di Trecate >) per „ • personalmente le operazioni del valico del Ticino. (Manifestamente non era atteso un urto campale per quel giorno. Dalle informazioni ricevute si riteneva che gli Austriaci avessero bensì forte nerbo di truppe a Magenta-, ma la lo- ro posizione, per effetto del corpo di Mac-Mahon (il quale il di prima (3) aveva più al nord a Turbigo, valicato Ticino e Naviglio e s*era già felicemente scontrato con gli Austriaci a Ro- becchetto), non si credeva potesse sostenersi. Il g^sso dell'esercito austriaco ritenevasi an- cora concentrato a circa otto ore di marcia più al sud, cioè ad Abbiategrasso, in condizioni, quindi, difficili per prendere parte al combattimento. <) •fla^è !• due diTÌ«ioBÌ Fluiti é Darando doreMero ttguln ■M pfM«d«re U brigata Ducaen. Il Fanti contribuì poi eift* eaMMeate io fine della battaglia di Magenta. Vedi anche Ba- lASoonrr, I, pag. 186, ore £ee che il ritardo del Fkati fu "loo malgrado M. *> Detto anche ponte di Buffalora sul Ticino, da non confon- dere eoi ponte ononirao sul Nariglio. ') L'eeéwito austriaco ti trovara in unu acato di diipertions Ksee'a poco eome V' •• ■" " IX corpo era intorno a f ia. fuori della / Ila Bereguardo, il V e il in p ladiTlalont- ••• ■ «"-f-ii. «t... ..«-b- bero doruto co«ipi< ne- mica I»i«pM{Mli ]■ I il Il •■•TI».. «liUUti a cnrpo « l'4Mt»UiffHl •'■ per r improrrlaa marcia al di qu ' »lo alla Mta paxum. it nt$9. a ^^ ti. 1869 In quel giorno si doveva entrare per tutto l'e- sercito in terra lombarda. Al detto ponte di San Martino o Buffalora, sul Ticino, malamente mi- nato dagli Austriaci, sì che fu possibile riattarlo per il passaggio, erano sin dal mattino, con mol- to Stato Maggiore, circa 5000 fra granatieri e zuavi della Guardia imperiale, a cui doveva se- guire il corpo del maresciallo Canrobert» quelli che, per la sua tardigprada prudenza, per poco non compromise quella giornata, come l'altra di Solferino, ed era chiamato, fra quella gaia av- ventatezza francese, «la provvidenza delle fa- miglie ». Dorati dai ragg^ del sole si scorgono su le al- ture di fronte i queti paeselli lombardi: nell'av- vallamento del fiume, tra le evanescenti bosca- glie, corrono le verdi acque del Ticino. Qui si scatenerà la tempesta di morte finché non giun- ga la notte : il rombo se ne udrà sino a Milano : qui per molti anni, senza concime, sarà più ver- de la spiga, quando il silenzio ritornerà ancora. Nella lontananza, a destra e sinistra dellii strada, a mezza costa, due masse nere rivelavano (lei cannoni e la presenza del nemico. Cautamente varcato il fiume e vincendo piccole resistenze di avamposti, quella esigua schiera si appostò nella bassura del fiume, attendendo per del 3 Oiulay ebbe compiuto questo moTÌmento. Stabilito ad Ab- biategn^asso, il suo piano era di rimontare al nord e cogliere di fianco i franco-sardi in quel che movevano verso Milano. In tali condizioni non jioteva avvenire a Magenta che una batta- glia parziale. Tale essa fu, ma terribile. Magenta e A>1 ferino 8S8 aTannune Terso Torta del Naviglio, cioè verso Ma- genta, che a ]Uif£uIora fosse giunto Mac-Mahon, il quale^ snss^uito da tutto l'esercito sardo, e mosso da P '"Uo in due colonne, aveva as- sicurato Ì'I...^ :urc che sarebbe giunto a Buf- falora alle due e mezzo al più tardi e «pur non :iv«'iulo conoscenza ancora delle disposizioni del nemico, ') sto8se tranquillo sulle disposizioni che era per prendere». Dalla parte di Novara, da cui Ganrobert era atteso, silenziosa si stendeva la via; ma su le alture opposte gli ufficiali deirimx)eratord, sa- liti alle vedette, distinguono un grande, confuso, inatteso muoversi di masse nemiche. Attraverso ^ran .san^^ue si entrerà in terra lombarda? Len- ta, aiisio>a attesa. Quando giunse il tocco, ecco fu udito verso Buffalora lo scoppiettar dei fu- cili e Io squarcio del cannone. Mac-Mahon ar- rivava. Fu dato allora l'ordine di avanzare in coordinazione e in sostano di Mac-Mahon. La «-si^^ii.-i schiera mosse. Ed eoco^ solidamente ap- jnstati e non sospettati e crescenti, circa venti- cMK^uc mila Austriaci appaiono avvolgendo quel- l'eroico nerbo di granatieri e zuavi. Di contro il Navipiio, nV ile il Ticino. Il cannone di Mac- .M:ih<»i» «li _ i-o si tace.*) i< R4«««Aoi?irr, I, puff- 1^*3. lUe-Hsbott fu nominato mare* MtA. itiene che roo predpao merito tu \h\ io or«, v'è moltn dinoordantA. ' .fine- jiji non f»<»<> «i rfrò cfli maM». eÉTali«re Midaee • ir- li'1 incoio di e«ere (afliato ftwri, rSt|r dS4 II. 1B59 Questa fu la orisi della battaglia : queste, dalle 2 alle 4, le ore tragiche dell'Imperatore ; del lento macello di quello nienivigliosM» schiere, assalenti e assalite. Perduta che fosse quella posizione (scrive il corrispoudeute del «Times», pag. 37) «non vi aveva più speranza di ricuperarla più tardi o il dì vegnente, perchè il nemico avrebbe in quel mesuso ratlimato tutte le sue forze; e quan- to fosse disperata la situazione si chiarisce dal fatto che il generale Giulay, giunto in quel pun- to, annunziò per telegrafo la vittoria a Vienna '■>. Più tardi, di mano in mano che le avanguardie del corpo di Canrobert apparivano, erano sospin- te alla ^norte, con disperati richiami : affrettatevi, affrettatevi, rovesciate ogni ostacolo; vite uma- ne gettatevi in quel braciere di morte, affinchè la fiamma non si spenga: la Ghiardia sta per es- sere schiacciata; la giornata è perduta. Il generale Regnault manda all'Imperatore ») che non può più resistere. Invii rinforzi. «Non ho nessuno da mandargli, resista». Resiste. Accorre presso l'Imperatore l'aiutante di cam- jK) del generale Wirapffen: «Sire, il generale è oppresso non può più mantenersi ». « Si mantenga ». Un aiutante di campo del generale Picard ar- con altra colonna. Solo più tardi potè riprendere T attacco di Buffalora: quindi egli ed Espinasse mossero con meravigliosi assalti su Magenta. Quiri E. >sixionc». il passaggio. Appena potrò, manderò rinforzi ». !.«• *)re acorrrvaiio leiit*", sanizuiiiotJO. Sojio le quattro quando arrivarono finalmente Niel e Canrobert. Era tempo! Lo storico ufficiale della guerra, il Baz.mcourt, dice che il maresciallo Canrobert trovò l'Impera- tore, laddove d'era tenuto tutta la giornata, nel centro della battaglia, tra il ponte di Buffalora e il Naviglio, sempre calmo, sempre impassilnle, malirrado la gravità crescente della situazione. ili tse in verità impassibile, ma d*una impas- si I - può chiamarsi, a soelta, sangue fred- «lo .. . ..i>ore per l'immenso pericolo, per l'im- ]iari lotta ohe un attimo avrebbe potuto mutare in irreparabile sconfitta, e Non era in lui — di- ce quell'implacabile critico che è il De La Gor- ge — né mancanza di intelligenza, nò, sopra- tatto, debolezza d'animo: ma inesperienza di quella cosa terribile che si clii • guerra». •) Corto, comunque fosse, egli .-. ..:.^iJi nella re- sistenza^ Che cosa sarebbe stato della Guardia se avesse piegato, con il Ticino allo spalle? Che sar '^ di Mac-Mahon, tagliato fn»)ri d;. I j 1 odi suliltmi e tcrril>ili avvennero alla con- tili ■ ' ... .^ ^jQ^ 1^ verdi ai<^ , ^ '. vinta dai aol- 1) Op. ciU, 111. INIg. &i. 896 IL 1659 dati acoorrenti alla morte nel nome di lui, im- mobile; al g^do meraviglioso: Viva l'iraporato- rel Strana battaglia In cui i generali combatte- rono come soldati: ultimi cavalieri di Francia l Oler, Espinasse, Mac-Mahon, Mellinet, Wimpffen combattenti fra i soldati come se la battaglia fosse stata una gioia suprema della vita. E la cie- ca morte passava e dove la sua mano r — '■—-a e sfiorò, al furore del meraviglioso impe; ituì ella la rigidezza pallida del suo sembiante. *) Ora tuona da Marcallo il cannone di Mac- Mahon. Dopo tre ore di combattimento s'era im- padronito di Buffalora. Precipitano egli ed Espi- nasse combattendo sempre. Tramonta il sole. È lo steeple-chase orrendo di Mac-Mahon e di Espinasse: la corsa feroce al campanile di Ma- genta. * Era comi'ini.i \iiujria, o al clom.iui i;i ixxita- glia sareblx si.iia, ripresa?*) 1 vivi s'addormsn- '> Cler prende con sé qualche compafimia: dispare per ricon- quistare il terreno perduto al di là del Ponte Nuovo sul Navi- glio tra il fumo della fucilata. Ma presto le sue colonne piegano. Si distingue un cavallo senza cavaliere che galoppa fra le file scompigliate e viene ad abbattersi sul pontp. È la puledra di Cleri esclama Mellinet Nel tempo stesso > '^ge il suo ufficiale d'ordinanza, Tortel. Dice: Cler fu :!;i i sol- dati. Mentre parla, un proiettile stende lui pure m tirolesi. Sfon- date questa porta, miei bravi I È steso morto da una fucilata. *i Gli scrittori di cose militari appuntano tanto il mancato ins^uimeuto d^U alleati, quanto il ritirarsi del Giulay, il MàftmU • Sol f •rimo Wl tarono presao i morti. lu un umile albergo, al poDte di San Martino, un uomo vegliò. L'Impe- ratore. L'esercito arrivava infine ; se no udiva nel- la notte il lento iuoessante passaggio; il mono- tono urtarsi dei bariletti e dei bossoli della fan- teria ohe raggiungeva i bivacchi. Ricalcando i costumi del primo Impero, volle Xa|K>leone, nella sua sosta in Magenta, premiare Mac-Mahon sul campo di battaglia; e nella più liinpa sosta in Milano furono accoglienze deli- ranti, fra cui il Bazancourt ricorda lui, l'Impe- ratore, riconosciuto, fermato, baciati i fornimenti .il .le donne uscenti affinchè benedicesse i i., ... fPer la prima volta io vidi commosse le uii>tcriosc, impenetrabili sembianze dell'Impe- ratore, il quale sarebbe stato più che uomo, se fosse rima.sto in quel momento impassibile », scri- ve il corrisjiondente del e Times» (pag. 52). Fra i festeggiamenti fioriti vi fu anche una rappre- quale avesdo isutti due corpi d'araiAta, poteTa frABCMoeato rikaoTAre k battaglia il di iirgucnt«. Il Giulaj acrive che coai iBt«ad«va di lare, ma che areado inteso come " le truppe del primo e del ■ecoado eorvo d'armala, le quali più areraou Mof- ferto del prioM» BMalto del aemico, « erano ritirate indietro.... or! 'irata,. Qri * -tirarti indietro „. il l«ro mine- r.> per pori < la (oggi Magenta) a Milano, ' >uuilo teri.w... ... lu gforao di vM"ir -i."" ^mr!.- iraiMM che oombattè ia quei ... uò cIm riguarte ìUhiao. ricopau.:. . :ì m .^ •ha* poUkMfaM M rigaor AMaao Labadial, Milano t atcvnt HtAmnii iel Mimraìmemlo Ualiano. 838 IL Id-O» k scntazioae di gala olla Scala, giaccfaò T te e Polioinia raramente mancaron<) ai no li e nefasti. Potè intanto l'esercito austriaco, come se una voce di aspirazione lo richianiasse, ritrar- si, concentrarsi dalle Legazioni e dalle Marcile lontane; e il villano che ronca su le Alpi, vide altri armati accorrere dal cuore deirimpero e. con essi l'Imperatore tedesco. Doloroso ricorre alla memoria il rim[)rovero di Carlo Cattaneo per la troppa dimora di Carlo Alberto in Milano del *48, e laconsigliativ e mancata in i- pagne e dei borghi, onde K.t ,, io con le forche, potè come serpe ferita, ricoverarsi fra le fortezze del Quadrilatero. In mezzo a tanti contrasti con sé stesso, oon gli uomini, con le cose, riprendeva Napoleone la faticosa avanzata. Varcata è l'Adda, l'Oglio, il Chiese; presso è il lago di Garda: ogni luogo ricorda il nome e la gloria del giovane conqui- statore, che all'albeggiare della nuova età, per quivi passò fulminando. Il pallido erede che si innebriò di quel nome, è già verso il declinar del- la vita. Nel torrido estenuante estate, con le gre- vi aquile, per la meravigliata campagna, ricalca quell'orme. Dove sono le meravigliose pingui terre che il giovaae conquistatore avea sessa ntatrt? anni pri- ma additato al di là d*^lle Alpi ai suoi guerrieri laceri e scalzi? Miagemta « Solferino 3S9 ( >r:i l'erede paAsa per terre, già depauperate dal> 1. Miisìzioni del nemico; cattivo o M,.. . aiento dei suoi, che moriranno al grido: Vi\'a l'Imperatore I Un male terribile che non si osa uoniinaxe, serpeggia già per la file: il tifo.») ( oitio più l'esercito procede, più il suolo si fa .inlcnt- sQtto i piedi; come più il nemico dispa- re. {Hi cf >'■ • il presentimento di una bi ' "i iuiiucu^a. 3iu del luogo e del modo non ri certezza o notizia. Quel delìb3rato fuggire, ab* bondoaando le difese e lasciando liberi i passi, induceva a pensare ad un piano di guerra lunga- mente maturato, quello cioè di attrarre i Fran- cesi in luogo aperto, dove ogni disuguaglianza del suolo foasc: nota e la cavalleria, bella e na- turai forza drl l'Austria, potesse spiegare tuttD l'impeto della sua virtù bellica. Si pensò al ^ano che si stende oltre Monteohiari; quand'ccco giun- se nuova che rt.scrcito uemioo si era ritirato ol- tre il Chiese. Tiirve allora che il terreno fira il Chiese e il Mincio sarebbe stato il luogo prescelto dall'Austria per il gran duello; ma ecco giunse nuova che il nemico aveva valicato anche il Min- cio: e ciò fu il di 21 di giugno. Conveniva, dun- Vi Duem di Polenta ehlMOATABO I mAà^tì per dilenio I'Ib- tendeste «aerale. Al principio di laclio enao aesu oepedali 9ò 000 iafeml e feriti (Onwo. SloMifcfiM wt*iko/i In eoBSOtasiOM STA ■•>*.-K l'I "' III. |>.i^'. laV) Circa 9000 maeMi Borirono di mar UtllA. 880 IL 1869 que, passare il Mìdcìo e andare a cercare il ne- mico sotto la difesa di quei forti ove l'Austria, come feudataria delle antiche età, s'era asserra- gliata e munita dal tempo che divenne signora d'Italia? In tale stato d'incertezza, avanzava l'e- sercito alleato, la notte del 24 di giugno, che per fruire del refrigerio della frescura notturna, aveva tolto i bivacchi, come di poche ore fu varcata la metà della notte. Esso formava co- me un grand'arco di cerchio che doveva, secondo lo stabilito < ' /-lire verso il Mincio con le due al . _ . rcito italico era l'ala estrema settentrionale. Esso, attraverso le alt uro di San Martino, si stabilirà a Pozzolengo. Il ge- nerale Niel, che forma l'ala estrema meridionale, si stabilirà a Guidizzolo. Così tutto il grand'aroo d'uomini e d'armi è di concerto in moto. Centro di quell'arco, con la sua Guardia, a Mon- techiarì, sta rimp>eratore. Moverà ultimo e si sta- bilirà a Solferino. Sono le ore cinque del giorno: in quell'ora, nella chiesetta di Montechiari, si rendevano gli ultimi onori al generale De Cotte. Nella notte dal 22 al 23, mentre leggeva i di- spacci dell'Imperatore, un colpo apoplettico lo aveva fulminato. Ed ecco a Montechiari, a briglia sciolta, prs- cipitare, sordidi di polvere due cavalieri. Sono i mossi di Baraguay-d'HilIiers e di Mac-Mahon. Annunciano all'Imperatore che nella uott4i, la bat- taglia s'era impegnata fra le avanguardie; e co- pae al sollevarsi delle nebbie mattutiuc si vedesse il biancheggiare di grandi xnaase neniiohe su le alture di cont-^ \-.- vano gli AuBtriaci rivalicatD il Miucio .' Allora la strada che da Monteohiarì conduca a Ca> ■ •. fu coperta da un nuvolo di pol- vere. \ , cavalli, cavalieri correvano dispe- ratamente. Cast l'elione è su di una altura; chiaro era il giorno ed anche allora, come a Magenta, all'Im- IH'ratore, dalFalto, si affacciò l'aurora flammea ilella battaglia, improvvisa, grandissima, certa. Molti del seguito esitavano a credere che il nemi- co in massa avesse ripassato il Mincio. Ma l'im- peratore non condivise un solo istante quest'illu- sione ostinata: No! — disse — è la battaglia. *) Mal certa solo la vittoria, ohe essi al piano, in ordine di cammino; quelli su le alture, in for- midalnle luogo, in numero immenso. L'esercito auBtrìaco, per nuovo oonsiglio del marescialla Hesa, comandante supremo, aveva il 23, ad in- saputa dei Francesi, rivalicato il Mincio, e in piena forza e numero, ripigliava l'offensiva, mo- vendo verso il Chiese. Da quelle alture, onde a giorno fatto, dovevano muovere secondo il loro ordine di cammino, Francesco Giuseppe aveva ad- •litaia la meta; una guglia marmorea che non si >» Campagne d'Italir. r«><1ifé0 M 4épAt de la ffu^rre, pai;. 490> ' Ijk battaffUa mrebb" -• '•» «>""«'»«ii«- i.r.....,i..ri.. i...r..».À i. vj. ifilia «lei n«OMMcia«n «j)'iiriiin'-tii<> la eoaoent . . .. : .\_.. .. ., ,.. ^• 1 itdU. rinp^ratore preparò aliMM t aMssi per aa> M i Mieoeaio. « De La Qoaai, op. cìL. UJ, pag. 88. 882 IL 1859 'va, ancorché api i, dove la madre « listo sorride ncii., __ ^ j : Milano. Ma da quei colli non scesero. Inconsci gli uni degli al- tri, su quelle alture compirono i due eserciti l'ab- braccio mostruoso come quello delle fiere orri- bili nella bolgia dantesca che si avvinghiano e si trasmutano in silenzioso spasimo, indi si separa- uo. Alla seni, trai, ma è dubl>iv .^. ^ay- piate condurre un regi;imento «. Mattnta « Solftrmo 888 11 miglior mezzo di assicurare la vittoria alle due ali estreme era di oooqui.stAro il contro. Questa fu lùioa scm)>Iioc a cui si fermò rimpe> tatare e da cui non devi«%. I^a posizione di Sol- ' t»ra la j *"'" uà volta sfon- ;iie8to c«M, iS gli Austria- ci sarebbero stati costretti a ripiegarsi con io due ali estreme. Ora noa soltanto la cosa, ma Tiirgenza della cosa apparve manifesta all'Impe- ratore, il quale stabilitosi suir altura del cosi detto monte Fenile, di fronte a Solferino, diresse la battaglia e parve come volesse emendare sé stesAO a Magenta. Non esitò sino dalle prime ore del mattino a far entrare in battaglia le riserve della sua <; : e il colle dei Cipressi e il ci- mitero di .^ .: ..uo ben sanno quale sforzo oc- corse perchè alle due ore del pomeriggio il tri- colore di Francia sventolasse dall'alto della Spia d'Italia, erta fra il nembo > >■- cannonate e il nembo del cielo. fin questa giornata — deve pur ammettere il De La Gorge — l'Imperatore fece buona figura e si espose molto decentemente per un capo di Stato, perchè egli era altrettanto valoroso che buono». *) Questo pronto e felice esito della battaglia centrale aiutò il Niel a sostenersi e vinoere al piano, dove gli Austriaci fecero il maggior sforzo, >) Om. eit., Uì, p^. 1(M e •indtnffs: 'QueaU itaHM bontà eb« flj 4ÌM0Tft oBor*. gli mw piA dotoroM U rittorì*. Er» !•> •toMo upettMolo «ti Mageata, na eoa utt'aatenaioBa ^ù TarU ad urrtbiia .. 834 ti. 1859 giacché pare fosse loro intento agig^rare da quel lato 1 Francesi e risospingerli poi al nord verso il Garda» Che se il maresciallo Canrobert^ meno linrio agli ordini Ricevuti e fornito di più pronto intuito, fosse accorso con tutte le sue forze in sostegno del Niel, ben maggiore sarebbe stata la vittoria. *) Terza parte di questa campale battaglia fu quel- la combattuta dall'ala settentrionale e che da noi si considera come battaglia a parte: San Mar- tino. £ una fra le pagine più belle del valore ita- lico e il motto semplice del Re : « Fioi, venta pie San Martin, se no gli Aleman a lu fan fé a nui antri», ha un ben profondo significato, tanto se esso si consideri sotto l'aspetto militare, cioè che conveniva scacciare di nemico dalle formidabili alture occupate e impedire che scendesse al pia- no e aggirasse; quanto se al motto ci piace at- tribuire più largo e ideale senso, che conveniva col sangue pagare quelle terre lombarde, strap- pate all'Austria. E furono, in verità, genero.sa- mente pagate nei ripetuti assalti di tutto qu3l giorno, finché al cadere di esso, ordinata l'azione in modo più simultaneo e più forte, potè l'al- tura di San Martino esser conquistata. Né si de- ve dimenticare che l'esercito italico si trovava ') Fra il Niel accusatore e il Canrobert s'accese poi coni aperto litigio che fu necessario l'intervento dell'Imperatore per aiij-ianarlo. Canrobert si stette alla difesa dalla parte di Man- tova, verso cui non era vero pericolo, e non inviò al Niel, che lo Aollecitava, se non timidi e staccati e male accetti rinforzi. Uagentm « Alf erimo 885 in ' ne di inferiorità, non solo per ciò che rigu .1 luc^o, ma anche rÌ8i>etto al niunera dei nemici. *) Si può anzi dire che la necessità di pagare comunque generosamente col sangue nostro, apparve oosl grande, che la storia obliò quanto vi fu di sconnessione e di difetto di im- perio*) in quelle azioni di guerra» I.ri spia d'Italia doveva appartenere all'Italia e appartenne; e Cavriana, nella casa stessa do- ve al mattino innalzava il vessillo Francesco Giu- seppe*, accoglieva ^'apoleone. Vittorio Emanuele attraverso l'olocausto eroico dì San Martino, era a PoKSolengo; e l'esercito austriaco, mutilato dal- ') Al mattino erano le sole tre dÌTÌsioni Mollard, Cucchiari, Durando. \jk dirisione Fanti, ehianata dall' Imperatore, ni stette •ino \er*-> le dne e mexio impegnata a coprire la Kini»ilfi e. in Inr/f imiiuri <* •int<) 886 II. 1869 l'orribile strage, ripassava il Miacio. In Verona si riDchiudeva Franoeoco Giuseppe. Ma clic riiumcnso sformo della volontà debili- tasse in Napoleone quei s<).st>egni di fede in cui Tanima posa, può sospettarsi; cou meraviglia sol- tanto di quelli i quali, per ecpnomia di bìotùd mentale, vivono nell'opinione che l'uomo sia com- posto di un solo, esclusivo metallo morale. Francia e Italia udranno il dì seguente la gran vittoria, ma il nuovo sole, purificato dalla tem- pesta, «rischiarerà uno fra i più orridi spettacoli di morte che all'imaginazione possa essere of- ferto ». *) h ExKico DoKAjiT, medico volontario. Un souvenir de Sol- ferino. NB. Le condizioni in cui si trovarono i feriti s- • ro incredibili se non fossero documente da textimoniii:)/ idi. Nel teatro di Desenzano giacevano più di 200 feriti: di ensi " non uno era stato medicato due giorni dopo la battaglia „. i poveri saldati facevano pietà, e più d'una volta ini ..ro le lagrime agli occhi „. "Non potei far colazione; avevo sempre quell'odore di carneficina e di sangue marcio fiotto il nasOn (Diario di un ufficiale d'ordinanza di S. M^ Castblu, op. cit., pagg. 310 e 311). xm. Yillafranca PAMUm. // ìaaa. 2t XTTI Vlll&fr Anca. Kra un'ora di aoue ui i _;• r:.' •'. ii lu""lio ,n;iii.l«> per le vie di Verona, -i n/ - un nt^i inq- uinate e folte di ufficiali, fu veduta passare ooa isa; ìp oortine abbas- , -r.-- I ---i le armi imperiali di Francia. La scortava un drappello d'ulani. La < e la maraviglia furono anche più vive '"■— iaJi di servizio al quartiere di Fran- ipe, quando, sostata quivi la vettu- ra, fu visto scenderne un ufficiale francese, ac- ompagoato dal suo aiutante di campo. Era il primo scudiero di Napoleone, il giovane onerale Fleury. *) Era partito da Valeggio sul- ri del tnuiionto. In serpa montava un trom- I delle ^uide con bandiera parlamentare. i incontrato gli avamposti austriaci a due • igiia da Verona e con tutte quelle cautele che ito • PMifi nel 1816: tt0u d«i CMdgUtri ed «Moutori ipo di SutA. 1)40 n. 1859 aogliono usarsi in tempo di guerra, la vettura era stata fatta procedere verso Verona. Acoolto con segni di deferenza dallo stesso maresciallo Hess, fu dal conte di Qrunne, gran scudiero, introdotto presso Francesco Giuseppe. L'Imperatore Napoleone, per lettera e per le pa- role del messoy domandava una tregua dell'armi, rivolgendosi ai sensi di pietà e di umanità del- rimperiale fratello austriaco. Meravigliò il gio- vane monarca dell'inattesa domanda, e pur com- piacendosene, chiese tempo alla risposta sino al giorno seguente. CJome il sole (\el dì seguente apparve, esso vide tutto l'esercito di Francia e d'Italia, dal Garda oltre Valeggio^ schierato per la battaglia, che l'Imperatore aveva annunciata. ») Sono in teletta di morte: sempUce giubba, gli zaini non conten- gono che biscotto e cartucce. Cavalca l'Impera- tore. Monta il giorno ardente : le armi sembrano domandare il refrigerio del sangue. Monta il gior- ' L'ordine del e-—"" <'"! qnartier imperiale alla vigilia di questa grande a«> ni, cioè del jjiorno stesso che aveva mandato il Fleury ..-. "■■'i con Francesco Giuseppe (do- vunque si fosse trovai' : "L'assedio di Peschiera è un'operazione a cui att un grande interesse; ma è chiaro che noi nun |•o^(.<(iamo tarlo con sicureua se non quHutio avremo respinto un attacco degli austriaci. Dalle informazi<»ni ricevute è molto probabile che domani saremo attaccati di fronte e di fianco dall'armata sortita da Verona e da un'altra venuta dall'Adige „. Seguivano le più minute disposizioni tat- tiche. VUiafranca 341 •IO ardente, ma il nemico non appare. Sono le ici e mezzo. Sulla via che da Verona ooDduce L \ .il' _: tre, fra Uirbiiii di polvere, la vet- ui;i : : *anto l'Imperatore au- -truiio na (111-- .1, . ria manifesta, che la flotta franco sarda ohe sta per forzare i porti di \ II da ogni operazione ^di guerra, ""^ia dell'armi era stata ordina- . jne che la tregua venisse re- spinta 0^ più probabilmente, come astuzia i)er I il consi^'lio deiriiuperatore austriaco ad • l'iirmistizio .' Certo quegli uomini che, l'I ■ ; morire, hanno l'ordine di rientrare nei J...-..I1 > '.'iMi.igine dolorosa di nn'aore .........]•. ay.iouc di (^ U' rgie. Ciò che mi sembra caratterizzare i fatti ohe, I>cr ben comprendere, converrebbe esaminare as- sai ] " - * ■ la fretta: una volontà che ^i . 1 pur d'arrivare alla fine. 11 t> ]• -rafo da campo invia quel di stesso un di- I commissari iucariuui dell'armistizio si adu» gii'oto tlt«iMMOÌo sppano Itti M rno ceguenta H Iti.'li.. 1» «J»jmlto dalla ch!n« . n W<«ofrn» in- di )>«|*rv^U> l«r |*l«!ì<»l«iv «iu ti uggt U Uuc tlclU i;uvrraa. 849 IL 1869 naroQO la mattina dcll'S a Villafranca. Essi sono Vaillant, Hess, Della Rocca, i) Il convegno durò tre ore. Vi si nigionò anche dell'caffreux carnagc» di Solferino; perotiè sem- bra legge cavalleresca fra gente di guerra compli- mentarsi della reciproca strage, lodare le armi nemiche e la morte da esse infli»'^ Ti «'<<,mui sarebbe durata sino al IG agosto. Ora Vittorio Emanuele si lamentava che da qualche giorno l'Imperatore era boutonà e non gli diceva più nulla: veramente il Re, anche fra le consuete barzellette allobroghe, di altre cose era seccato: del modo come procedeva l'assedio di Peschiera; dei cannoni d'assedio che non era- no arrivati e chissà quando sarebbero arrivati; delle difficoltà di approntare nuovi reggimenti, doi)o quell'eroico sacrificio di vite umano che fu San Martino: «non a%Tebbe più osato presentarsi all'Imperatore, che questi gli a>Tebbe certamente 'i 11 maresciallo Vaillant nell'informare il dì 7 Vittorio Emar nuele deirarmiiitiKio, so: ..i che i i 't tregua dovevano essere firmati : ..-nte a Vi Vi man- dastie perciò alle r» antim : i . • il nuo cai.., •'• >tato Mag- giore Hororzo della Iloct.i I, lin|.<'ratore te losco nella sua ri- sposta, commessa e letta pniiiit al Fieury il mattino del giorno 7, laiiciava a Napoleeriali : Verona e Val.L'L'i.i TI .L -i del 9, annunciando la tregua firmata, non tasi quantità trascurabile, il commissario di Vit- tori" ... Yiìlafranra 848 ' I coiato ohe non siamo buoni a nulla ; che non rimaneva da far altro che andare a ripren- iere la sua >ita di campagnolo, ecc., eco. >. >) ^fri in quel piomo stesso che dovette mandare 1 i H<-w'ca a trattar Tarmistizio, il re «contonen- - a ;::;in puiia lo sdegno» per quel procedere 1 sua insaputa, si recò dall'Imperatore, affinchè > t)o t t ..nasse: ma ciò non a\'venne che a ../A... i. liii]>eratore non nascose che sarebbe sta- •> lieto di ridonare la pace all'Europa e rìspar- i«? di sangue; ma che in tale ,.._. ...... u all'Austria sarebbero stati cosi duri» (e lo ripetè due volte) che il fine [♦•Ila guerra si sarebbe raggiunto lo stesso. Non ... I !'♦ stria tali patti, la tregua d;iva are nuove forze : « intendeva aver uti in campo 200 000 Francesi : prò wedwiso '4na ad aver pronti 100000 Italiani >. - a. che il Re, pur «non es.sendo molto cou- «nto», di quella tregua, tuttavia per Topinione di riio che allora godeva Napoleone, si par- tinvM flolle ragioni addotte. In tale sen- . •> al . uo quartiere di Mouzambano, par- lò ai generali, raccomandando di curare bene l'i- •' delle nuove leve, e al oomaadante del- ^ ria idi oreara e presto» batterie nuove. e Parlò franco e di buon umore»,*) e in tale MMiso fu telegrafato al Cavour. In relazione n irteggio i»i " UB g6Mtmle lar! >" ta, I. pAir. A*< mete letterm ' !■« \ ' ;-.-... >..i III, ptg. lOsl. iiiii"-M.i.iii"iiii.». C^uu, III, pdg. 401. 814 II, lav) questo dispaccio sta il seguente telegrainina cir- colare del Cavour, la mattina del 9, ai commis- sari regi delle provincie insorte:*) «11 Re nel partecipare l'armistizio puramente militare, rac- comanda di aumentare l'esercito oou energia e sollecitudine». Ma non si tratta che d'una sem- plice trasmissione di ordini : sul vespero del gior- no stesso, in compagnia del Nigra, partiva pel camxK) e giungeva a Descnzano la mattina del 10. Dalle precedenti trattative di intervento pacifi- co della Prussia con Tlnghilterra e \a Hussia;-) dai riferiti dispacci del «Monitore», sibillini par tutt'altra persona che non per lui; e, probabil- mente, da informazioni più sollecite e più sicuro che non quelle fornite dal La Marmerà, *) il qua- dro del sospetto era già formato; non rimaneva che a conoscerne i confini; e ciò fu il giorno do- po dell'arrivo a Desenzano, nel quale giorno il sacrificio fu consumato. ') ViglJani f^Milano), farini (Modena), Ricasoli (Firenze), .\zeglio ( I ^) Per I ve diplomatiche, vedi Biakchi, Storia di*- lunientatn. vul. VIJI. ") Il giorno 9 Cavour ricevette un telegramma dal princiiM» Napoleone, che annunciava la tregua. «'Iiianiù il Xigra. comu nicò il dispaccio: sto desiderio, nella notte dal 10 all'I 1 giunse ;i V'ali'ggio il j -■ • di Hoh' ' ' ' 'rnii- nare il modo, i «>, il luo^ dei dna Imperatori. E scelta Villafnn letà via trai 'ì ili: picla tc-iuita por i sovra:.. ^ r,J'in tenuta por le scorto; ore nove. Ma già prima dell'ora, un sollevarsi di polvere annuncia verso Viiiafranca la caval- cata di Na|K)leono. Precedeva di alcun poco lu squadrone d«-lle sue cento guanlie e «lelh* Umi- lissime guide. L'Imperatore Francesco Ciiuiveppi! non era .-n ito. Allora Napoleone spro- nò verso ^ i.joo appare la cavalcata au- -triaca. Il giovano Imperatore, galoppava pur egli 846 n. 1859 alla testa dei suoi ulani e dei gendarmi di corte. Napoleone affrettò. Gli ufficiali d'ambe le parti sostarono. Dopo alcuni xxùnuti fu ripresa la via di Villafranca. Quivi era stata approntata una stanza per il convegno. All'ingresso della casa stettero due appostamenti: l'uno delle cento guardie, l'altro dei gendarmi austriaci. Ciascun appostamento staccò una sentinella e fu coman- data davanti alla stanza, dove erano i due Im- peratori. Le scorte sulla strada si ordinarono in battaglia. Gli ufficiali, scesi di sella, conversa- vano. Passò un'ora. Infine i due Imperatori usci- rono. Gonsummatum erat. La notizia si dif- fonderà, essa giungerà sino ad una povera stan- za in Londra, dove un grande esule attende. E poi che i due Imperatori furono all'aperto, Francesco Giuseppe propose a Napoleone di las- sare in rassegna lo squadrone degli ulani; quindi cavalcarono davanti alle guide; gli uni e gli al- tri belli e impassibili istrumenti umani di morte. Ardente era il giorno; ma l'Imperatore d'Au- stria non volle prima dare di volta che avesse fatto ricambio di cortesia accompagnando al- quanto Napoleone su la via di Valeggio, Quindi, visibile segno di pace, fu stretta la destra. Ben altre, ben altre parole, o buon figlio d'Or- tensia» parole ruggenti come bufera scagliò il giovanetto agli imparruccati ciambellani del sa- cro Impero dell'Austria, in altra, villa, in altro tempo, ai confini d'Italia. Egli era allora re più di tutti i re, egli era imperatotre piiì di tutti gli Viltafìranea 847 ini- li era, in quel giorno, il pojKjlo, era — :anc. Poi l'aasunto del popolo inco- ronò sé stesso e creò il suo diritto, fatto pur sem- pre di quell'iniqua foraa che governa il mondo. Convit-ne — io lo so — che il popolo incoroni sé >u s.x) imperatore veramente. Ma dove sono nati gli olivi pel nuovo crisma? Pur nell'Attica an- tica, lieta di olivi, nacque la satira di Aristofane I Mf7/.....i ,.w,^, :\..j,.>loone rieii.iu.c* in Valeggio V cubito mandava a chiamare il principe Napo- leone per comunicargli il risultato del colloquio •• i ■ ' 'in Verona a d ' ' ..ire per i-^'-. . , .liuari i quali a \ nca era- no stati affidati alla sola lealtà della memoria. 'piando il principe Najxjleone arrivò, l'Impera- t. Esso si riassume come un nuovo tru^.i.i.t i.io di Napoleone Ili Ter- so l'Italia, e in quol patto con l'Austria, ò midi- iato il disegno di uu nuovo maggior coIjh) di 848 II' 1859 Stato europeo, contro oiii ìnsorgeraimo governi, popoli, l'esercito stesso francese che si stancherà e di far la parte di carnefioe della liberta». ^) Que- sto nel concetto in genere; e particolarmente per ciò che riguardEb l'Italia, la Lombardia, la qoale secondo il proclama dell'd giugno, e doveva espri- mere liberaonente ogni voto legittimo, è data dal- l'usurpa^tore Austriaco all'usurpatore Francese; accettata, poi ceduta da lui, come feudo, al re Piemontese: il P<^x)k> trattato come armento, il re siccome \ " • (anzi alcune linee sopra, ò usata un'eoi >•; così scultoria che meglio non si potrebbe: «il re lasciato da banda nella conferenza imperiale come un oolonnolluccio d'e- sercito v), Venejda è per la seconda volta tradi- ta^ venduta, ecc.»."*) . A parte la tetra rioonsacrazione di despota e tiranno; questa pace apparve — come vedremo — atto di tradimento, se non per l'intenzione, per il fatto, al Cavour; e il Re, in quel collo- quio dell'I 1 a Valeggio, sentendo quei capitoli di pace, « tanto opjwsti a quelli che l'Imperatore gli aveva indicati (come probabili) VS luglio, non seppe frenare lo sdegno ». ') Certo, non solo per la cosa, 1^.1. i-vi il motl<>, la sua fierezza di Re deve aver sussultato. E le- cito tuttavia supporre che in quel lungo collo- quio Napoleone, in buona fede, huscias- condizioni migliori «li ouoUe che in i n- >) ILàzzixi, X, pag. 31. l'>.. X, pag. 331. 'ì CiUALA, IH, CC.\ . • uia; rrTìrn 349 louu, ooiue vedremo fra poco. Questa cosa si dedurrebbe anche dalle fjarole scambiate per vìa fra il Re e il suo aiutAnte di campo. Disse il Re che la pace era conclusa e davano sino al Piave (?). Disse l'aiutante: Non è iiiUo ciò che si aspet- tava e che ci avevano promesso: ma dacché Na- poleone non vuole più fare la g^rra, e se ne va sema domandare nulla, bisogna accettare e fare i oonteoti. Poi domandò al Re se sapeva le ra- gioni dì si subitaneo cambiamento. Il Re rispose: Non so altro che quanto l'Im- peratore mi disse : che gli interessi della Francia non gli pennettevano più di continuare la guer- ra; che tutta l'Europa s'armava e che anche le poterne, dalle quali av«va diritto di sperare, lo abbandonavano, e con ciò voleva alludere alla Russia. 0 Alle due e meESO arrivarono a Monzambano. E qui non è possibile non ricordare le meravi- gliose parole di Mazzini al Re: e Sire! sirei Io non amai nò ammirai vostro padre; ma quando io lo vidi, dopo Novara^ sdeg^nar la corona e in- n;immituLrsi volontario all'esilio, lo rispettai: ci :ion volle che un solo uomo in Italia potesse so- >|K;ttarlo, in quel tatto, di tradimento». (S ciò ') Diari di QQ slatente di eampodi S. M. in CAfTii.u, Bkoréi, p«4r- ni 7 VR Queiti diari, por» iaUrMiaoU, ■<»■ muic«no 850 n. 1869 che iu quel giorno stesso, come vedremo, disho il Cavour al Re). E il Mazuai prosegue: «I^ parte di re Vittorio era di dire al Bonapartc: Io non accetto la cessione insultante di terre che non sotio vostn\ ecc., e dire al Paese: ebbi 200000 soldati da un alleato, al quale mi legò una falsa politica che io non avrei mai dovutD seguire, dacché egli rappresenta il dispotismo, mentre noi rappresentiamo il diritto e la liber- tà. A questo alleato or giova abbandonarci. Noi non dobbiamo dolercene, però che la sacra Cau- sa rimane a splendere per questo abbandono, in tutta la purezza del Giusto e del Vero. Ma io chiedo ai ventisei milioni che compongono la Nazione, 200 000 soldati. Se la Nazione li dà, vin- ceremo ; dove no, io morrò, incontaminato di men- zogna e di meschina ambizione, sul campo, in- sieme a quei che vorranno morire». *) (Fatta ec- cezione della richiesta al paese dei 200000 sol- dati, il cui numero solo i tecnici di cose militari possono dire se sarebbe stato sufficiente e i fi- losofi se sarebbe stato possibile ed effettuabile, è quello che fece il Cavour, ritornato semplice ita.liano; anzi offrendosi lui per primo a morire, come vedremo). Il Re, invece, al finire del colloquio, dopo ave- re esclamato: Povera Italia I, «con quel senti- mento giusto e misurato della situazione poli- tica^ che aveva mostrato in molte e solenni dc- >) Hazziki, X, pag. 885. ViUafranca 861 ca«ioui>)» diBse lo Storiche parole: e Qualunque sia la delibcrasioiie della M. V., io serberò sem- pre la più viva gratitudiae per ciò che ella ha fatto a vantaggio dell'iudipendenza d'Italia, e la prego a credere che, in qualsiasi occa^iione, ella potrà far conto sulla mia fedeltà».') Il commento che — dopo aver riportato que- ste parole — ricama il De La Gorge') ò troppo interessante per tralasciarlo: e Questo Re — egli dice — di solito così brusoo, oosi assorto nei piaceri, ooel intollerante di ogni soggezione, era a volte acaltrìto come il più furbo dei contadini piemoatesi. Egli ebbe in questa ciroostanaa uoa inspiratone che avrebbe fatto onore al più abild dipkjtnftttoo e al più fine leguleio normanno. Co- stretto ad accettare i fatti compiuti, si prese cu- ra di stipulare subito a suo profitto ciò che si dice la libertà d'azione. Con tale pensiero fece dire all'Imperatore dal Lamarmora che avrebbe firmato i preliminari di pace, ma do- mandava di firmarli con riserva : approvo per ciò che mi r i j^u arda. Il che voleva dire che si risen^va i diritti su Modena, Toscana, Par- ma, Rooiagna^ Li riservò tanto i suoi diritti che ') GittALi, m, ccvi. Kob riculU chiaro «e quelle «turiche parola fcwsra proferite nel eirtloqaio del giorno, o in quello ch<; »et(tà pM terlì al riturao del Principe Napoleone. >atmrinin< •• del Pneee e dei Miniitri, e opii opp< fra il Re ed il Cavour, dove pur avere influito. ») Che il R**, poi, in quel- la protesta di gratitujdine fosse sincero, dimo- strò nel 1870. Tutte queste cose sono note: unn-i; mal note e obliate sono altre cose che pure è necessario conoscer^ cioè come i capìtoli della pace di Vil- lafranca, quali vennero conclusi per iscritto in quel dì stesso in Verona, riuscissero più restritr tivi di quello che Napoleone III aveva annun- ciato a Vittorio Emanuele: lievi emendamenti, so pare, ma tali che avrebbero avuto un esiziale effetto se quel trattato di pace fosse stato ese- guito. A due ore e mezzo di quel j^mcriggio una car- roz^ tirata da quattro cavalli da posta, tras- portava il principe Napoleone in Verona, BottOr ponendo alla discussione e alla firma di Fran- cesco Giuseppe i vari paragrafi della pace, come Napoleone li avea scritti. La discussione, inco- minciata verso le cinque, durò sino a notte fat- ta, e bisogna ben credere che la deliberazione di troncare la guerra si presentasse irrcmox ilile h Vedi C.UALi, m, ccxx. Vtlhframea 868 un freno, e cosi potente da inchiodare — ■^1 diro — il pensiero; aJUneno per quel bre- > di tempo, se valso a fare accettare tali itti, dopo tanto sangue versato. Di sostanziale "i para^raTi di pace non y*è ohe una C'>- i : la oessiono della Lombardia, ma non lui La, la esclusi i forti, cioè limitatamente al terreno listato col sangue. Peschiera non può es- •"'•ita: «se l'esercito alleato si fosse im- ' di Peschiera, vedrei bene che l'Impe- itore Napoleone mi domandasse di conservar " t piana, ma le mie truppe trovansi ancora ^ iella fortezza». Cosi avrebbe detto France- o Giuseppe. 9 Cede la Lcmbardia perchè «tra> armi » ; e di questa cessione conviene o, perchè tvoi non conoscete abba^*"- re del sacrificio che io faccio, ced :<>lie mie più belle provincie ». ') Non solo; usa della cessione deve essere - ^ leone aveva scrìtto: «L'Impera- >re d' Austria cede i suoi diritti sulla Lombar* la airir '* dei Francesi, il quale, sccon- i!kK> i \ .v,.»u popolazioni '• •-ismetteal Re Il testo invece ufficiale suona: «L'Empereur <> me al B«nuicourt oeilA m* L' iaporlMUW di qnwti parti- riunita, Meli« dato il omo et umenti, evidente per l' ia* U:: . „ i ■■*■ lAJbSUI. n Ì6M. Si ar>4 lu 186d cdroits sur la Lombardie, à l'exccption des for- «tcresses de Mantouc et de Peschicnu L'Empe- «reur des FraQ9ais remcttra les tcrritoires cédés «au Roi de Sardaigne», cioè l'espressione «se- condando i voti delle popolazioni » (< i popoli trat- tati come armento» del Mazzini) non può essere accolta, e Questo voto — avrebbe detto France- sco Giuseppe — io chiamo diritto rivoluzionario. Adoperate queste parole nel vostro trattato col He di Sardegna e nei proclami che fate alle po- polazioni italiane, io non mi oppongo, ma com- prenderete bene che io, Ttiij>eratore d'Austria, non posso adattarmi vi ». L'Ollivier, nel suo racconto, rafforza anzi le tin- te: Francesco Giuseppe, piuttosto che cedere di- rettamente la Lombardia al Re di Sardegna, era pronto ad esporsi a tutte le oooseg^nze della continuazione della guerra. Era per lui questione di onore. *) E tutto il resto è vago o aleatorio. Ma se non è un errore di deduzione, nel collo- quio stesso del mattino, il vincitore di Solferino era stato vinto, cioè, in uno dei punti capitali, dove egli — forse — sperava di ottenere vittoria ; e verosimilmente a questo alludevano i patti «co- sì duri» che egli intendcN-a strappare all'Austria, cioè Venezia. Non certo Venezia congiunta al re- gno di Vittorio Emanuele, ma Venezia staccata dall'Impero d'Austria e costituita in condizione indipendente sotto un arciduca austriaco, fede- >; OuaviEB, VEmyirt Uberai IV, png. 834. VitUfi^mea 866 raU> agli altri StAti d'Italia. Una di quelle mi- sure in^ da accoutentare tutti, amici e lUMiiici, V... ..'binano un Iato ben caratteristico . ila fisonomia morale e della politica di Nap3>- leonc. Meschino ed illogico provvedimento dicia- : '. ed a ragione: o dentro o fuori. Ma an- sto spediente di conciliazione e non in- decoroso per l'Austria, falli, né poteva essere al- i. O dentro o fuori. Francesco Giuseppe i uLro; e bisognava uccidere altri venti o quaranta mila e automi», perchè andasse fuori. Su questo punto, se Napoleone volle pur discu- trr< a Villaf ranca, Francesco Giuseppe avrebbe laLiu ca| ire che era inutile coniiucLire il collo- quio. Di tale intenzione di Napoleone non man- cano Lfbóràlr- e CnToreTole all' IuIm, nuccesso in quel tempo al )Iu. V. t f))'! Pirmnntf crrttrrebbe le aspiraxioni dei \ • • ne sarebbero la coiue- II potrebbe tollerare che «e ncU imbarasao wua accorrere ilmerflton a Lord Buwel del 6 Iti- li torraao propoeto per quatto Mtu MaMimiliaMS quwo «ai poi >uu im^ivro del M eetico. 666 IL 1869 ma, scrive il Ghiaia, che al ministro inglese non occorse troppo acume per capire che quella jwo- posta era figlia naturale della mente «fantasti- ca» deirimperatore. Il ministro liberale inglese avale.se cu II vento è mutato: infatti al ministero „„:.— rva- tope Derby è subentrato il ministero liberale Pal- merston. Tuttavia è singolare come l'acquazzon-s di Solferino abbia fatto germogliare come fungo la simpatia degli uomini di Stato inglesi. Essi, che prima tanto temevano l'aumento della po- tenza di Francia nel Mediterraneo, ora trovano molto utile, poiché il tenebroso Imperatore ar- restandosi a Villafranca, arrestò le paurose te- nebre della sua jx>litica, favorire «quest'umile Ita- lia», che in quel mare intemo — revocato poi dal Lesseps all'antica importanza — si specchia e si bagna. Oh, il nuovo aniniirabiic amore I Un uomo riconosciuto fantastico, non ap- pare più molto temibile. La critica e l'opposizione successive a dare ef- fetto al trattato di Villafranca sono dovute in grandissima parte all'Inghilterra; la quale con discorsi e scritti e opere diplomatiche così at- trasse la riconoscenza italiana, che questa non potè a meno di farsi più lieve j>er ciò che riguar- da il sangue versato a Solferino ed a Magenta. ViUaf^anea 867 Ma queste cos«% per quanto interessanti, non pos- sono avere qui htogo, o meglio è riprendo^ il racconto. Xeirepistolarìo del Mérimée al Panizzi (12 lu- i" I . > \i ) ' ì -f.. che il princii)e NapolcDno a\' \.i i^:' „!. I ' .1! loi amici in Parigi che quel- lo di costituire la Venezia in istato indipendente sotto un arciduca d'Austria era il fermo propo- sito dell'Imperatore. £ secondo il dispaccio di Ubaldino Penuoà al Rioaaoli (Parigi 16 otto- bre 1859) l'Imperatore, a lui, che con altri dele- * scani presentava i voti di quel popolo i>er ••ssione, avrebbe detto di avere chiesto al- l'Imperatore d'Austria di rendere Venezia indi- jw>' otto un arciduca sovrano, ma che Fran- cciw-. u....cppe non vi acoom;enti. Più grave ancora, se vero, ciò che riferisce Th. Martin, i) cioè che l'Imperatore, tornato in Parigi, *'" in quel luglio detto al principe di Mei . nuovo ambasciatore d'Austria, a proposito del colloquio di Villairanca: «Io avevo ben motivo di temere il colloquio con l'Impera- tore, vostro sovrano, perchè io ero ben certo che mi avrebbe soggiogato». In fatti nel colloquio fra il principe Napoleo- ii«' e Francesco Giuseppe, della Venezia non si (li><-ute nemmeno e il paragrafo è approvato co- inè .-: «La Venezia ta. parte della Confederazione it;ili;i(ws ì>i> Il <■ )i •*• rimanga sotto lo scettro del* riiujirral^ir'' tl'Aiistria», h Makti.x, Qji. cit., pa^. 4i^9, in Ciiuu*. m, oour. S58 it. 1859 Il risult-ato di quella saniruinosa uiierm si ri- solve in xm cbenchè». £ cosa ben assurda e pietosa: essa rimane Sìbuu, nel cuore generoso di Napoleone come una pun- ta arrugginita. Se no accorse dopo del dolore, e lo palesa davanti alla Francia ed al mondo in una nDaniera^ io non so, se più pietosa od inge- nua: f Credete voi che poca pena non m'abbia costato cancellare pubblicamente dal mio pro- gramma il territorio che dal Mincio si estende all'Adriatico?»») E poi su questo chiodo per sei anni si sentirà far leva: Signore onnipotente, invitto sostenito- re del diritto dei popoli, dateci Venezia! E Ve- nezia fu l'altra palla di piombo che Napoleone con Villafranca si legò al piede. L'altra — più antica — si chiamava Ron:ial Ma non. è tutto: lo scopo prooipuo della guerrn, cioè distruggere il diritto dell'intervento au.stri.v co nelle cose d'Italia, non fu raggiunto. Ben si può dire che il sangue di Solferino, San Marti- no e Magenta lo ha irrimediabilmente corroso quell'iniquo diritto, che la diplomazia lo soan- ') Discono dell' Imperaf oro (ìnvanfl ai franili Curm ilr-llo Stato, 19 luglio I8.-){». . ziii si passò oltre »cnza dis' . _ -il>il« formulare riforme interne rhe l'Austria iKjtrebbe in appresso accordare (?!),.. (^aratteristica dichiarazione del Ba/a.ncoubt, op. cit. II, pag. 400. VUlafìramca òó9 ■X più tardi. Ma allora, no. 11 quinto pa- • fo dice: eli g^xan duca di Toscana e il duca I jdcna rientrano nei loro Stati » ; ma in ori- ine, come scrisse Napoleone, diceva: ci due fio- ' ' o tutti i loro sforai, e senza però ri- anni», affinchè i duchi di Toscana di Modena ritornino nei loro Stati t. Ma quel- "^o «senza però ricorrere alle armi», France- uiu}«eppo non l'ha voluto, e fu tolto. Fu tolto orche egli può fare «dei sacrifici personali», può -dere quanto a Parma perchè quella duchessa inrì Borbone, non un Absburgo; ma abbandonare :• ali ed alleati fedeli, che sono ricoverati nel 110 campo; che domandano protezione all'aquila riale d'Austria; ma implicitamente incorag- li rivoluzione, dandole la certezza che non tata impedita, significava togliere a quei Plichi la forza morale di ricuperare il trono. No -•'ì! Pare che Francesco Giuseppe ritenesse H'esco V d'Este fornito di armi italiane ic- loli e bastcvoli per ricuperare Modena; e quantD ^ Leopoldo II, non dubitasse che le popolazioni • iscane, cessata, per virtù del trattato di pace, b pressione del Piemonte, avrebbero richiamata, ')me fu del '19, il loro legittimo e e paterno» so- -"o. Che tale {X'nsiero di facili rest.M'?'-': ■••■ .li e granducali nutrisse anche N. >on è improbabile; che lo desiderasse, ancl [ucl giorno oome vendetta del vedere a lui l'oftcana (se pure ci fece serio oonto), può .> uspettorsi: ma il fatto reale che quattro gior- 360 IL 1869 ni dopo quell'I 1 luglio consiglia a Cavour di ini- podirc le restaurazioni noi ducati ; e che cede poi sui ducati, non solo e più tardi sul resto, contro il desiderio della Francia, dovrebbe avere alcuna eloquenza persuasiva. Racconta Niconicdc Bianchi che a* Francese d Giuseppe nel firraare, gli occhi si colmarono di lagrime e dicesse : « Possiate, mìo caro prin- cipe, non trovarvi mai nella necessità di cedere un.a delle vostre più belle provincie». *) Era dunque assai cara questa terra 1oììì.-..ì..,i all'Austria! Fu alla sera che il Re, ritornato ancora a Val- leggio, per invito dell'Imperatore, ad attendere l'arrivo del principe da Verona, conobbe il testo preciso di quei preliniiuari di pace. La fiera e nota minaccia del Re di proseguire, in tale casoi, la guerra tla solo, deve essere stata espressa in questo secondo colloquio, ben .lIi ri- menti procelloso di quello del giorno. Alla quale minaccia l'Imjjeratore rispose: «A scelta vostra, ma in vece di un solo nemi' \ ' -i potreste trovarne due ». •) '/ NiCOMEnK Bianchi, fìtoria dnruincnfnt i. voi. ITT. icil'. l'I Il principo Napoleone non firmò. ' a firmare dopo i mutamenti fatti riluttante a finnaro ila solo, che il Uo< restituito il di seguente con la firma ■] *) Vedi anche Diario citato in Castulli, JiUordi, pag. Ji7. Villa franca 861 Quando usci, il Re era rosso in faccia e aveva ^li rtrrhì più fuori del solito. Salutò l'Impera- tone oh. l'accompagnava, cavò il berretto al se- guito, montò a cavallo, e uscito dal paese, disse '" lutante: - iuo rovinati! Maestà, in che modo? . '^ i ci vogliono nemmeno dare ciò che ci da- .' nel '48. Aggiunse anche lui (notevoli pa- role I): Napoleone s'è lasciato intenerire dal gio- \ ane Imperatore. *) Giur - ^* mbano. Cavour aspetiavu. il Re a ri. Tempestosi, lunghi colloqui erano avvenuti il ^'i< >rno prima tra lui od il Re, tra lui e il principe Na{">l(»one. .^a li che cosa vorrebbe Cavoui ^ova det- to il Re al suo Della Rocca, — Vorrebbe che iw 'Niutiiiiiassi da aolo la guerra. Io sono furioso qw.tntu lui per questa jiocc; ma non perdo la lii.s-vola, non perdo la nigioue. ^ ►Icone che ripeteva a sazic- 1-» • " pace, Cavour aveva detto: Ah, ti ido si vuole annegare il suo c.iii . -1 dico che è arrabbiato! < '!i ! ^ i > •^l i>er8ona Cavour non potò par- hu<- . as.sato». *) Il che significa: i patti di Plombières da me non furono potuti osservare, da voi non furono voluti osservare. E va benel Cavour non gli parlerà più, ma il suo pensiero gli arriverà lo stesso, e il passato sarà semente da cui gcrmoglicrà l'avvenire. E quello che andava ripetendo il fido Conneau. all'aiutante del Re: L'ImperatCH?e è malcontento di Cavour; ha agito male, molto male con lui. Fomenta i movimenti della Romagna e compro- mette l'Imperatore. ») E il giorno 12 al Lamarmora, che reca la nota clausola, Napoleone dice: tSo che il conte di Cavour è irrita tissimo. Comprendo, scuso questo stato dell'animo suo, profondamente angustiato nel veder troncati i suoi disegni politici. Il pen- siero della compiuta indipendenza d'Italia mi fu sempre caro, ma per tentare di colorirlo, io non potevo arrischiare di compromettere interessi maggiori. Io sono convinto che, con l'attuale or- ganamento delle sue forze militari, la Francia è nell'impossibilità di sostenere una doppia guer- ra sul Reno e sull'Adige ». ') ') NicoMKDE BrANciiT, of. cit., YUÌ, pag. 159. ') Castelli, pag. 314. ') NicoxBOii BuMcui, YIU, op. cit., pag. 160. i ìiinfranta g^ (' Ito che sfugge alle strette di un col- loiiiu" loimidnbilo prima di firmare la pace, che poi presenta tjua.si delle scuso, offre un feno- meno dei più interessanti Non vuole udire Cavour? Udrà lo stesso la sua I>arola. la quale stato, poi, di Irritazione fosse il Ca- vour dal suo primo scendere a Desenzano, è det- to da n'Arriva bene in una ben nota oorrisj>onden- za ad un giornale inglese. L'abituale sorriso, le sue maniere cortesi ez^Ao scomparse. Dopo un <*olloquio col Re, il giorno 10, così ò de- I-.i .1 operazione del Cavour faceva pietà in II' ri jii astanti. Il suo volto era rosso corno una ! ►:;!:: il ; e il SUO portamento così semplice e natu- rai* ]><>r ordinario, tradiva coi gesti violenti Tin- dignaziono che gli toglieva og^i dominio di sé stesso». £ poiché usci di casa Melchiorri, si stette e addossato alla muraglia d'una meschina farma- • 1 Ksolamazioni di sdegno prorompevano dal- li- ^\w labbra frementi, e lampi di collera passa- vano ad o^iiì tratto sul suo volto abbronzato dal sole. Spettacolo singolare e terribile I > *) Dlui^u!: t^li, in quella notte, attendeva il Re. Ora egli avrebbe conosciuto il testo preciso di quei preliminari di pace. *• ft fai aou narnurioM di Oirlo ArriTmboM, oonicposdeato del tkUiy Netc$, 884 IL 1859 Era verso la mezzanotte. Il Re fece introdurrò il Cavour nel suo gabinetto insieme col Nigra. Il Re com:andò al Nigra i) di dare la copia dei l)reliniinari a Cavour, Questi oominciò a leggerla in silenzio. Ma non terminò la lettura. Gettò lo scritto sulla tavola. E qtii ebbe luogo una scena commovente. A questo punto il ciuaia^) mette una serie di puntini al diario da cui toglie e rimanda in nota ad uno scritto di Isacco Artom, che afferma che poche scene di Shakespeare potrebbero essere pa- ragonate a quel colloquio. Cavour avrebbe par- lato come Mazzini : Sire, a che serbare il trono subalpino? che giova anche l'annessione della Lombardia^ se l'Italia intera continua a rima- nere sotto la supremazia politica e militare del- l'Austria? Come lasciare Napoli e la Sicilia ai Borboni, l'Emilia, la Toscana, la Romagna oscil- lanti tra la formazione di effimere republiche p il ritomo dei loro antichi govemajiti? Anziché piegare il capo ai nuovi patti, Vostra Maestà ascolti la voce del suo cuore. Ritenti la lotta colle sole sue forze, e se la sorte ci è di nuovo a^nrersa^ si ritiri piuttosto in Sardegna, vada ra- mingo in Italia ed in Europa. Sappiano gli Ita- liani che la vostra dinastia non ha omini al- tro avvenire, altre speranze che l'avvenir speranze d'Italia. ') Il Nigra aveva «esriiito il R cLei? Chiel a Tè '1 Re? Chiel a l'è un birichini. 0 Sarebbe stata la ripe- tizione dell'» i>iti^^ Lo significativo, atloperato già dal Balbo. U carattere del K • r ■ tipicamente dalla frase che è riferita cUi ^igla: Nigra, e a lo mena a darmi. Il Cavour sbava, infatti, per perdere i sonni una seconda volta. La espressio- ìu- >h\ TV- \i) Castelli, Ricordi, pagg. 318, 319, e C uala, VI, pag. 417 ') Per servire air Indipendenza italiana feci la guerra contro la Tolontà dell'Europa e tostochè le sorti del mio paese pote- rono essere poste in pericolo, io feci la pace. ì Vii Ki/ ranca 867 reputazione di astutissimo fosse ben consolidata, se cosi ingenue ed aperte diohiarazioni poterono essere proferite senza timore di scadere nell'opi- nione della sua autorità. La minaccia dell'i nter- %*ento armato della Prussia (più o meno reale se- condo che altri pensa) e le condizioni dcll'eser- .cito francese, inadatte a sostenere quella doppia guerra, erano fatti conosciuti anche prima. Quan- to poi alla i)Ossibilità di una terza vittoria, bi- sognerebbe essere tecnici di cose di guerra per esprimere un giudizio non avventato. À Magenta ed a Solferino i generali dell'Austria commiserD certo molti errori, e vinsero i Francesi che ne commisero meno e spieg^arono più valore ; ma non era a.ssicurato che la serie degli errori austriaci sarebbe proseguita in proporzione crescente, tan- to più che l'esercito di quella nazione era suscet- tibile di aumento: quello franco-italiano non di troppo. È vero che diffusa correva fra noi l'opi- nione della prossima finis Austria e; ma non solo i fatti posteriori hanno dimostrato erroneo ti /io; ma, cosa chf allora avrfl>" > iuu , molti patriotli italiani, pur i< l'acerbità delle recenti memorie, si fecero poi al- leati dell'Austria, per temenza di un'altra Au- stria maggiore. A queste considerazioni conviene aggiungere un altro fatto — frià ripetutamente notato — di coi l'Imperator tato premo» nito, oioò che per lui il vincere itcmpre era condì- zione, non solo del buitn fine nella guerra d'Italia, ma della stabilità stossa della corona imperiale. OOP IL 1859 Il De La Gorge, in pochi periodi, in cui è diffi- cile essere più freddamente crudele, sintetizza co- sì: e Dopo Solferino l'Imperatore capì due cose per nulla nuove, che àvreblKì potuto leggere nei libri: cioè che una coalizione costituiva un do- loroso imbarazzo, e che un campo di battaglia era cosa orribile a contemplai^. Dopo ciò fece ogni sorta, di riflessioni giudizioso, che tre mesi prima sarebbero state meravigliose. Un gin- non reggendo più, con quella semplicità oor<. e graziosa che lo faceva amare malgrado i suoi difetti, andò a trovare l'Imperatore d'Austria o si stupì con lui di tanto sangue versato, gli strin- se la mano, lo abbracciò anche, e in un'ora con- cluse in fretta \ma pace, che non terminava nulla, fuorché la carneficina.^ Poi tornò in Francia in fretta e furia^ chiudendo quasi gli occhi per non vedere tutto ciò che lasciava in Italia di passioni e di speranze, difficili a contenere, pericolose a soddisfare ». *) Ma a parte la terribile ironia, ben spiegabile in un francese, il De La Gorge non può negare il cerchio di ferro in cui si era venuto a trovare Napoleone dopo Solferino. La Prussia, lieta, in segreto delle sconfitta au- striache, ma inquieta delle vittorie francesi, on- deggiava incerta tra la gelosia soddisfatta e la paura che s'era desta. Disposta a trarre il mag- gior vantaggio dalle disfatte dell'Austria, poiché Francesco Giuseppe fece sapere che era impo- ni D£ Là. OoBos, op. cU^ m, pag. 69. Villafranca 8M tente a difendere le frontiere della fedcrazioae <:rrni.nni<\'i dal Iato d'Italia, assunse attitudine uiiii.i. < i...;u tSe passate il Mincio — telegrafa- va il 22 giugno l'Imperatrice Eugenia — la eoa- li/i •) di voi. La Prussia già m«- . < _.^- -. icrcito e sul Reno sia- ìuo deboli > ; e il ministro Randon nelle sue me- morie nota: e Quando 120000 uomini partirono per l'Italia, si trovò che non ne rimaneva abba- sUiuza per prendere l'offensiva sul Reno». ^) Lo Czar, in fine, insospettito dei moti popolari d'I- talia, dei maneggi segreti di Napoleone coi pri- mari ftiorusciti magiari e polacchi, desto — co- me dicemmo — al sospetto che quella politica rtv> "Lft Colonna splendea come un faro„ (Cardccoi). YUlafranea 871 ette sino a Solferino, e si può dire che sino 1 tre luglio — giorno in cui avvenne un ooUd- iio fra lui ed il Kossuth, stabilendo il pro> j^ramma di una insurrezione magiara, il grande sogno non è abbandonato, i) I puntelli dell'illu.- ione sono quasi tutti caduti, ma l'uomo resiste :icora. Ia venuta al campo in quel giorno stesso •l principe Napoleone dalla Toscana, probabil- cnte fece cadere gli ultimi sostegni, e allora '. nave della volontà cominciò a scivolare, quin- 1 a preciy ■'■"•" in senso opposto sinché fu varata. Un iut' ile di pensiero, e un ardito po,- : ^sale era il Principe, alla cui inspirazione ed iiia il Chiala sia dovuta quella ionigratorie sulla partecipazione ■gli Italiani alla guerra che si legano nelle e del Merimée al Panizzi e che, prescinden- te^ ciò che è meschino fatto di cronaca o ca- .nnio, può essere riassunta in queste parole di ielle lettere: craristocrazia, è vero, ha mostra- • della devocione, del patriottismo, ma è un ' louda del Kowatb: "Sira, liete voi diepoeto ad II* pece che noo riiolva U questioiie italÌMi«?« >.i ri«iM.«to: "A BMMM» di ttoa eieere iMÙtotoo d'eeeerri oo- otto da uaa aedlMloae «mata dell' Eoropa, io aon acoet- — ' •— ^v'...i: y V „,... p,^. a05^. I II, cuxxxvi „,„.., ^ ^. . ^... I-nitore il ifonnato d*l Koanit In re- ■*ii- ooee è U rifiM ili I^ : aglio, in inaodA àt t •: "ie 1« I» ci ei4>ii' guin: J«t |>untini, qui cwìbo «lUwve. Vedi Cnuiwk, Ili 8T9 a 1809 infiaitamente piccolo», affermazione ohe, txaa- nc l'assolutov e l'erroneo senso dato alla parola «aristocrazia», non può meravigliare se non olii si rifiuti a rendersi conto di quest'ovvia verità, cioè che la rivoluzione italiana fu spccialmeut dovuta all'eroica resistenza di una minoranza in- tellettuale;*) e se il popolo seguì, fu per natu- rale generosità e anche in grazia della stolta nc,- quizia austriaca che spinse sino un Papa, almono per ventiquattro ore, a farsi patriotta e italiano. In una lettera del principe Napoleone al Buon- compagni, del 9 giugno, è detto : « Dalla Toscana non ha potuto condurre più di quattro o cinqtic mila uomini. E per questo bel risultato che la Toscana s'è sollevata al grido : Viva la guerra? » ') Questo ed altro deve avere esposto il Principe a Napoleone. Ma se il principe Napoleone si illuse che i To- scani dovessero preferire lui, questo obeso di cor- po e acerbo di spirito, a Leopoldo II, che di- sprezzavano, ma non odiavano — come bene gli spiegò il Cavour — , fece errato calcolo. E jh *) Neirardcolo X degli statuti della societÀ seg^rPta Fpperi. fondata dai fratelli Bandiera(R.PiKnASTOM, / /■>■ ' ('obliati, laW) è detto: " Non si facciano, «e noi guardo afliiiazioni tra la plebe perchè dcsita *i> natura è imprudente e per bisogno corrotta. ! di preferenza ai ricchi, ai forti ed ai dot' veri, i deboli e gli ignoranti; si tentino l nerosi, si lascino andare i freddi e gli imirri^i. m.^uu i n ii..i che gli ammogliati, i giovani che i vecchi „. ■1 Lettora del principe V"-' •■■■^- ;•■ -i >» • " •r\n.ru., is-.i diretta al Huonrompagni. i La lii (liti ii.-i i.ujjsi (jui li Villa franca 878 ciò cììo ricrnarl i «luosta rìin|>rovcrata scarsa par- trcija/.iou al il ..uorraj conviene dire clie i Ta- >cani ajnA>'ano bensì, non meno degli altri Ita- liani, la libertà della patria comune, ma ama- va! «» »n«^i»i<-''""> anche la loro autonomia e tanti I ; i vantaggi la cui perdita rimase ata al famoso motto, toscano appunto: ^^lo si stn ■ - -■ I» La fece n«M sacri- fici; ma le campagne erano, e non potevano non essere inerti. Prcsumope nelle così dette masse un moto unanirn «• Tormidabile di rivolta (co- me oggi potreb! i Bmanoele, ,1 i per darri oaa po«t>' "'''?»«»ndeite 1 va di ipomo ia fi«M •'"/. 41Ì. Ooariiliu ... . -, laaclare I a ibricaraela. 1 aoldau d'Arrtca dieevaao .. .. _. . iMiire del Miodo era peggiore che quello d'Africa. {Oal li un generale iàr^T) 874 IL 1859 fisico, fors'anche, susseguito a così grande tensio- ne di forze, ed aumìcntato dalle vampe, non solo di un cstat-e torrido, ma da quelle della rivolu- zione che s'illuse di potere sfrenare e iafreuare a suo ;nodo, e già lo lambivano dolorosamente. Tutte queste cause secondarie possono spiegare, io non dico la deliberazione della pace, che è data da quelle prime cause, ma quel non so che di convulso, di affrettato, di iroso che è nel ter- minare la guerra e lasciare l'Italia. Minori cose queste ultime, ma a NajMleone — come spesso avviene ai teorici ed agli idealisti — divenendo pratico per un istante, le piccole cose ingrandivano al di là della loro giusta pro- porzione. Il Cavour ripartì da Desenzano per Torino jl giorno 12, Ebbe ancora un colloquio col prin- cipe Napoleone. Il Ghiaia dice che quest'ultimo colloquio fu tempestosissimo. E c'è ben da crederlo quando seppe definitivamente a quali miserevoli patti era stata conclusa la pace. Il pensiero di tradimento gli si deve essere affacciato netto, terribile. In correlazione a questo e tempestosissimo » collo- quio è la lettera del Cavour al principe Napoleo- ne, in data 25 gennaio, quando, pochi mesi do- po, sotto l'impulso della necessità, fu compiuto quel moto annessionista in prò' della monarchia Villa franca 873 sabaodk^ soluzione inattesa di quella crisi tra- 'ji'M • ;>i> tosa insiemie di Villafranca. In quella Iciura coriigianescBmente ricredendosi, scrive il Cavour: e Monsignore, dal tempo del mio ultimo io con Vostra Altezza, quanti grandi av- •• ' '^•■-;ati germi contenuti nel trattato di ono sWluppati in maniera meravi- gliosa I Sia benedetta la pace di Villafranca».') Ritornato in Torino, altri lo descrive e pallido, inv. criiiato in tre giorni di parecchi anni^; al- iri. iiMinf^rso in tal profondo dolore da far pic- tii . r< !(!• !tc veramente il dominio di so? Io non so. Io so che gran sventura sarebbe stato se egli si fosse comportato moderatamente e non .i\ 53c perduto il dominio dì so. Dunque l'Imperatore non volle dare udienza? Saprà lo stesso il suo pensiero. Vi sarà chi glielo rif'Tir;'!. li j^iuiu'j I j a Torino presente Pietri, l'anima fedele di Napoleone; presente il Kossuth, parlò parole terribili (è il Kossuth che le riferisce), pa- r ' •* «^ sa, che vuole che siano riferite, perchè davanti a ce monsieur ò come par- > Cnufi, III, puff. 186 • 187. 876 n. 1859 lare davanti al suo Imperatore, e Questa pace non si farà, questo trattato non si eseguirà. La con- federazione I Imaginare il Re del Piemonte in que- sta società grottesca, col Papa pr -, l'Au- stria a destra e ai fianchi quattro sa , ^ austria- ci. Mi faccio rivoluzionario. Prendo a braccetto ?.razzini e divento cospiratore anch'io, divento ri- \ oluzionario. Ha questo trattato non si eseguirà. No, mille volte no ! mai, mai ! L'Imperatore se ne va? Buon viaggio. Noi, cioè io e voi, Kossuth, rimaniamo, vero? Per Dio, che noi non ci ferme- remo a mezza strada». £ si batteva furente il petto, e Pietri teneva reclinato il capo. *) Non parla piii all'Imperatore: si accontenta di commiserare le sorti d'Italia. Assiste all'arrivo dell'Imperatore alla stazione di Torino, per ob- bligo, perchè non c'è il successore; ma al pranzo non assiste. Vuol parlare adesso lui, il tacitur- no. Per prendere Verona ci volevano 300000 uo- mini: lui non li aveva. Toscana, Modena, Roma- gna sono caduti ancora in mano dei loro nemici I E vero. Ebbene, ne difenderà la causa. Intanto «non permettete alle vecchie dinastie di ritor- nare. Nizza e Savoia? Non penseremo più a Niz- za e Savoia. Mi pagherete le spese di guerra». Parte: il Re lo accompagnò in ferrovia sino ') KosscTH, Stnivenir», passo notissimo riportato per intero dal Ghiaia. Voi. III. riU0/niiica 877 a Susa; quivi N-ano le berline di viaggio per il valico d. . l.. ;ìÌsìo. KiuiontAndo in treno, il Re trasse un graja so- spiro come se si fosse tolto un peso dallo sto- maco, e disse: Ah, se ne è andato!») La via si restrinse fra i monti. L'Italia sparve allo sg^uardo dell'Imperatore. E parte, itìa non è appena cessato lo stupore della partenza, che un'imprecazione si solleva, cresce: ò tutto un popolo che impreca; l'onda oltraggiosa batte sino alle Tuilcries. Ha man- cato ai patti, ha abbandonato Venezia all'Au- stria; ha fennato Garibaldi alla Cattolicii. Pre- tende ora Nizza e Savoia.*) Traditore I Non permettete alle vecchie dinastie di ritor- nare ? Il Cavour lo ha già preso in parola, ma an- che senza quell'avvertimento è pre.. Ebbene il duca e il gpranduca non rientreranno. JUconU. pag. 898. li HspokoM ■d Anm: " K tHot^ fMmmrff ch« I 'fo qnl tutti I {(ioni in i t (ete- rni ni Umcì oUraffKiare tltr» ] t Vggndita, aio earo Aittn, ecc., i,\c A ig. 908.) 878 II. 1859 I commissari regii domandano istruzioni al Ca- vour? Ma egli non ha più istruzioni da dare: il ministro ò morto, però rimane lui, Cavour, sem- plicemente, il quale approva ciò che gli telegrafa il Farini, governatore di Modena, cioè che è di- sposto a farsi ammazzare piuttosto che lasciarsi scacciare, i) E Cavour che dice: t Meglio l'Austria che un suo spregiato proconsolo », •) che dice a Massi- mo d'Azeglio, commissario regio in Bologna, e fa dire ai popoli delle legazioni, tementi una rap- presaglia sanguinosa degli svizzeri papalini, co- me era istato in Perugia: e Se le popolazioni non sanno difendersi esse sole contro gli Svizzeri, ciò mostrerebbe che non sono degne di essere ita- liane ». ') E non solo consiglia la guerra, ma egli stesso dice: «Quanto a me, tosto che mi sarà dato un successore, verrò a pormi sotto i tuoi ordini come semplice soldato, per farmi uccidere per la difesa deirindipendenza italiana ». *) ') n Farini telegrafa al Cavour il giorno l.> luglio: "Fate attenzione che se il duca di Modena, fidandosi sulle conrenzioni di Villafranca fa qualche tentativo, io lo tratto da nemico del Re e della patria. Io non mi lascierò scacciare da alcuno: mi dovesse costare la vita „. ?> C.iiAi.A, m, pag. 112. '> Ib., pag. 191. *) Ib.. Ili, cxxni. — E ancora: "Finché gli austriaci sono da questa parte delle Alpi, è un dovere sarro mi mr i nnv:i. orare ciò che mi resta di vita e di forze per ranze che io mi affaticai a far concepire ai ni. (CHiAia, m, pag. 127.) Viilaftanca 879 T. l'alba: entra nel gabinetto del Cavour il re- j'uMic.ino Fra polli. t'uusontite di prestare l'opera vostra j -- ' vare Tltalia? Sì, conte. Kbbene anelate subito a Modena^ mettetevi a disposizione del Farioi, fate arma di ogni palD, respingete i soldati del duca^ sono Italiani rin- n»*gati. Cacciateli nel Po. Il 9CT\o annunzia il patrizio X***. Che aspetti — g^da il conte. — Vi sarà, sem- pre tempo di inaogurare la reazione in Italia Non torniamo anoora da una seconda Novara. E poco dopo si presenta Giuseppe Malmussi, presidente dell'assemblea piodenese. Domanda anni. Cavour lo bacia. Bravo I Non sono più ìutni- stro della guerra^ ma tentiamo un colpo : Scrive un biglietto. Andate all'arsenale, se vi danno armi, incaMatele, e partite subito.^) Non rientreranno, fi Cavi>... , .., .^. ^wace, è Maz- zini che raccoglie dopo trent'anni il suo frutto; non risponde alla sementa. Io so; ma insegnano y MiooMSDB Bunoo, cf, ciL, Vili, («g. 10L 880 II. 1859 i maestri di agricoltura che la pianta oltre alla sementa, devo il suo essere al suolo od al clima. E anche inerito del Farini e del Ricadolì, e, se paro, anche di Napoleone. La pianta nata — ben è vero — non fu quale volle il Mazzini, ma quel grande nostro può con- solarsi nel silenzio della sua tonilxi: non fu neanche qualo volli? il suo cranrlo awnrs.iriiì, il Cavour. XIV. Dopo. JQV. Dopo. Il principe Napoleone ripaxti da Verona a not- te già fatta.. I quattro cavalli galoppavano; ma il fragore del traino non era così forte che di- stogliesse ranimo dal sentire l'eco delle ultime T ' li Francesco Giuseppe: tSe possiamo in- ' la con l'Imperatore Napoleone su gli af- fari d'Italia, non vi saranno più motivi di di- scordia tra noi >. ^) Era un consiglio non disinteressato fors. , ;...* un buon consiglio di un giovane ad un uomo più che maturo; se non che il giovane era derivato .-"'•-- rro con radici così antiche e tenaci, che ] i>(.'n jx-Tinet tersi qualche suggerimento su la stabilità dei troni a colui ohe aveva elevato il suo così di recente e in così pericoloso modo. f: ì< !• ' ^ i, che iavcoe dì intendersela con 1 i.uiCi.o. w i.....,;ppe, bisognò intendersela oon la rivoluzione italùina. 9 Bazakcovkt, La tampagna dltalùt del IM9, U, p«f . '07. R84 n 18S9 £ rimpcratorc si vconc a trovare stretto ia un secondo cerchio di ferro, non meno tenace di quello che lo costrinse a troncare la guerra. i'uò la nobile Francia che versò tanto sangue per l'Italia, opporre il suo veto alle annessioni che piacciono tanto, adesso, alla generosa In- ghilterra? Non dispiacciono neanche alla Priin- sia. Strana cosai Vi sono simpatiche .1 " ' ' ira essa e il Piemonte; tra gli Stati dilla /io- ne germanica ed i ducati italiani ! Si Inatta, dunque, per l'Imperatore, di scioglier- si dalle stipulazioni concluse con Francesco Giu- seppe e nel tempo stesso di non venir meno alla sua lealtà: rendere omaggio all'antico diritto pu- blico e concedere che fosse violato : trovare modo di persuadere il Papa che è per suo bene se le Legazioni gli sono tolte; e confortarlo che non gli si toglierà di più. Tutte cose piuttosto dif- ficili. Ma ci penserà il Cavour, in quei due anni che gli rimangono di vita, a renderle se non fa- cili, necessarie. ^) E nella politica interna della Francia, come non osservare la -contraddizione stridente tra un governo pressoché assoluto e la causa della nazionalità e del reggimento liberale sostenuto all'esterno? 1* "....L'Inghilterra non ha ancora fatto niente per l'Italia. Adesso è la sua volta. Io mi occuperò di Napoli. Mi si accu- serà di essere rivoluzionario. Ma prima di tutto occorre mar- ciare avanti, e noi marceremo „. Cosi il Cavour, secondo il racconto dell'amico De la Rive, op. fi/.. (Cmiala, IH, ocxxix) dojM) Villolranca. (Vedi nota a pag. 75.) Dopo 886 Bella la rocca scaligera sul lago di Garda I f Anclic X:i] oleonc I — diceva la g^ida die '" ' ' M,'nava Napoleone III in quella sua visita .1 — visitò questo castello dopo ia pace ai e .u'upoformio». *) Vn }- no-r -■' io si fece trai circostauti a quesU: in^:. >le. Sul lago si cullavano le IxiUo cannoniere francesi, approntate pel vano > -i-dio di Peschiera. A Gampoformio il primo Napoleone tradiva, ma il rimorso del tradimento deve essere stato bea lieve. Era TAustria spezzata; erano i confini del H. no alln V" -eia. A Villafranc;! il terzo Napo- leone e- ^ a la stessa rinomanza di tradi- tore; M non che tradiva per sempre anche la ^>Ua sua e cupa energia» di oni ; e quanto ai confini del Re- no ci stava oramai un ben famoao guardiano. Con la pace di Villafranca egli non ha accon- tcnt"*' -'--suno, né meno sé stesso, se non per brov )-, e il discorso davanti ai grandi Cor- pi dello Stato del 19 loglio, ò un ben curioso documento con tutta la sentenziosità tipica del suo stile. Perchè quella guerrat Per la gloria! i) Obula, m, CCXXb PAJiiin. // IB69, * 866 11. 18Ó9 Per un'idea?*) La gloria ha uu'ala piagata; Ts- sercito ò mutilato, n«ii è satollato di gloria. Un'i- dea? Ma gli Italiani stridono e più strideranno per Nizza e Savoia. « Di Nizza e Savoia non se ne parli più, mi pagherete le spese di guerra». E la Francia? La guerra per un'idea? La fmse è bella; ma la realtà è altra cosa. Se invece di cavalcare a Villafranca, Napoleone avesse potuto veramente giungere sino in vista dell'Adriatico, ben altri patti si potevano imporro all'Austria.... ed all'Italia 1 Ma verrà fra poco un giorno i i cm u-n vcuni meravigliosi frutti sortire là dove passò il soloo sanguinoso delle sue armi. Vedrà inatteso, non voluto, sorgere un regno pericoloso alla sua Fran- cia ; *) udrà la Francia reclamare un compenso almeno, e allora irosamente, pietosamente si' di» scuterà il mantenimento dei patti, come due li- tiganti d'affari. Si peserà il sangue, come l'ava- ro pesa l'oro, e si dirà: Pagate 1 A voi pare da- re troppo. A noi pare ricevere poco.*) e Oh, gli *) Vedi Monitore, 9 settembre 1859 in Cìiiala, UT, ccxxxvi, ') "L'annessione della Toscana al Piemonfo iT-'senta mag- giori difficoltà che non Tanaessione delle ' Se l'an- nesiiioDe valicasse gii Appennini, l'unità sa; fa, od io Bon Toglio Tunità, voglio l'indipendenza soltani i mi procurerebbe dei pericoli nella sfos?a Franria a iella questione di Roma; e la Fi j ere sorgerle al fianco una grani .ni re la sua preponderanza p. Parole di ^lapoleuuu al rej»oli, 15 lu- glio 18.')9. Vedi GfriAi.A, III, ccxxxvut. h Vedi i famosi di8cor$ :i Mraxlo ad Aspromonte; lo tirerete voi ; U- (' a -M utana!» Pietosa istoriai Labirinto di T i >ionÌ, non spente tuttora, dove solo un alto senso umano ò filo di Arianna. Abbandonando per sempre l'Italia del '59, Na- poleone aveva detto al Re amaramente: «Ora vedremo che cosa sapranno fare gli Italiani da soli». 2) Da soli, ma dopo il soccorso stntniero; (la soli, ma dopo la morte del Cavour, fu udita ([uesta querimonia ; ' ' ' n ente e astuto Imi/tralore. :. ^ . jmessa non ò compiuta. Come possiamo noi vivere oca L in casa? col i'apa che oi denuncia al >.■, come sepolcri imbiancati perchè si desi- ..i di andare a Roma col suo assentimento? con Garibaldi che noa ode ragiono ed ha dimeor ì ' ì non «Mere •taccate daU* Owa 41 Savoia, indi m- "i^fftsione al!ji Fn»ni"h. VH! Me miaerfroH, diaeuMe (j . ' !'lrete «ll'Inperatoie. ^^* ■ ^ K CiiiJXA, l\ . % Ib^ Va, txxxvi. 888 IL 1859 ticato il motto e Italia e Vittorio Emanuele»? con Francesco, re vinto, ina che da Roma manda de- naro e conforti ai briganti? oon la diplomazia che finge di non riconoscere il Regno d'Italia, questo vostro figlio naturale, o astuto, o potente Imi • i: non è facile far giungere queste voci bene sino all'altissimo trono delle Tuileries do- ve sta l'Imperatore, così è spesso lui, VArese, che per lettera o per persona dove jwrtare cotali vo- ci, l'Arese a cui con formola costante l'Impera- tore dice di credere nella sua «antica e sincera amicìzia», «Siat«, sire, — ripete l'Arese, — il nostro possente protettore in faccia all'Austria, in faccia all'Europa; venga la vostra diplomazia^ in nostro aiuto oon altrettanto vigore come è venuto il vostro esercito», i) Oimè, alle Tuileries, la causa d'Italia non ha più amici se non il buon Conneau, sognante sem- pre il sogno del suo Imperatore. Questi dioea: « La questione religiosa è grave in Francia : e poi v'è debito d'onore per me di custodire il Ponte- fice. Attendete almeno che muoia».') «Ma Ga- ribaldi non può attendere, sire. — Egli dice: — *; B OKAniM, oj . ' "T. 418. «> "Io ero per 1 ^ ne: era un partito più savio: ma] accetto l'unità — d.^M.aia.A poco prima di Aspromon»- ^i y>- polì. — Però non posso andarmene da Roma. La religiosa è graTissima in Francia. Coglierò con grand' un'occasione propizia 'd'andarmene, ma ora non posso. \ i i debito tuT ii;<- r .noro di custodire il Pontefice. „ Vedi lo scritto fhi ina in Muova Antologia, 1 gennaio 1900, Yeii; . . .• '. Dopo . 88» o Roma o morte! > c^ra la Francia lo proclama: a Roma, mai!» Oimè, l'Imperatore non è più così potente; la soa astuzia — se fu vera asta- zia — ha tro\'ato uno più astuto. L'Impero è oramai come un naviglio in mezzo a un ciclone. Rotta al largo verso la libertà, si sforza di farà l'Imperatore. Ma il naviglio non è fatto per cor- rere quelle acque perchè la sua struttura noi com- porta. Rotta verso terra per ben salvarci, grida la ciurma delle Tuileries. £ fu rotta verso terra e fhLntmnò sulla scogliera, dove un astuto foc» midabile attendeva. •) Questo astuto formidabile ha due sopraciglia irte e folte, le sue spalle reggono anche la co- razza (le spalle dell'Imperatore si curvano), la sua fronte splenderà come diadema. Bppure quella fronte e quelle spalle stettero i er alcun tempo curve ed umili davanti all'Im- l'-itu re francese. Ha fatto sapere in segreti sol- lecitati colloqui con l'Imperatore, che adesso vuol far lui la guerra all'Austria, Xon per un'idea; ma questo non l'ha dichiarato. £ la piccola Prus- sia che vuol fare la guerra all'Austria. Ma senza il tuo concorso caktMno passivo», ') o potente Im- peratore, la piccola Prussia non può far guerra " Fatalaent» (Wtpolsoas) è comiotlo o «4 aa atto li •»> 0 ad nn atto di libertà ,. Tedi Letter» dtl Nigra si .,»,,. i^ CiiiAia: Amnra um po' via di luce, pag. 88l A, Ancora trn po'fià di ìm*, fH- ^ * '^ff* 890 ji, ia'>9 alTAustria gruDdc: la guerra ansi e sarebbe una follia».*) In questi tempi la fortuna ha fatto sorgere una antica gloriosa nazione, la quale e se non ci fosse stata, sarebbe bisognata creare»*) cioè il Regno d'Italia. Con l'aiuto e Talloanza di questa novella nazione e la tranquillità della ^Francia, potrà la piccola Prussia tentar la guer- ra alla g^nde Austria. Una bella città, la mera- vigliosa Venezia» antica promessa vostra, o Im- peratore, sarà donata in compenso alla novella nazione. L'Imperatore pensa a Venezia, pensa pur anche ai bei confini del Reno che ne potreb- bero derivare alla Francia. La novella nazione, l'Italia, è lieta della bella proposta e chiede al vecchio tutore licenza di accompagnarsi al gio- vane e forte alleato. Licenza è data. Illa dopo Sadowa, fulminante annuncio che per- cosse la Francia, dopo che la t divina Prowiden- za mostrò così visibili segni di protezione per il divino diritto del Re di Prussia », ') i confini del Reno bisogna venirli a pigliare. Ma dopo Sadowa, quel gigante dalle sopraciglia fiere si è rilevato ') *) Vedi CiUJiVA, Ancora un po' più di luce, pag. 37 e segg. ■) " Il signor Benedetti — ambasciatore frn; — mi parlò del Be. Dice che è una specie di il ile ha profondamente scolpito nel cuore le sue ' no divino, ed ha una fede inconcussa nella niÌMi< ile dei Re. Non sa che cosa la storia ri ' k, ma senza dubbio è Tuomo più not '.^r arrivare ai suoi fini (dare il prima lu ami i russi i ra da tre anni con una perseveranza ed una abilità a „. I^ettera del generale Covone, addetto militare a liumii.j .u La Marmora, 6 aprile 1866. Vedi Chiala, Ancora un po' più di luce, pag. 112. Fra poco lo dirà la storia al signor Benedetti che cosa è riservato al signor di Bismarckl Dopo »9i dalia sua ujiiiltà; si è rivelato. Tunica biauca gemmata» corazza o. spada. Egli lia preso a pre- stito le spade e le ha fatte lavorare pel Re di Prussia; e ride alla bella frase, ride sì che ne paventa il mondo. Di quelle sjìade, la più formi» dabilc, dopo Sadowa, congiungerà alla sua in in- dissolubile fascio. P " ..■ cri:;. |.i. lido lo sgretolamento dti. ^ ^ ero ài i' rancia ridotto alla po- litica delle mance! Che giovò allora concederei libertà, parlamento? Guai a chiunque ha perduto l'opinione della aua forza! L'erede di Cesare è stanco, la politica è triste: < lo non ti j)arlo di f colitica — scrive ali* Arese — tutto è cosi cupo, tutto è cosi confuso, che il me- glio che resti a fare è rimanere sotto alla tenda con l'armi al braccio ». 0 Ma verrà il giorno che sani a forza spinto fuori dalla tenda e vedrà quelle sue armi spezzate; ci verrà il giorno ohe si troverà sotto la tenda in terra tedesoa: lo cingono non le sue cento guar- die, come il di che cavalcò sotto il gran sole a Villafranca, ma i bianchi corazzieri del Re di Prussia. Una carrozza lo trasporta, rabbrividea- do, e dietro gli galoppa un pesante cavaliere : >) BimrAomi, VUa di Fràneetco ÀreM, L«tt«m di N«po> IsoM, psf. 880. 8M u. 1859 Bismarck. Lagrime rigano il volto del vinto Im- peratore, fi Bismarck, il sostenitore della forz< riorf a tutti i conteapoTuei ooronatL PiMeò nella storta iDM-;;uit<* Oli !•' ]>i^ aaura invettiva, mentre forte pochi uo- Bini le meriUrono meno di lai. Fu tetto reepoMabUe di di- sastri che egli tubi, nu non Tolera proirocare. Fa raflgurato^ eoBO tiranno areodo avuto rillnaioM di leaihrnre un padre. SeoMparM in una spaTesloea trageiia, la eoi eoneegaenia an* eke oggi d aTrertono, passò naledetlo come autore di tanti Bali .. (Aktibo LiLsaioia, la Omnium, pag. 98.) INDICE. PriBi» (Introdutione st"r! .Il Pi' l L CftTour. ... 41 n. Napoleone III 81 in. Il colloquio di Ploinbièrej) . 1*9 TV. L'opera di Cavour e l'opinioue publa.t 149 V. Il grido di dolore . . . . , lt>3 VT. Le alternative di pace e di guerra. . . 1»3 Vn. Perdiè Napoleooe m rolle la guerra d'Itaiui . . ."iS Vili. La erìai del Congreaso 2 > > IX. L'ultimato dell'AuBtria . J /.) X. Cavour stratega. ... Jil XI. Napoleone al bivio. . . 297 Xn. Uagenta e Solferino . . 316 Xin. VilUfranea 337 JOY. Dopo. . . 381 Mn.AKO — Fratm.!,! TRKVE8, Editom — Milako Storia d'Italia ^ARIUTA DA Francesco Bertolini mtuirmtm ém Lodovìco Poglìaghì * Edoardo Matanìtt ^^Aftio ili Rnmo dalle orìgini italiche Udo alla OlUIld Ul nUlUd morte di Teodosio 11 Graaée, lUuslratada LODOVICO POGLIAGHl.- j.» u/ìm. Un wmgniflco vcìume di 700 pag. in-folio, con 231 di»efmi: Lirt 40. — L«gato in tela e oro: Lire 50. Il pttpolm In-foUo: L. 20. - LegaU ìd teU e oro : L. 30. IU»MfMMaleaMe*itod«U'«dU. U-&Lac-»U«bodeaiua. SO — L«c«t« la t«U • oro 85 — M Affi A Vitti dille iDYasioDi barbariche fino a tatto IfltUlU LYU Wim,illustr.daL.POGLIAGHI. Magnifico wA. ài 700 pag. itt^-folio, wm 85grtmdi quadri e 31 di». Lire 45. — Legato in tela e oro: Lire 55. Il Rinascimento e le signorie Italline (13)^1 LOO), aiustraio da LODOVICO POGLIAGHL SpltnééiB wtumé M 600 pagine in-folio con 78 fmaàri: TAr^ 80. — Ii«(ato la tela e oro: I^ 4A. Il Risorgimento Italiano mi-m, iUmstrtdo da EDOARDO MATANIA. Spltnéiio mtL in'foUo di 720 pagine, am 96 grandi quadri: lettre 'IO. — L«^to in tela e oro: K^lr« SO. Id. popolare in-folio. L. SO — ( LegaU ia taU e oro. L. 80 — i> rasFAaAJtioiiK : Il Settecento e il primo Regno dMtalia. Dirig*»rr • .;hiij;ii,ytr. •■ ^ .v,:ii.v .il i ! .if> ii. i.-.-.'^ ■ utoH, Mlliaa. MlLABO — FmATBLLl TREVSS, EOITOBI — lIlLAMO Altri libri di Storia. MatSUi (Q.). La vita e il reano di Vittorio EmantieU II, con St96 incisioni e 20 taTole a colori di Ed. e F. Mataiiia. In-folio di 640 pagine in carta di lusso. . . . L. 40 — Legato in tela e oro. 6) — | Legato in marocchino. 60 — - — Edizione popolare in 2 volumi 9 — Almanacco Storico. Anno I a VL 1895-1900. Ogni Tol. — 50 — Anno VII a IX. 190M908. Con 82 ritratti. Ciascun Tol. 1 — — Anno X. 1904 e 1905. It^-8, con 220 incinoni . . 2 — — Anno XL 1906-1907. In-8, con 210 inci$ioni . . 8 — Arcoleo (G). France$co Cri$pt. Con incisioni .... 1 — Barbìera (E.). La principessa Belgiojo$o .5 — — Passioni del Risoraimento 5 — — Figure e figurine Sei sec. XTX. Nuova ediz. riveduta 4 — Barzkii (L.). La battaglia di Mukden. In-8, con i2 incisioni da latantanee prèse sol luogo dall'autore, 15 piante e una grande carta a colori ♦i — Bertolini. [Vedi pagina retro.] Bonghi (R.). Storia di Roma. Tre voi. con 2 Uv. e 8 caru. 24 50 I. 1 Re e la Repubblica fino alVanno 283 di Roma . 10 — n. La cronologia della storia romarta dai vrincipii sino al- Vanno 283 della fondazione della città. Le fonti dell'anti- chissima storia romana. L'origine di Roma e la storia nei stioi tre primi secoli 19 — HI. (Frammento postumo - 1696). Un voi. ool ritratto del- l'autore e il suo profilo biografico p«r G. Negri . . 2 50 Bonfadinì (R). Milano tiei suoi momenti storici. 2 voi. 8 — Catellanl (E.). L'Estremo Oriente e le sue lotte . . . 5 — Caprin e Mazzoni. Carlo Goldoni. Col ritratto di Goldoni 2 -^ Checebi (E.). Garibaldi, la sua vita narrata ai giovani. Col ritratto di Garibaldi 9 — Clerici (G. P.). // più lungo scandalo del secolo XIX (Carolina dlBrunswickPrinc.diGalles). Con docum. inediti e ili. 5 — Conan Doyle (A.). La guerra nel Sud-Africa . . . . — 65 D'Ancona (A.). Federico Confalonieri. Col ritratto . . 4 — — Ricordi ed affetti. Con 15 saggi di musica popolare. 4 — — Ckmtmemoratione di CHosuè Carducci. Illustrato. . 1 — Dirigere «commissioni e raglia ai Fratelli Treves, editori, Milano. Mitrilo — Tmatmua TRRVE8, Rpitom — Miljjio Ot Castro ' '^(Uria. Bomnuirl ' ' > nasionale, dai temp^ più n ) alla morta >ì Kmanuel* IL I. Trmj'i antniii . L. 9 — i li. -u- nu Evo. . . L. 8 <— m. St giuste 1 — Storia romana.! otrto . 1 — Storia dd medio evo . \ — SUtriadeitemvi moderni 1 — Storia d'nalU. . . . 1 — L«r»to io («1^ dsMan Tolame 1 75 Farrart (GogliolmoX Chremdeua e decadema di Roma : V V ì. La eonqmtta deW impero 5 — II. Oiulio Ceeare ó — HI. Da Ceeare ad Augutto . . ^ — W. La Bepubblieadi Augnoto. 8 6a Vt.,. V. Augneto e U Ormtde Impero 8 60- Qaaavay. / irownii della etoria. In-8, con 58 incisioni. 6 — Unaraai (M. A.). Crietoforo Colombo. Due rol. di oamplessiT* 860 pagiae in-8 con disegni di L. B. Scotti . . . 15 — Uisloae « lasM, rUccat» tatelaeoro 90 — (A!<«.). ìtatrini. Con note a documenti inediti . 9 — rar ><;|a so/ — - Edixion« II loMo, l«ir»U la tela • oro eoa dono () — Fkatblli TREVKS, Editori — Milaxo NiruUka (Tapitano giapponeM). V ^Akaimìti^ àaoamiia Fori- Arìhur (l^Ui. Con copertm in trìcromUt. . . . L. 1 — Orano (Paolo). 1 Moderni, medaglioni: n primo volume comprende: Kanl. Leopardi. Cattaneo. Stimer. Spencer. 04orgio Band. Querrazti I^'iettidu. Zola. Ib»en. Con i» fototipie 4 — Il secondo volume comprende: Labriola, Tarde. Carducci. De Amici$. Ardigò. LiomhroBO. VAnnuntio. Noricow. rat^earéVa. Con 9 fototipie l — Pagani (Felice). Vivendo in Germania 4 — Pecorini (Alljcrto). Gli Americani nella vita moderna oa^'errati da un italiano (di prostitna pubblicazione). Pensiero (iQ moderno nella Scienza, nella Letteratura e nell'Arte- eonferen/e. 2 volumi 6 — Pio X e la Corte Pontificia {Tgnie Ardens), di*»* col ri- tratto di Pio X 8 60 Pio (Oscar). Drammi della Storia Italiana. Con 19 ine. 3 — Prati (Marcello). Gf Inglesi nella vita moderna osserrati da un italiano 8 IM> Busti (i^ sulla Russia. Pubblicazione Internazionale dovuta ad eminenti scrittori e statisti russi, fra cui il principe Eu- genio Trubetzkoj 7 — Rustow (0.). La guerra del 1886 in Germania e in Italia. In-8, con carte e piante 11 — — Storta politica e militare della guerra franco-germanica del 1870-71. Un voi. i«i.8 di 804 pag. con 8 carte . 15 — Talne fT'"^'ii*" L'Antia> Regime. 2 volumi . 4 — — La .«; Parte -. ^. .uiarchia. 2 volumi 4 — Parte li. La conquista giacobina. 2 volumi. ... 4 — Parte III. 77 Governo Rivoluzionario. 2 voluai . . 5 — Epilogo. Napoleone 2 — Tedeschi (ì) nella trita moderna osservati da un italiano. 8 60 Thiort (A.). Storia della Rivoluzione francese (1789). Due vo- lumi di 1550 pagine in-8, 150 ritratti e 250 disegni. 10 — L«ir«ti io tela e oro 15 — Viae (Pietro). Annali d'Italia. Gli ultimi trent'anni del aec. XIX. Volume I 1871-74 . 6 — | Volume U. 1875-78. . 6 — VoL ni. 1879-1892 (in corso di stampa). Weber. Storia contemporanea (1815-70). Tradotta ed ampliata da M. A. Canini, con l'aggiunta di un quadro della coltura ita- liana nel sec.XIX, di A. De GubernatÌ8.In-8 di 944 pag. 12 — Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano. Iiivenity oi Toroito Library DO NOT REMOVE THE CARD FROM THIS POCKET Acme Library Card Pocket LOWB-MARTIN OO. Umitbo